Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33235 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 21/12/2018, (ud. 12/11/2018, dep. 21/12/2018), n.33235

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 21720 del ruolo generale dell’anno

2012, proposto da:

s.r.l. con socio unico Dolce & Gabbana Trademarks, subentrata a

s.r.l. con socio unico GADO, in persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale a

margine del ricorso, dagli avvocati Eugenio Briguglio e Gianluca

Boccalatte, coi quali elettivamente si domicilia in Roma, alla via

Germanico, n. 146, presso lo studio dell’avv. Ernesto Mocci;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si

domicilia;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, depositata in data 28 giugno 2011, n.

86/27/11;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

12 novembre 2018 dal consigliere Angelina-Maria Perrino;

udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore

generale Federico Sorrentino, che ha concluso per l’accoglimento

dell’ultimo motivo di ricorso;

sentiti per la società l’avv. Eugenio Briguglio e per l’Agenzia

delle entrate l’avvocato dello Stato Tidore Barbara.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La s.a.r.l. Dolce & Gabbana Luxembourg costituì in Lussemburgo il 4 marzo 2004 la s.a.r.l. GADO, alla quale è subentrata dapprima la s.r.l. con socio unico GADO e poi la s.r.l. con socio unico Dolce & Gabbana Trademarks, che pochi giorni dopo acquistò da D.D. e da G.S. i marchi di cui è proprietaria, dei quali concesse il diritto di sfruttamento in esclusiva, e a fronte del pagamento di royalties, alla s.r.l. Dolce & Gabbana, in virtù di contratto di licenza.

L’Agenzia delle entrate ravvisò nell’operazione un meccanismo volto a evitare l’assoggettamento delle royalties a ritenuta e a usufruire in Lussemburgo di un trattamento fiscale privilegiato e lo ritenne artificioso, perchè, sostenne, il centro decisionale della società era da collocare a Milano, presso la sede della s.r.l. Dolce & Gabbana, e non già a Lussemburgo, dove l’allora GADO non aveva struttura amministrativa e soltanto a partire dal 2006 contava una dipendente con mansioni di segretaria. L’Ufficio fece leva al riguardo su vasta corrispondenza e-mail intercorsa tra amministratori e dipendenti delle società, che a suo avviso documentavano l’esterovestizione della società oggetto di verifica.

Ne seguì un avviso di accertamento col quale, per il periodo d’imposta 2004/2005, l’Agenzia contestò alla GADO l’omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali e recuperò imposte dirette e irap.

La società impugnò l’avviso, senza successo nè in primo, nè in secondo grado.

In particolare, il giudice d’appello, dopo aver dato atto dell’adeguatezza della motivazione dell’avviso, ha convenuto con quello di primo grado che la GADO fosse stata costituita all’estero soltanto per ottenere un regime fiscale maggiormente favorevole, in quanto ha ritenuto che essa non avesse una propria organizzazione e fosse di fatto eterogestita, perchè rispondeva agli ordini a essa impartiti da Milano.

Contro questa sentenza propone ricorso la s.r.l. GADO per ottenerne la cassazione, che affida a cinque motivi, dei quali il quarto articolato in cinque subcensure, cui l’Agenzia replica con controricorso.

Presenta memoria la s.r.l. Dolce & Gabbana Trademarks con socio unico, succeduta alla GADO.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente respinta l’eccezione proposta dall’Agenzia d’inammissibilità del ricorso perchè privo del requisito della specificità, anche a causa della tecnica dell’assemblaggio con la quale è costruito.

Il ricorso per cassazione assemblato mediante integrale riproduzione di una serie di documenti, difatti, è comunque ammissibile qualora, espunti i documenti e gli atti integralmente riprodotti, in quanto facilmente individuabili ed isolabili, una volta ricondotto al canone di sinteticità, rispetti il principio di autosufficienza (tra le ultime, Cass. 4 aprile 2018, n. 8245).

E, nel caso in esame, le giunzioni tra i vari comparti del ricorso consentono di ritenere rispettato questo canone.

Parimenti infondata è l’ulteriore eccezione d’inammissibilità del ricorso, perchè tendente a una mera rivalutazione dei fatti, perchè la società sottopone a critica impianto di diritto e motivazione della sentenza impugnata.

