Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33230 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 21/12/2018, (ud. 06/11/2018, dep. 21/12/2018), n.33230

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24127-2013 proposto da:

EDIZIONI NEXT SRL in persona del legale rappresentante pro tempore,

RMB SRL in persona del legale rappresentante pro tempore, NUOVA

RADIO SPA in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIALE G. MAZZINI 11, presso lo

studio dell’avvocato GABRIELE ESCALAR, che li rappresenta e difende

giusta delega a margine;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 41/2013 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 12 marzo 2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06

novembre 2018 dal Consigliere Dott. MILENA BALSAMO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito per i ricorrenti l’Avvocato ESCALAR che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato CASELLI che ha chiesto il

rigetto.

Fatto

RITENUTO

che:

1. La società Nuova Radio – acquistati impianti di trasmissione radio della società edizioni Next, regolarmente fatturati – impugnava, unitamente alla cedente e alla società RMB srl – l’avviso con il quale l’ufficio, ritenendo trattarsi di cessione di ramo d’azienda ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, sottoponeva l’atto a imposta di registro proporzionale.

A sostegno del ricorso eccepiva la decadenza dal potere impositivo, il difetto di motivazione e contestava la fondatezza dell’avviso, assumendo che la cessione atteneva a singoli impianti e non al ramo d’azienda.

La CTP di Milano accoglieva i ricorsi delle società con sentenza appellata dall’amministrazione finanziaria.

La C.T.R. della Lombardia accoglieva il gravame, rilevando che l’operazione di trasferimento degli impianti e dell’autorizzazione ministeriale a trasmettere, fossero elementi integranti in realtà una cessione d’azienda.

Le società contribuenti ricorrono per la cassazione della sentenza n. 41/11/13 della C.T.R. della Lombardia, svolgendo sette motivi, illustrati con memorie, nella quale si evidenziava, altresì, che la società Nuova Radio era stata incorporata nella società “Il Sole 24 ore”.

L’ufficio si è costituito con controricorso.

Il P.G. ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

2. Con il primo ed il secondo motivo si assume la nullità della sentenza ex art. 360, n. 4 per la violazione del D.Lgs.. n. 546 del 1992, art. 53 e dell’art. 342 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto la validità dei gravami, nonostante la mancata indicazione della CTR adita e l’omessa indicazione dei motivi specifici.

3. Le censure sono destituite di fondamento.

Sotto il primo profilo, deve confermarsi il principio espresso dalle SS.UU. 29 gennaio 2000, n. 16, secondo cui i vizi degli atti processuali – irregolarità, nullità, inesistenza – debbono essere tenuti distinti dalle conseguenze giuridiche che dagli stessi derivano, dovendo pertanto distinguersi, nell’ambito del vizio di invalidità dell’atto processuale integrante “nullità per inidoneità al raggiungimento dello scopo”, avuto riguardo alla specifica funzione che il requisito mancante dell’atto è destinato ad assolvere nel processo, le ipotesi in cui il vizio possa essere sanato mediante rinnovazione dello stesso atto ovvero in cui lo scopo possa ritenersi egualmente raggiunto con la costituzione in giudizio del convenuto/appellato – in relazione all’art. 156 c.p.c., comma 3 e all’art. 164 c.p.c., commi 2 e 3 – da quelle, invece, in cui il vizio risulti inemendabile e come tale ostativo all’esame del merito della impugnazione, determinandone la inammissibilità, non potendo venir meno il vizio “nè attraverso la cooperazione dell’appellato, nè attraverso il comportamento dell’appellante” (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 11227 del 18/07/2003; id. Sez. 5, Sentenza n. 9169 del 21/04/2011; n. 20787/2013).

Nella fattispecie, l’omessa indicazione della Commissione adita non ha impedito alle contribuenti di costituirsi tempestivamente e difendersi nel merito.

