Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33245 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 21/12/2018, (ud. 13/06/2018, dep. 21/12/2018), n.33245

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11111/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Banca Popolare di Bari Soc. Coop. per azioni, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv.

Francesco Paolo Sisto, come da procura speciale in calce al ricorso,

elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Bari, Via Roberto

da Bari n. 36;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Puglia, n. 150/10/2013, depositata il 24 ottobre 2013.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 13 giugno

2018 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. La Banca Popolare di Bari chiedeva il rimborso Irap con riferimento agli anni 2005, 2006 e 2007, adducendo la mancata deduzione delle quote di svalutazione dei crediti pregressi (deduzione dei “settimi” e dei “noni”).

2. Si formava il silenzio-rifiuto in assenza di risposta della Agenzia delle entrate.

3. La Commissione tributaria provinciale accoglieva i tre ricorsi proposti dalla contribuente.

4. La Commissione tributaria regionale rigettava l’appello della Agenzia delle entrate, rilevando che i crediti, la cui deducibilità era in contestazione, riguardavano crediti verso i clienti e non verso altre banche, che, in realtà, la Banca Popolare di Bari aveva operato una fusione per incorporazione di varie banche, con l’acquisito dei relativi crediti verso i rispettivi clienti, che tali istituti di credito non avevano portato in detrazione gli importi relativi ai “settimi” ed ai “noni” pregressi, che la contribuente aveva provveduto a dedurre le svalutazioni sia ai fini Irpef che ai fini Irap per quote costanti nei successivi sette o nove esercizi, collegate però ad esercizi precedenti, perchè già iscritte in bilancio, che quindi, il diritto alla deduzione era maturato prima del D.L. 12 luglio 2004, n. 168, convertito in L. n. 191 del 2004, con cui era stata eliminata la possibilità di considerare i crediti svalutati per il computo della base imponibile dell’Irap, che tali crediti riguardavano esercizi precedenti alla innovazione legislativa del 2004.

5. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate.

6. Resisteva con controricorso la contribuente, che depositava memoria scritta.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e dell’art. 12 delle disp. gen. (approvate, preliminarmente al codice civile, con R.D. 16 marzo 1942, n. 262 – Preleggi), motivazione insufficiente”, in quanto la motivazione della sentenza della commissione regionale è carente (“rectius apparente”), essendosi limitata ad un mero rinvio per relationem alla sentenza della Commissione provinciale.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione e falsa applicazione del D.L. n. 168 del 2004, art. 2, comma 2, nonchè della L. n. 212 del 2000, art. 3”, in quanto il D.L. n. 168 del 2004, art. 2, comma 2, ha stabilito che, ai fini Irap, non erano deducibili le svalutazioni dei crediti alla clientela, con abrogazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 6, lett. n). Tale innovazione, quindi, deve comportare la non deducibilità della svalutazione dei crediti alla clientela anche per i crediti già contabilizzati in esercizi precedenti alle nuove disposizioni, ma con “noni” e “settimi” residui anche dopo la novella legislativa. Precisa la ricorrente che la deduzione operata in quote negli esercizi successivi a quello della effettiva contabilizzazione in bilancio “costituisce un rapporto pendente – esercitato annualmente all’atto della presentazione della dichiarazione dei redditi in applicazione di norme vigenti che consentivano tale deduzione – e non un diritto acquisito in via definitiva”.

2.1. I motivi primo e secondo, che possono essere trattati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.

Invero, per giurisprudenza consolidata di legittimità (Cass. Civ., 4 aprile 2012, n. 5403; Cass. Civ., 21 dicembre 2016, n. 26547; Cass.Civ., 21 febbraio 2018, n. 4165), che in questa sede si intende confermare, anche in materia di IRAP, in relazione alle imprese bancarie, la svalutazione dei crediti risultanti dal bilancio di esercizio determina immediatamente la decurtazione del valore fiscale dei ricavi, poichè ad essa è stata riconosciuta rilevanza dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 71, comma 3, (poi divenuto art. 106, comma 3, del medesimo D.P.R.) per rendere la disciplina fiscale più adeguata alle esigenze del mercato bancario ed assicurare pieno riconoscimento alle svalutazioni imputate al conto economico, e la relativa deduzione è soltanto rinviata, per noni, agli esercizi successivi, secondo il criterio di cui al cit. art. 106, comma 3, per evitare il superamento del limite massimo di deducibilità in ciascun esercizio. Ne consegue che l’indeducibilità ai fini dell’IRAP, introdotta dal D.L. 12 luglio 2004, n. 168, art. 2, comma 2, convertito in L. 30 luglio 2004, n. 191, a partire dall’esercizio 2005, non attinge le quote (cd. noni pregressi) di competenza degli esercizi anteriori, in quanto relative a svalutazioni di crediti operate nei corrispondenti bilanci, ed oggetto, quindi, di una situazione giuridica sostanziale già consolidata; nè è giustificabile un’interpretazione della disciplina in chiave retroattiva, in assenza di specifica previsione, poichè la stessa si porrebbe in contrasto con il canone ermeneutico di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3.