2. – Col quarto motivo di ricorso, da esaminare preliminarmente, perchè logicamente prodromico, la contribuente lamenta:

– la violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 73, commi 5-bis e 5-ter e del D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 14, come convertito, là dove il giudice d’appello ha applicato il meccanismo presuntivo scaturente dalla combinazione delle suddette norme in relazione a un periodo d’imposta al quale tale combinazione non era applicabile;

– la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 73, comma 3 e il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, art. 49, là dove la Commissione tributaria regionale ha trascurato che sia il diritto interno, sia quello internazionale delle convenzioni escludono la rilevanza dei motivi sottesi a un’operazione e ai vantaggi fiscali da questa derivanti al fine d’individuare la residenza fiscale di una società oppure di risolvere eventuali conflitti tra ordinamenti in ordine ai criteri di localizzazione della residenza;

– l’insufficienza della motivazione in ordine al risparmio fiscale che secondo l’Agenzia sarebbe stato perseguito mediante la costituzione di GADO all’estero, in relazione alla collocazione dell’attività di direzione amministrativa e di gestione imprenditoriale della GADO in Italia e all’ubicazione dell’oggetto principale, nonchè con riguardo all’integrazione, nel periodo d’imposta accertato, del requisito temporale richiesto dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 73, comma 3, come presupposto indefettibile per ricondurre in Italia la residenza fiscale di una società avente sede legale all’estero.

2.1. – Questa Corte ha già avuto occasione di chiarire (si veda, in particolare, Cass. 7 febbraio 2013, n. 2869) che per esterovestizione s’intende la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero, in particolare in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale, allo scopo, ovviamente, di sottrarsi al più gravoso regime nazionale.

2.2.- Perchè, tuttavia, questo meccanismo risponda alla nozione di pratica abusiva occorre, per un verso, che esso abbia come risultato l’ottenimento di un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito dalle norme e, dall’altro, che da un insieme di elementi oggettivi risulti che lo scopo essenziale dell’operazione si limiti all’ottenimento di tale vantaggio fiscale (vedi Corte giust. 17 dicembre 2015, causa C419/14, WebMindLicenses Kft, punto 36).

Non è difatti sufficiente applicare criteri generali predeterminati, ma occorre passare in rassegna la singola operazione. Ciò perchè una presunzione generale di frode e di abuso non può giustificare nè un provvedimento fiscale che pregiudichi gli obiettivi di una direttiva, nè uno che pregiudichi l’esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato (in particolare, Corte giust. 7 settembre 2017, causa C-6/16, Equiom e Enka, punti 30-32).

E’ necessario quindi accertare che lo scopo essenziale di un’operazione si limiti all’ottenimento di tale vantaggio fiscale: ciò perchè quando il contribuente può scegliere tra due operazioni, non è obbligato a preferire quella che implica il pagamento di maggiori imposte, ma, al contrario, ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli consenta di ridurre la sua contribuzione fiscale (Corte giust. in causa C419/14, cit., punto 42; vedi, poi le sentenze Halifax e a., causa C-255/02, punto 73; Part Service, causa C-425/06, punto 47, nonchè Weald Leasing, causa C-103/09, punto 27, RBS Deutschland Holdings, causa C-277/09, punto 53 e, da ultimo, X BV e X NV, cause C-398/16 e 399/16, punto 49).

2.3. – Giustappunto con riguardo al fenomeno della localizzazione all’estero della residenza fiscale di una società, si è quindi sottolineato (Corte giust. 12 settembre 2006, in causa C196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas) che, in tema di libertà di stabilimento, la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per se stessa un abuso di tale libertà; una misura nazionale che restringe la libertà di stabilimento è ammessa soltanto se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate ad eludere la normativa dello Stato membro interessato.

2.4. – L’obiettivo della libertà di stabilimento è di permettere a un cittadino di uno Stato membro di creare uno stabilimento secondario in un altro Stato membro per esercitarvi le proprie attività e di partecipare così, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato membro diverso dal proprio di origine e di trarne vantaggio.

La nozione di stabilimento implica, quindi, l’esercizio effettivo di un’attività economica per una durata di tempo indeterminata, mercè l’insediamento in pianta stabile in un altro Stato membro: presuppone, pertanto, un insediamento effettivo della società interessata nello Stato membro ospite e l’esercizio quivi di un’attività economica reale.

Ne consegue che, perchè sia giustificata da motivi di lotta a pratiche abusive, una restrizione alla libertà di stabilimento deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale.