Sotto il secondo profilo, questa Corte ha affermato che “in tema di contenzioso tributario, la mancanza o l’assoluta incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione, le quali, ai sensi del D.Lgs.. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 1, determinano l’inammissibilità del ricorso in appello, non sono ravvisabili qualora l’atto di appello… benchè formulato in modo sintetico, contenga una motivazione e questa non possa ritenersi “assolutamente” incerta, essendo interpretabile, anche alla luce delle conclusioni formulate, in modo non equivoco” (Cass. 6473/2002) ed, inoltre, “non essendo imposta dalla norma rigidi formalismi, gli elementi idonei a rendere “specifici i motivi d’appello possono essere ricavati, anche per implicito purchè in maniera univoca, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni” (Cass. 1224/2007).

Come poi ribadito da questa Corte (Cass. ord. 14908/2014), nel processo tributario, anche “la riproposizione in appello delle stesse argomentazioni poste a sostegno della domanda disattesa dal giudice di primo grado – in quanto ritenute giuste e idonee al conseguimento della pretesa fatta valere – assolve l’onere di specificità dei motivi di impugnazione imposto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, ben potendo il dissenso della parte soccombente investire la decisione impugnata nella sua interezza”.

Nella specie, l’appellante, chiedendo l’annullamento della decisione di primo grado, contestava la motivazione e l’erronea valutazione operata dai giudici della C.T.P., in ordine alla fondatezza della riqualificazione dell’atto.

Risulta, pertanto, che l’appello fosse sufficientemente specifico e contenesse quella necessaria “parte argomentativa che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, con espressa e motivata censura, miri ad incrinarne il fondamento logico giuridico” (Cass. S.U. 23299/2011; n. 20379/2017).

4. Con il terzo motivo, le ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione del D.L. n. 201 del 2011, art. 40, della L. n. 212 del 2000, art. 3, nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, ex art. 360 c.p.c., n. 3, per non avere il decidente applicato lo jus superveniens, pure espressamente evocato dalle contribuenti, con il quale il legislatore avrebbe escluso che la qualificazione assegnata agli effetti tributari dei contribuenti ai contratti di compravendita di impianti di radiodiffusione posti in essere prima del 28 dicembre 2011, potesse essere sindacata dall’ufficio.

5. La censura è fondata, assorbite le altre (attinenti alla violazione delle direttive comunitarie in materia di subentro nelle concessioni amministrative e denuncianti vizi di motivazione).

La censura deduce l’erronea qualificazione del rapporto giuridico in termini di cessione di ramo aziendale (con assoggettamento ad imposta di registro) invece che di assunzione di determinati obblighi operativi con contestuale trasferimento di un bene (ripetitore) singolarmente considerato (con assoggettamento ad Iva).

Va in proposito dato conto della sopravvenienza in corso di causa di un elemento normativo imprescindibile, costituito dal D.Lgs. n. 177 del 2005, art. 27, comma 7 bis, (come introdotto dal D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 40, comma 9 bis, convertito dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, in vigore dal 28 dicembre 2011) secondo cui: “La cessione anche di un singolo impianto radiotelevisivo, quando non ha per oggetto unicamente le attrezzature, si considera cessione di ramo d’azienda. Gli atti relativi ai trasferimenti di impianti e di rami d’azienda ai sensi del presente articolo, posti in essere dagli operatori del settore prima della data di entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente comma, sono in ogni caso validi e non rettificabili ai fini tributari”.

La disposizione ha stabilito, per le future cessioni d’impianto, un rigido criterio di qualificazione, ma – al contempo – ha inteso assicurare l’intangibilità fiscale delle cessioni pregresse (come la presente risalente all’anno 2009), onde garantire certezza di programmazione ed operatività agli operatori di un settore economico reputato di particolare rilevanza e delicatezza (Cass. nn. 1969 e 1968 del 2018; nn. 31071, 31072 e 18489 del 2017; 17515 del 2017).

