Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33233 del 16/12/2019

Cassazione civile sez. I, 16/12/2019, (ud. 30/10/2019, dep. 16/12/2019), n.33233

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29953/2015 proposto da:

L.P., elettivamente domiciliato in Roma, Corso Vittorio

Emanuele II, 18, presso lo studio Grez e Associati, rappresentato e

difeso dall’avvocato Zanati Fabio;

– ricorrente –

contro

F.lli D.P. Srl;

– intimato –

avverso la sentenza n. 11455/2014 del TRIBUNALE di MILANO, depositata

il 30/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/10/2019 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 11455/2014, depositata il 30.9.2014, il Tribunale di Milano, per quanto rileva, ha rigettato l’impugnativa proposta da L.P. avverso le deliberazioni assunte dall’assemblea dei soci della F.lli D.P. s.r.l. in data 30.4.2011, con cui era stato approvato il bilancio 2010, ripianate totalmente le perdite degli esercizi precedenti e parzialmente la perdita dell’ultimo esercizio mediante rinuncia da parte dei soci ai finanziamenti infruttiferi effettuati a favore della società. Il L. aveva dedotto di non essere mai stato convocato per la predetta assemblea nè di avervi partecipato, con la conseguenza che non aveva mai rinunciato al suo credito da rimborso dei finanziamenti fruttiferi.

Il Tribunale di Milano ha osservato che il L. non aveva dedotto alcun mezzo di prova, nei termini a tal fine concessigli, per dimostrare di non aver partecipato all’assemblea del 30.4.2011 (così come a quelle del 30.4.2009 e 30.4.2010), risultando, per contro, dai verbali inseriti nel libro delle decisioni dei soci, depositati nel registro delle imprese, che a tali assemblee fu presente l’intero capitale sociale e che, pertanto, le stesse assemblee si costituirono validamente senza necessità di ulteriori formalità.

La Corte d’Appello di Milano ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c. osservando che il L., nel dedurre di non essere stato presente alle assemblee, non aveva proposto querela di falso per contestare l’attestazione del presidente dell’assemblea, “non essendo la questione di falso in scrittura privata dirimibile attraverso una diversa distribuzione degli oneri probatori tra le parti”.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione L.P. affidandolo a quattro motivi.

La F.lli D.P. s.r.l. non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 101,115,115,126,132,184,221,222,293,295 e 348 bis e ter c.p.c., art. 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3..

Lamenta il ricorrente che potendo l’ordinanza ex art. 348 c.p.c. essere pronunciata solo per fattispecie attinenti al merito della causa, con esclusione delle fattispecie di inammissibilità ed improcedibilità conseguenti a fattispecie pregiudiziali e/o di rito, nel caso di specie, il provvedimento della Corte d’Appello si fonda su una questione pregiudiziale, ovvero la mancata proposizione della querela di falso dei verbali dell’assemblea della F.lli D.P. s.r.l..

Peraltro, la Corte ha errato nell’applicazione dell’art. 221 c.p.c. atteso che l’odierno ricorrente non era decaduto dalla possibilità di proporre querela di falso.

Infine, la Corte di merito, con il provvedimento di inammissibilità, ha precluso al ricorrente la possibilità di introdurre la querela nel giudizio d’appello.

2. Il motivo è inammissibile.

E’ pur vero che, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, la decisione che pronunci l’inammissibilità dell’appello per ragioni processuali, ancorchè adottata con ordinanza richiamante l’art. 348 ter c.p.c. ed eventualmente nel rispetto della relativa procedura, è impugnabile con ricorso ordinario per cassazione, trattandosi, nella sostanza, di una sentenza di carattere processuale che, come tale, non contiene alcun giudizio prognostico negativo circa la fondatezza nel merito del gravame, differendo, così, dalle ipotesi in cui tale giudizio prognostico venga espresso, anche se, eventualmente, fuori dei casi normativamente previsti (Cass. Sez. U. 1914/2016). Tuttavia, nel caso di specie, l’ordinanza della Corte d’Appello non è affatto basata su ragioni di ordine processuale, bensì sul rilievo – di ordine sostanziale – che, non essendo stata presentata querela di falso avverso il verbale di assemblea, l’accertamento, in esso contenuto, della presenza del socio impugnate non poteva più essere messo in discussione. Ne deriva l’inammissibilità del ricorso per cassazione in quanto proposto avverso la medesima ordinanza.

3. Con il secondo motivo è statala violazione e falsa applicazione degli artt. 126,132134,184,221,348 bis/ter c.p.c. e art. 2702 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3..

Lamenta il ricorrente che avendo la Corte d’Appello fornito una motivazione autonoma e diversa rispetto a quella del Tribunale (che aveva fondato il rigetto della domanda sul rilievo che il ricorrente non aveva dedotto prove per attestare la sua assenza alle assemblee di approvazione del bilancio), lo stesso giudice ha pronunciato un’ordinanza di inammissibilità illegittima, in quanto pronunciata al di fuori delle ipotesi di cui all’art. 348 bis c.p.c..

