Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33240 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 21/12/2018, (ud. 13/06/2018, dep. 21/12/2018), n.33240

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22439/2011 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempre, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12

– ricorrente –

contro

Z.C.;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Friuli

Venezia Giulia, n. 60/1/2010, depositata il 23 giugno 2010.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 13 giugno

2018 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. L’Agenzia delle entrate emetteva avvisi di accertamento per Iva, Irap ed Ires, in relazione agli anni 2003 e 2004, nei confronti di Z.C. per tre rilievi: deduzione di costi non adeguatamente documentati; utilizzo di fatture per operazioni inesistenti in quanto B.M. aveva emesso fatture per lavori di tinteggiatura ed altro senza avere nè attrezzature nè lavoratori dipendenti, dichiarando di non aver ricevuto gli importi di cui alle fatture e di non riconoscere la sottoscrizione apposta sulle stesse o, comunque, in altri casi di averla apposta in stato di ebbrezza; la stipulazione di un appalto illecito di manodopera.

2. La Commissione tributaria provinciale accoglieva i motivi relativi alla deduzione di costi non adeguatamente documentati e sull’utilizzo di manodopera fornita, mentre respingeva il motivo attinente all’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.

3. La Commissione tributaria regionale accoglieva sia l’appello principale dell’Agenzia delle entrate, trattandosi effettivamente di appalto di manodopera, in assenza di organizzazione dei subappaltanti, sia l’appello incidentale del contribuente, ritenendo sussistenti le operazioni sottese alle fatture, in quanto la sentenza penale di condanna, peraltro di primo grado, non spiegava effetto di giudicato sul contenzioso tributario. Confermava la sentenza della Commissione provinciale sulla regolarità delle fatture emesse, non potendo il contribuente pretendere dal fornitore il rilascio di fatture con maggiori dettagli sulle operazioni compiute.

4. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

5. Restava intimato il contribuente.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Anzitutto, si evidenzia che la notificazione del ricorso per cassazione è stata effettuata regolarmente. Invero, dalla relata di notifica risulta che il nuovo Avvocato Luigino Bottoni (“da Osoppo, Via Batterie 15 ed eleggo domicilio ivi”), nominato nel corso del giudizio di secondo grado, dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia (“La presente difesa dichiara la nomina del nuovo difensore, giusta mandato a margine del presente atto, nonchè richiede la trattazione della controversia in pubblica udienza”), in data 19 aprile 2010, non ha ritirato la raccomandata presso l’Ufficio postale, con il perfezionamento della “compiuta giacenza” (in data 3 ottobre 2011 “diretto a Z.C., el. Dom., Via Batterie n. 15, 33010 Osoppo (UD) presso Avv. Luigino Bottoni” “atto non reclamato”).

Tuttavia, la nomina dell’Avv. Bottoni non risulta dalla sentenza della Commissione regionale, in cui, invece, è indicato quale difensore l’Avv. Paolo Acchiardi. La notifica all’Avv. Acchiardi risulta avvenuta con consegna all’addetta alla ricezione in data 21 settembre 2011.

Pertanto, entrambe le notifiche, ai due difensori, risultano regolari.

1.1. Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (poi 109) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., e contestuale falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21”, in quanto i costi non sono stati riconosciuto non per la irregolare emissione delle fatture, ma per l’assenza di idonea documentazione degli stessi, non essendo stati rinvenuti i contratti di appalto e di subappalto, mentre l’onere della prova della esistenza dei costi è a carico del contribuente.

1.1. Tale motivo è fondato.

Invero, nell’avviso di accertamento si evidenzia la “deduzione di costi non idoneamente documentati…nè è stato reperito alcun contratto di subappalto, per cui i costi non idoneamente documentati vanno recuperati a tassazione”.

La Commissione tributaria regionale si è, invece, limitata ad affermare che le fatture, pur non riportando tutti gli elementi richiesti dall’Ufficio, contengono però quelli richiesti dalla legge “non potendosi perciò imputare al contribuente di non aver preteso dal fornitore il rilascio di fatturazioni con maggiori dettagli sulle operazioni compiute”.