In definitiva, quel che rileva, ai fini della configurazione di un abuso del diritto di stabilimento, non è accertare la sussistenza o meno di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale, ma accertare se il trasferimento in realtà vi è stato o meno, se, cioè, l’operazione sia meramente artificiosa (wholly artificial arrangement), consistendo nella creazione di una forma giuridica che non riproduce una corrispondente e genuina realtà economica.

2.5. – In particolare poi, con riferimento alle imposte dirette e all’irap, occorre altresì che l’operazione rientri nel novero di quelle contemplate dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, comma 3, nel testo ratione temporis applicabile: una diversa opzione renderebbe incostituzionale qualsiasi disciplina, anche meramente procedurale, limitativa del divieto e porrebbe nel nulla la lettera dell’art. 37-bis, che ha invece espressamente previsto, quale “condizione” per l’inopponibilità all’amministrazione finanziaria degli effetti dell’elusione fiscale, l’utilizzazione di una o più tra le operazioni elencate nel comma 3 (Cass. 18 settembre 2015, nn. 18353, 18354, 18355 e 18356).

3. – Per quanto riguarda la fattispecie in esame, la normativa applicabile all’epoca dei fatti è costituita essenzialmente dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 87, comma 3 (poi divenuto, con la rinumerazione operata dal D.Lgs. n. 344 del 2003, art. 73, comma 3), in base al quale “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato”.

3.1. – Sono dunque tre i parametri ai quali è in via alternativa ancorata la residenza degli enti: uno di natura formale (la sede legale) e gli altri due di carattere sostanziale (l’oggetto principale e la sede dell’amministrazione).

Gli indici di natura sostanziale hanno chiara matrice civilistica, in quanto derivano dall’art. 2505 c.c., il quale, allo scopo di stabilire la disciplina applicabile a società costituite all’estero, prevedeva che “Le società costituite all’estero, le quali hanno nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione ovvero l’oggetto principale dell’impresa, sono soggette, anche per i requisiti di validità dell’atto costitutivo, a tutte le disposizioni della legge italiana”. La norma è stata poi abrogata e sostituita dall’art. 25 della L. 31 maggio 1995, n. 218, che ne ha, peraltro, riprodotto i contenuti, stabilendo che “Si applica, tuttavia, la legge italiana se la sede dell’amministrazione è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova l’oggetto principale di tale enti”.

3.2. – Viene altresì in rilievo la Convenzione tra Italia e Lussemburgo intesa a evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio ed a prevenire la frode e l’evasione fiscali, firmata il 3 giugno 1981 e ratificata e resa esecutiva con la L. 14 agosto 1982, n. 747: l’art. 4, in particolare, prevede, al comma 1, come criterio principale, che, ai fini della Convenzione, “l’espressione residente di uno Stato contraente designa ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è assoggettata ad imposta nello stesso Stato a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione o di ogni altro criterio di natura analoga”; e, al comma 3, come criterio sussidiario per le persone giuridiche, che, “quando, in base alle disposizioni del comma 1, una persona diversa da una persona fisica è considerata residente di entrambi gli Stati contraenti, si ritiene che essa è residente dello Stato contraente in cui si trova la sede della sua direzione effettiva”.

4. – Le due discipline, quella interna e quella pattizia, a ben vedere, sono sostanzialmente equivalenti, perchè la seconda rinvia, come criterio generale, alla legislazione interna ed assume, poi, come criterio sussidiario nel caso di accertata doppia residenza, quello della sede “effettiva” della società, che non è altro che il criterio decisivo anche per la norma interna, secondo la consolidata interpretazione dottrinale e giurisprudenziale di questa (vedi, in particolare, Cass. 7 febbraio 2013, n. 2869).

4.1. – La nozione di “sede dell’amministrazione”, infatti, in quanto contrapposta alla “sede legale”, si deve ritenere coincidente con quella di “sede effettiva” (di matrice civilistica), intesa come il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento – nei rapporti interni e con i terzi – degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente; laddove il criterio calibrato sull’oggetto principale identifica il luogo in cui si concretizzano gli atti produttivi e negoziali dell’ente nonchè i rapporti economici che esso intrattiene con i terzi.