4. Il motivo è inammissibile.

La circostanza che la Corte d’Appello abbia fornito una motivazione in fatto diversa rispetto a quello del giudice di primo grado non rende certo l’ordinanza ex art. 348 bis c.p.c. per questo autonomamente impugnabile.

In proposito, questa Corte ha già statuito (vedi Cass. n. 13835/2019; vedi anche 23334/2019), che la prognosi che spetta al giudice d’appello, nel valutare la “ragionevole probabilità” dell’impugnazione di essere accolta, non cessa di essere tale – e il provvedimento che ne dà conto non si colloca per ciò solo al di fuori dal modello normativo suo proprio – ove si basi su argomentazioni estranee alla pronuncia del giudice di prima istanza. Infatti, la possibilità che la pronuncia di secondo grado possa basare il giudizio prognostico su “ragioni” diverse da quelle prese in considerazione dal giudice di primo grado è coerente con il sistema ed è presupposta proprio dall’art. 348 ter c.p.c., il quale al comma 4 prevede che “il ricorso per cassazione di cui al comma precedente” – intendendo quindi per tale il ricorso avverso il provvedimento di primo grado non può essere proposto per il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 nell’ipotesi in cui l’ordinanza di inammissibilità si fondi sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata.

Dunque, è lo stesso legislatore a riconoscere, implicitamente, che l’ordinanza pronunciata dal giudice di appello possa fondarsi su un percorso argomentativo diverso da quello seguito nella sentenza di primo grado, con l’unica conseguenza che in una tale eventualità quest’ultima pronuncia può essere impugnata in cassazione anche con il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. e non solo con quelli di cui ai numeri da 1 a 4.

5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 214,221 c.p.c. e artt. 2697 e 2702 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3..

Lamenta il ricorrente che essendo i verbali delle assemblee 30 aprile 2009, 30 aprile 2010 e 30 aprile 2011 dei verbali ordinari redatti senza la presenza del notaio, devono essere qualificati come scritture private non riconosciute, con la conseguenza che non occorre la querela di falso per contestare le affermazioni ed i fatti ivi contenuti.

6. Il motivo è inammissibile, essendo anch’esso rivolto, come i primi due, avverso l’ordinanza della Corte d’Appello e non contro la sentenza di primo grado.

7.. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2379 e 2479 ter c.c. e art. 214 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3..

Lamenta il ricorrente che la sentenza del giudice di primo grado ha errato nella ripartizione dell’onere della prova, essendo stata richiesto all’attore di documentare la propria assenza all’assemblea quando sarebbe stato, invece, onere della società provare la convocazione del socio e la presenza di quest’ultimo all’assemblea.

Una tale prova non è stata mai fornita dalla società intimata.

8. Il quarto motivo è infondato.

Non vi è dubbio che il verbale di assemblea ordinaria di una società di capitali abbia senz’altro una efficacia probatoria, avendo la finalità di documentare quanto avvenuto in sede di assemblea (data assemblea, identità dei partecipanti, capitale rappresentato da ciascuno, modalità e risultato delle votazioni, eventuali dichiarazioni dei soci) e ciò in funzione del controllo delle relative attività anche da parte dei soci assenti e dissenzienti (addirittura la sua eventuale mancanza dà luogo ad una nullità della deliberazione dell’assemblea, a norma dell’art. 2379 c.c., che può essere fatta valere da qualsiasi interessato). Tuttavia, non essendo tale verbale dotato di fede privilegiata, i soci possono far valere eventuali sue difformità rispetto alla realtà effettuale con qualsiasi mezzo di prova, con la conseguenza che, in caso di mancato assolvimento dell’onere probatorio sugli stessi incombente, quanto documentato dal verbale non può essere più messo in discussione.

In proposito, questa Corte ha già statuito che nel caso di deliberazione adottata dall’assemblea di una s.r.l., in difetto di regolare convocazione, qualora nel relativo verbale sia dato atto della partecipazione di tutti i soci – personalmente, ovvero in quanto rappresentati su delega – incombe su colui il quale impugna la deliberazione l’onere di provare il carattere non totalitario dell’assemblea (Cass. n. 17950 del 08/09/2005).

Nel caso di specie, il Tribunale di Milano ha coerentemente argomentato che l’attore non aveva neppure dedotto mezzi istruttori per dimostrare la falsità del verbale con riferimento alla partecipazione totalitaria dei soci (e quindi compresa la sua, che è stata, invece, contestata) alle assemblee della società.

Il ricorrente ha solo invocato una erronea applicazione della regola di ripartizione dell’onere della prova.

Il rigetto del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, non essendosi la società costituita in giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello del ricorso principale dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 30 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019

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