Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33247 del 16/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 16/12/2019, (ud. 22/10/2019, dep. 16/12/2019), n.33247

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. MARCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9609/2018 R.G. proposto da:

C.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Giuseppe Delle

Vergini, con domicilio eletto in Roma, via L. Nievo, n. 61, presso

lo studio dell’Avv. Rossella De Angelis;

(Ammesso p.s.s. Delib. 20 aprile 2018 Ord. Avv. Firenze);

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI FIRENZE;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 282/18

depositata il 1 febbraio 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 ottobre

2019 dal Consigliere Mercolino Guido.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che C.A., cittadino del Mali, ha proposto ricorso per cassazione, per quattro motivi, avverso la sentenza del 1 febbraio 2018, con cui la Corte d’appello di Firenze ha rigettato il gravame da lui interposto avverso l’ordinanza emessa il 13 luglio 2017 dal Tribunale di Firenze, che aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dal ricorrente;

che il Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva.

Considerato che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25 art. 8, comma 3, e art. 27 e del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2 e art. 3, comma 5, osservando che, nel valutare la credibilità delle dichiarazioni da lui rilasciate, la sentenza impugnata ha omesso di porle in collegamento con la concreta situazione del suo Paese di origine, avendo ritenuto intrinsecamente lacunosa la narrazione dei fatti allegati a sostegno della domanda, senza compiere alcun approfondimento in ordine all’importanza del diritto familiare nel Mali, allo stigma sociale derivante dalla condizione di omosessuale ed alla situazione generale d’insicurezza esistente nel predetto Paese;

che il motivo è inammissibile, in quanto, postulando che la domanda sia stata rigettata a causa dell’inattendibilità della vicenda personale allegata dal ricorrente, non attinge la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale, pur avendo sottolineato la lacunosità della narrazione, non ne ha affatto escluso la credibilità, avendo invece ritenuto, che i fatti da lui esposti non fossero riconducibili ad alcuna delle fattispecie che giustificano il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria o di quella umanitaria;

che con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e b), nonchè l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per essersi limitata ad accennare all’omosessualità di esso ricorrente, senza compiere alcun approfondimento in ordine al trattamento di tale condizione nel Mali, e per aver ritenuto irrilevante la persecuzione attuata dai familiari di esso ricorrente nei suoi confronti, a causa del suo rifiuto di coltivare i terreni di famiglia, senza prendere in considerazione le censure proposte e i documenti prodotti;

che nella parte concernente la sussistenza del rischio di persecuzione da parte dei familiari il motivo è inammissibile, per difetto di specificità, non essendo accompagnato nè dall’indicazione del contenuto delle censure mosse alla sentenza di primo grado, che la Corte territoriale avrebbe omesso di esaminare, nè da quella dei documenti prodotti, la cui mancata valutazione, in quanto riguardante elementi istruttori, non è peraltro deducibile come motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, non integrando di per sè l’omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass., Sez. II, 29/10/2018, n. 27415; Cass., Sez. I, 15/05/2018, n. 11863; Cass., Sez. VI, 10/02/2015, n. 2498);

che nella parte concernente l’omessa valutazione dell’asserita omosessualità del ricorrente il motivo è invece fondato, risultando dalla sentenza impugnata che tale condizione era stata specificamente dedotta in giudizio, e non avendo la Corte territoriale proceduto ad alcun approfondimento sia in ordine alla credibilità della predetta dichiarazione che in ordine al trattamento riservato agli omosessuali dall’ordinamento giuridico del Mali, nonchè alla tutela dallo stesso assicurata a chi si trovi in tale condizione contro minacce eventualmente provenienti da soggetti privati (cfr. Cass., Sez. I, 23/ 04/2019, n. 11176; Cass., Sez. VI, 24/10/2018, n. 26969; 6/02/2018, n. 2875);

che con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), osservando che, nell’escludere la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, in virtù della genericità della deduzione di una situazione di violenza indiscriminata e dell’assenza di un collegamento con la vicenda personale da lui allegata, la sentenza impugnata non ha tenuto conto del mancato recepimento dell’art. 8 della direttiva 2004/83/CE del 29 aprile 2004, che consente agli Stati membri di negare la protezione nel caso in cui in una parte del territorio del Paese di origine il richiedente non abbia fondato motivo di temere di essere perseguitato o di subire danni gravi;

che il motivo è inammissibile, in quanto, postulando che il rigetto della domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria trovi giustificazione nella possibilità di rifugiarsi in altre aree del Paese di origine, diverse da quella di provenienza, non interessate dal conflitto armato in atto in questa ultima, non attinge la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha accertato che, anche per effetto del processo di stabilizzazione della situazione politica del Mali avviato a seguito dell’accordo di pace stipulato nel 2015, le regioni meridionali del Paese, ivi compresa quella di provenienza del ricorrente (Kayes), sono attualmente estranee al conflitto armato tra le forze governative ed i gruppi terroristici, le cui azioni sono rivolte soprattutto contro cittadini stranieri;

che il mancato recepimento dell’art. 8 della direttiva 2004/83/CE, che consente agli Stati membri di escludere l’accesso alla protezione internazionale ove sia ragionevole aspettarsi che il richiedente si stabilisca in una parte del territorio del Paese di origine dove non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi, non comporta d’altronde necessariamente l’applicabilità della misura anche nel caso in cui, come nella specie, il richiedente provenga da una regione o un’area interna sicura, per il solo fatto che nello stesso Paese vi siano anche altre regioni o aree insicure (cfr. Cass., Sez. I, 15/05/2019, n. 13088; 7/11/ 2018, n. 28433);

che il parziale accoglimento del secondo motivo d’impugnazione comporta invece l’assorbimento del quarto, con cui il ricorrente ha denunciato la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria;

che la sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dalle censure accolte, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’Appello di Firenze, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie parzialmente il secondo, dichiara inammissibile il terzo ed assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte; rinvia alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019

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