Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33221 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 21/12/2018, (ud. 13/04/2018, dep. 21/12/2018), n.33221

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 25821/2011 R.G. proposto da:

C.R., rappresentato e difeso dall’avv. Guido Ferrari e

dall’avv. Luciana Rostelli, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultima, in Roma, via Ombrone, n. 12;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, alla via Portoghesi, n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende come per legge;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI TIONE DI TRENTO, in persona del

Direttore pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 35/02/10 della Commissione Tributaria

regionale di Secondo grado di Trento depositata il 14 settembre

2010;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13/4/2018 dal

Consigliere Pasqualina Anna Piera Condello;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale, dott. Pasquale Fimiani, che ha concluso chiedendo il

rigetto del ricorso;

udito il difensore della parte ricorrente, avv. Francesco Falcitelli,

per delega dell’avv. Guido Ferrari;

udito il difensore della parte controricorrente, Avv. Carlo Maria

Pisana.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Commissione Tributaria provinciale di primo grado di Trento accoglieva il ricorso proposto da C.R. avverso l’avviso di accertamento emesso a suo carico per il recupero a tassazione di plusvalenza imponibile ai fini Irpef per l’anno d’imposta 2001.

L’Ufficio, in particolare, a seguito di donazione di un terreno edificabile da parte del contribuente in favore della moglie, la quale, dopo circa due mesi, lo aveva rivenduto a terzi ad un prezzo pari al valore indicato nell’atto di donazione, aveva disposto il recupero della plusvalenza, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, a carico del donante.

Il giudice di primo grado, pur riconoscendo l’ammissibilità dell’abuso del diritto in ambito tributario, riteneva illegittimo il recupero d’imposta, rilevando altresì che, in regime di comunione dei beni, i proventi della vendita del bene ottenuto per donazione restavano nella disponibilità del donatario e non entravano nella comunione.

La Agenzia delle Entrate proponeva appello deducendo che la motivazione era contraddittoria e che il contribuente non aveva opposto validi motivi alla contestazione dell’Ufficio, essendosi limitato a sostenere la sua volontà di fare un regalo alla moglie; evidenziava pure che la clausola inserita nel patto matrimoniale, in forza della quale in caso di vendita del terreno “una parte del ricavato compresa tra lo 0 ed il 20% dovrà rientrare nella disponibilità della famiglia per spese riguardanti la casa, viaggi comuni e spese per la salute”, faceva pensare alla non completa fruibilità della somma da parte della donataria, la quale, sulla base di quanto emerso dalla situazione patrimoniale, era entrata nella disponibilità solo di parte della somma.

La Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello, ritenendo che la donazione effettuata dal contribuente sicuramente aveva comportato un risparmio fiscale e che il C. ben avrebbe potuto vendere il terreno ed entrare in possesso del corrispettivo che avrebbe successivamente potuto mettere a disposizione della moglie, la quale avrebbe potuto godere a pieno del regalo, senza mettere a disposizione della famiglia parte della somma.

Aggiungeva che nè in primo nè in secondo grado era stato dimostrato che la moglie del contribuente avesse effettivamente incassato l’intero corrispettivo della vendita e che l’Ufficio aveva individuato gli aspetti e le particolarità che avevano fatto ritenere l’operazione priva di reale contenuto economico diverso dal risparmio di imposta.

C.R. ha proposto ricorso per cassazione, con quattro motivi, cui resiste la Agenzia delle Entrate con controricorso.

Il contribuente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione o falsa applicazione degli artt. 3,23,53 e 97 Cost., della L. n. 212 del 2000, art. 1, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 81 (ora 67), comma 1, lett. b).

Premettendo che nell’avviso di accertamento la operazione era stata qualificata come ipotesi di interposizione fittizia di persona ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 e che nel giudizio di primo grado era stata inquadrata nel più ampio istituto dell'”abuso del diritto”, il ricorrente ha posto in rilievo che la definizione e l’ambito di applicazione dell’istituto del cd. “abuso diritto”, elaborati dalla sentenza della Corte di Giustizia del 21 gennaio 2006 resa in causa C-255/02 Halifax, sono stati poi recepiti dalla giurisprudenza di questa Corte e che gli strumenti accertativi dell’abuso del diritto e della interposizione fittizia di persona, che consentono di disconoscere la rilevanza fiscale di operazioni valide sotto altri profili, possono essere correttamente applicati solo qualora risultino rispettati altri principi di rango costituzionale che governano la materia fiscale, quali il principio di eguaglianza, la riserva di legge sull’imposizione di prestazioni anche patrimoniali (art. 23 Cost.), la capacità contributiva (art. 53 Cost) ed il principio di buon andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.), principi tutti richiamati dall’art. 1 dello Statuto del contribuente.