Per giurisprudenza di legittimità, però, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili. A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa (Cass. Civ., 26 maggio 2017, n. 13300).

Nella specie, il contribuente si è limitato alla produzione delle sole fatture, senza produrre i contratti di appalto e di subappalto asseritamente stipulati.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente si duole di “error in procedendo della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4, per falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 e violazione dell’art. 654 c.p.c.”, in quanto la Commissione regionale ha ritenuto che la Commissione provinciale, utilizzando gli atti del processo penale, ha “ammesso come prove nel processo tributario in esame le prove testimoniali rese in un processo penale” omettendo “le cautele e l’osservanza di quei principi…indicati dalla Suprema Corte”, non spiegando efficacia di giudicato la sentenza penale in ambito tributario.

2.1. Tale motivo è inammissibile, in quanto la ricorrente, pur censurando un error in procedendo, in realtà deduce una violazione di legge di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3.

3.Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente censura la sentenza della commissione regionale per “falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 e violazione dell’art. 654 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3”.

3.1. Tale motivo è fondato.

3.2. Invero, la Commissione tributaria regionale ha ritenuto che, non spiegando efficacia di giudicato sul processo tributario la sentenza penale di primo grado, la Commissione provinciale ha “ammesso come prove nel processo tributario in esame le prove testimoniali rese in un processo penale che peraltro non risulta al momento irrevocabile – “, omettendo “cautele e l’osservanza di quei principi così chiaramente indicati dalla Suprema Corte”.

3.3. Tuttavia, la Commissione provinciale, nella sentenza di prime cure, non ha affermato in alcun modo il vincolo del giudicato penale, ma ha valutato tutti gli elementi di prova nel loro complesso, quindi sia la sentenza penale di condanna, sia gli assegni bancari emessi dal contribuente per i quali si poteva dubitare della permanenza della provvista nel possesso del soggetto ricevente, sia le dichiarazioni del B. di non avere percepito gli importi indicati in fattura, di non avere redatto le fatture e di non riconoscere le sottoscrizioni apposte, sia la circostanza che il B. non aveva alcuna attrezzatura nè lavoratori dipendenti.

3.4. Pertanto, la Commissione provinciale non ha “ammesso come prove nel processo tributario in esame le prove testimoniali”.

3.5. Il Giudice tributario, quindi, può valutare autonomamente come elementi di prova le dichiarazioni rese da terzi nel processo penale, sottoponendole ad attento vaglio critico. Il divieto di ammissione della prova testimoniale nel giudizio davanti alle commissioni tributarie, sancito dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, si riferisce alla prova testimoniale da assumere nel processo, che è necessariamente orale, di solito ad iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli, comporta il giuramento dei testi, e riveste, conseguentemente, un particolare valore probatorio, e non implica, pertanto, l’inutilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione nella fase procedimentale e rese da “terzi”, e cioè da soggetti terzi rispetto al rapporto tra il contribuente-parte e l’Erario. Tali dichiarazioni hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, e qualora rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c., danno luogo a presunzioni. In particolare, le dichiarazioni rese in sede penale da amministratori di società coinvolta nel contenzioso tributario, pur di sola portata indiziaria, ben possono assumere efficacia decisiva nel processo tributario, anche se non corroborate da riscontri documentali. Il giudice tributario deve, infatti, procedere ad una valutazione globale degli elementi disponibili, spiegando, ove intenda escludere l’utilizzabilità delle predette dichiarazioni, le ragioni della loro inattendibilità (Cass. Civ., 10 marzo 2010, n. 5746).

4. La sentenza impugnata va, quindi, cassata con rinvio alla Commissione regionale del Friuli-Venezia-Giulia, in diversa composizione, che si adeguerà al principio di diritto di cui al paragrafo 3.5. e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie i motivi primo e terzo; dichiara inammissibile il secondo; cassa, in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione Regionale del Friuli-Venezia-Giulia, in diversa composizione, che si adeguerà al principio di diritto di cui al paragrafo 3.5. e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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