Sul punto è anzi intervenuta la stessa amministrazione finanziaria che, con la Risoluzione n. 33/E del 10 aprile 2012, ha chiarito – proprio al fine di stabilire il più appropriato regime di tassazione, nell’alternatività tra Iva ed imposta di registro – che: “- (…) con l’intervento normativo in esame, il legislatore ha inteso superare le incertezze interpretative emerse in relazione alla qualificazione delle cessioni di impianti radiotelevisivi, trattate, in alcuni casi, come cessioni di beni e, in altri, come trasferimenti di ramo d’azienda; – trattandosi di qualificare l’atto secondo l’effettivo oggetto del trasferimento, così come disposto dalla norma sopravvenuta, si deve ritenere “che la cessione delle attrezzature unitamente ad altre risorse (quali frequenze, marchi, brevetti) configuri una cessione di azienda o di ramo d’azienda, come tale esclusa dal campo di applicazione dell’IVA, mentre il trasferimento delle sole ‘attrezzaturè configuri una cessione di beni, rilevante ai fini dell’imposta sul valore aggiunto”; – sono comunque fatti salvi “i comportamenti pregressi adottati dagli operatori del settore, riconoscendosi in ogni caso la validità della qualificazione giuridico – tributaria attribuita agli atti relativi alla cessione di impianti radiotelevisivi come definiti dalla disposizione in esame, posti in essere prima dell’entrata in vigore della disposizione stessa”.

Da ciò si evince come la stessa amministrazione finanziaria abbia riconosciuto l’intangibilità, ai sensi di legge, delle cessioni pregresse; per le quali resta ferma la qualificazione giuridica datane dalle parti.

6. E che, nel caso di specie, la qualificazione adottata dai contraenti rispondesse appunto non alla cessione di un ramo aziendale, bensì alla cessione di un ripetitore singolarmente considerato, doveva desumersi in ragione delle seguenti convergenti considerazioni, evidenziabili dalla stessa sentenza di appello: la cessione di ripetitori con connesse autorizzazioni ministeriali, senza la cessione di alcuna componente organizzativa.

L’impianto ceduto era costituito da apparecchiature di trasmissione funzionali all’esercizio di attività radiotelevisiva e l’autorizzazione ministeriale menzionata nell’accordo e trasferita con l’impianto (derivante dalla peculiarità dell’attività esercitata e dalla sua rilevanza di interesse generale) abilitava il cessionario all’uso del singolo e specifico ripetitore al quale era associata, non anche al complessivo esercizio aziendale nel cui ambito esso fosse in ipotesi inglobato per lo svolgimento dell’ attività imprenditoriale della emittente (la stessa disciplina speciale di settore – già vigente al momento di stipulazione dell’atto questione – ammetteva la possibile coesistenza, tra aziende abilitate all’attività di emissione radiotelevisiva con tecnologia digitale, di cessioni contrattuali aventi alternativamente ad oggetto non solo “rami d’azienda” ma anche “impianti” singolarmente considerati (L. n. 112 del 2004 , art. 23, comma 3; D.Lgs. n. 177 del 2005cit., art. 27).

Tutto ciò, in definitiva, esclude che la qualificazione giuridica impressa dalle parti al contratto fosse nel senso della cessione di azienda o di ramo aziendale; Questa era dunque la qualificazione giuridica divenuta ex lege fiscalmente insuscettibile di rettifiche postume da parte dell’amministrazione finanziaria (D.Lgs. n. 177 del 2005 cit., art. 27, comma 7 bis).

In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va dunque cassata.

Poichè non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, nè sono state dedotte altre questioni controverse, sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., mediante accoglimento del ricorso introduttivo della società contribuente.

La definizione della controversia iure superveniente impone di compensare le spese processuali di ogni fase e grado.

P.Q.M.

La Corte

– accoglie il ricorso;

– cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ex art. 384 c.p.c., accoglie il ricorso introduttivo della società contribuente;

– compensa le spese di legittimità e merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 6 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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