Pertanto, mentre il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 6, prima della novella del 2004, prevedeva che la base imponibile ai fini Irap per le banche si determinava dalla differenza tra la somma di alcune voci dell’attivo e la somma di alcune voci del passivo, tra cui si ricomprendevano alla lett. n) “le rettifiche di valore su crediti alla clientela”, con la novella di cui al D.L. 12 luglio 2004, n. 168, convertito in L. 30 luglio 2004, n. 191, come modificato poi dal D.L. 29 novembre 2004, n. 282, convertito in L. 27 dicembre 2004, n. 307, è stata abrogata la lett. n) e si è previsto che “le modifiche…si applicano a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto”. Pertanto, per l’orientamento di legittimità il dies a quo della efficacia della nuova normativa è costituito dal 1^ gennaio 2005, ma con riferimento alle svalutazioni di crediti alla clientela iscritte in bilancio a tale data, e quindi non più utilizzabili per la determinazione della base imponibile ai fini Irap, mentre per le svalutazioni effettuate negli anni precedenti, in cui i “settimi” o i “noni” fossero stati spalmati anche oltre il 2004, ma iscritte in bilancio prima della novella del 2004, non era possibile negare alle banche la deduzione e la conseguente richiesta di rimborso di quanto pagato in eccedenza.

Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 106, comma 3, infatti, prevede (nel testo all’epoca vigente) che “le svalutazioni dei crediti risultanti in bilancio…che derivano dalle operazioni di erogazione del credito alla clientela…sono deducibili in ciascun esercizio nel limite dello 0,40% del valore dei crediti risultanti dal bilancio…l’ammontare complessivo delle svalutazioni che supera lo 0,40% è deducibile in quote costanti nei nove esercizi successivi” (i “noni”). In precedenza, prima del D.L. n. 203 del 2005, convertito in L. n. 248 del 2005, la soglia di deduzione era dello 0,60% che poteva avvenire nei sette esercizi successivi (i “settimi”), prima della L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 23, comma 1, che ha poi esteso la deducibilità ai nove anni.

La sentenza della Commissione tributaria regionale si è attenuta proprio ai principi richiamati dalla giurisprudenza di legittimità, espressamente richiamata in motivazione.

Tale decisione ha precisato che trattavasi di crediti nei confronti della clientela e non di crediti verso altre banche, chiarendo che vi era stata una fusione per incorporazione di vari istituti di credito, che era consentito alla contribuente di dedurre ai fini della determinazione della base imponibile Irap anche le quote in “eccedenza” rispetto a ciascuna annualità (i “settimi” ed i “noni”) relativi però a svalutazioni di crediti già iscritte in bilancio negli anni precedenti, che trattavasi di crediti risultanti dai bilanci di esercizio, che la nuova norma si applicava solo alle svalutazioni dei crediti avvenute a decorrere dal 2005, ma non poteva essere estera ai “settimi” ed ai “noni” “rinvenienti da esercizi precedenti”, essendo in tali casi già maturato il diritto alla deduzione prima dell’entrata in vigore della nuova legge del 2004, con richiamo espresso alla motivazione della sentenza della Cassazione n. 5403 del 2012, della quale è stata riportata non solo la massima, ma anche il principio di diritto.

La Commissione regionale ha, quindi, concluso affermando che “nel caso di specie, dal momento che le quote di svalutazione sui crediti verso i clienti riguardano esercizi precedenti l’entrata in vigore del D.L. n. 168 del 2004, come da bilanci, correttamente e legittimamente la Banca Popolare di Bari, stante la loro deducibilità ai fini dell’Irap, ha chiesto il rimborso di quanto corrisposto in più”.

3. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della contribuente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 9.500,00, oltre accessori di legge e rimborso forfettario delle spese nella misura del 15%.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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