5. – In definitiva, per determinare il luogo della sede dell’attività economica di una società occorre prendere in considerazione un complesso di fattori, al primo posto dei quali figurano la sede statutaria, il luogo dell’amministrazione centrale, il luogo di riunione dei dirigenti societari e quello, abitualmente identico, in cui si adotta la politica generale di tale società; possono essere presi in considerazione, tuttavia, anche altri elementi, quali il domicilio dei principali dirigenti, il luogo di riunione delle assemblee generali, di tenuta dei documenti amministrativi e contabili e di svolgimento della maggior parte delle attività finanziarie, in particolare bancarie (Corte giust. 28 giugno 2007, causa C-73/06, Planzer Luxembourg Sàrl).

6. – In applicazione di questi principi, con riferimento al versante penale della medesima vicenda in esame, la terza sezione penale di questa Corte (con sentenza 24 ottobre 2014/30 ottobre 2015, n. 43809) ha stabilito, in generale, che in caso di società con sede legale estera controllata ai sensi dell’art. 2359 c.c., comma 1, non può costituire criterio esclusivo di accertamento della sede della direzione effettiva l’individuazione del luogo dal quale partono gli impulsi gestionali o le direttive amministrative qualora esso s’identifichi con la sede (legale o amministrativa) della società controllante italiana, precisando che in tal caso è necessario accertare anche che la società controllata estera non sia costruzione di puro artificio, ma corrisponda a un’entità reale che svolge effettivamente la propria attività in conformità al proprio atto costitutivo o allo statuto.

6.1. – In particolare, la Corte ha svalutato la rilevanza della mancanza di autonomia gestionale e finanziaria delle dipendenti addette in successione alla sede della GADO, che agivano in base a direttive provenienti da Milano e veicolate dalle e-mail sulle quali punta anche la Commissione tributaria regionale della Lombardia.

E ciò sia alla luce della necessità d’interpretare le informazioni ricavabili dalle e-mail in base al complesso intreccio organizzativo e funzionale che intercorre tra una controllata e la sua controllante capo-gruppo, che fisiologicamente si risolve in un rapporto tra uffici e personale dell’una e dell’altra, sia perchè “resta difficile comprendere quale autonomia gestionale e finanziaria dovessero avere due semplici dipendenti per poter qualificare l’insediamento lussemburghese in termini di effettiva realtà. Una valutazione di tale natura avrebbe avuto un significato coerente se oggetto ne fosse stata l’attività del legale rappresentante (eventualmente “eterodiretto”)… Si comprende, in realtà, che dietro quel ripetuto richiamo alla mancanza di autonomia gestionale e finanziaria si cela l’ispirazione di fondo dell’intera decisione: la predisposizione degli aspetti gestionali ed organizzativi dell’attività di GADO s.a.r.l.” interamente in Italia, lasciando alla sede lussemburghese i soli compiti esecutivi. Con il che, però, si ammette che qualcosa in Lussemburgo effettivamente si faceva, sì da giustificare una sede amministrativa collocata in una struttura diversa da quella legale e i costi del personale dapprima distaccato, quindi direttamente assunto, che vi operava”.

Ancora recentemente la terza sezione penale di questa Corte (con sentenza 7 novembre 2018, n. 50151) ha ribadito che le società esterovestite non sono, per ciò soltanto, prive della loro autonomia giuridico-patrimoniale e, quindi, automaticamente qualificabili come schermi, ossia come assetti creati esclusivamente per farvi confluire i profitti degli illeciti fiscali.

7. – La complessiva censura proposta dalla contribuente si rivela allora fondata, in quanto il giudice d’appello ha esaurito la propria valutazione nella sbrigativa considerazione, meramente assertiva, che “il top management della Gado operava in Italia”, facendo leva su “gli impulsi, gli incontri per assumere le decisioni riguardanti la realizzazione dell’attività sociale”, senza valutare l’attività comunque svolta in Lussemburgo, che emerge proprio dalla corrispondenza e-mail valorizzata in senso opposto e trascritta in ricorso.

8. – L’accoglimento del quarto motivo determina l’assorbimento dei restanti, che riguardano la censura di nullità/illegittimità dell’avviso di accertamento perchè adottato a seguito d’indagini irritualmente avviate nei confronti di una società di diritto lussemburghese (primo motivo), la nullità/illegittimità dell’avviso di accertamento perchè adottato in carenza di potere (secondo motivo), l’illegittimità dell’avviso perchè viziato da eccesso di potere sotto l’aspetto della contraddittorietà della motivazione (terzo motivo) e la necessità di considerare i costi nella determinazione del reddito imponibile (quinto motivo).

9. – La sentenza impugnata va in conseguenza cassata, con rinvio, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione.

P.Q.M.

accoglie il quarto motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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