Lamenta che la sentenza, non tenendo conto del regime impositivo previsto in materia di donazione dal T.U.I.R., art. 81(ora 67), comma 1, lett. b) – che prevede che la donazione non genera plusvalenza in capo al donante – ha ritenuto applicabile l’abuso del diritto ad una fattispecie che integra tutti i presupposti di applicazione del cit. T.U.I.R., art. 81,violando in tal modo i principi costituzionali sopra indicati, ed in particolare la riserva di legge di cui all’art. 23 Cost., e, pur avendo accertato l’esistenza della donazione posta in essere nei confronti della moglie, ha censurato il risparmio fiscale proveniente da detta operazione rispetto alla alternativa della cessione del terreno e della successiva attribuzione alla moglie del ricavato.

2. Con il secondo motivo il ricorrente, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., assume che la Commissione tributaria regionale non ha fatto corretta applicazione dei criteri di ripartizione dell’onere della prova in tema di abuso del diritto, dato che l’avviso di accertamento adduce quali esclusive motivazioni della ripresa a) la illogicità della donazione del terreno, atteso che, secondo l’Ufficio, il contribuente avrebbe potuto conseguire lo scopo voluto donando alla moglie quanto ricavato dalla vendita e pagando le imposte dovute sulla plusvalenza imponibile b) la antieconomicità della donazione, atteso che la donataria era stata onerata del pagamento di Euro 10.758,33 a titolo di imposta sulla donazione al fine di poter ricevere il terreno dal marito.

Ha fatto, inoltre, rilevare che il giudice di appello ha erroneamente ritenuto che fosse onere del contribuente dimostrare che il corrispettivo della vendita era stato interamente percepito dalla moglie e che l’Ufficio non aveva individuato aspetti che potessero far ritenere l’operazione priva di reale contenuto economico.

3. Con il terzo motivo la sentenza viene censurata per insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Il ricorrente, richiamando argomentazioni difensive già esposte con il secondo motivo, sottolinea che la motivazione appare carente di qualsiasi riferimento agli elementi evidenziati nelle proprie difese ed illogica e contraddittoria laddove si afferma che l’operazione è abusiva perchè il contribuente ha posto in essere una donazione in favore della moglie, adottando una forma che non corrisponde a quella fiscalmente più onerosa.

4. Con il quarto motivo il ricorrente censura la sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, nella parte in cui il giudice di appello non ha provveduto alla disapplicazione delle sanzioni, pur sussistendo, nella specie, una obiettiva incertezza della norma.

5. Il terzo motivo è fondato e assorbe i restanti motivi.

6. Questa Corte ha avuto modo di affermare, in materia di operazioni elusive e imposte sui redditi, la possibilità di dichiarare inopponibili all’Amministrazione finanziaria, in applicazione di un principio generale antielusivo desumibile dall’art. 53 Cost., ma anche dei principi comunitari, i benefici fiscali derivanti dalla combinazione di operazioni a ciò volte.

E’ stato, in particolare, precisato che il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici. Tale principio non contrasta con il canone della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali da essa non derivanti, bensì nel disconoscimento degli effetti di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali, e comporta l’inopponibilità del negozio all’Amministrazione finanziaria per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretende di far discendere dall’operazione elusiva (Cass. n. 3938 del 19/2/2014).

Con riguardo ai criteri di ripartizione dell’onere della prova, si è pure chiarito che incombe sull’Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo sia delle modalità di alterazione degli schemi negoziali classici, mentre spetta al contribuente l’onere di allegare l’esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che possano giustificare operazioni in tal modo strutturate (Cass. n. 4603 del 26/2/2014).

Occupandosi delle vicende negoziali aventi ad oggetto cessioni di beni a titolo gratuito e di atti negoziali di trasferimento verso corrispettivo, questa Corte ha ulteriormente posto in evidenza che la disciplina antielusiva dell’interposizione, prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37, comma 3, non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale che costituisce il presupposto d’imposta; ciò comporta che il fenomeno della simulazione relativa, nell’ambito della quale può ricomprendersi l’interposizione fittizia di persona, non esaurisce il campo di applicazione della norma, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo anche mediante operazioni effettive e reali (Cass. n. 5937 del 25/3/2015; n.12788 del 10/6/2011; n. 21794 del 15/10/2014).

Il carattere reale, e non simulato, dell’operazione e la effettiva percezione del prezzo da parte dei venditori-donatari, non sono sufficienti ad escludere lo scopo elusivo dell’operazione negoziale posta in essere, nella sequenza donazione-vendita (Cass. n. 449 del 10/1/2013).

7. Premesso ciò, il giudice di appello, analizzando gli atti di causa, dopo avere richiamato la giurisprudenza di questa Corte e quella della Corte di Giustizia in materia di cd. “abuso di diritto” ed avere individuato i criteri di ripartizione dell’onere della prova, rilevando che incombe sulla Amministrazione finanziaria la indicazione delle peculiarità che fanno ritenere l’operazione priva del reale contenuto economico diverso dal risparmio di imposta, ha affermato in modo apodittico, con motivazione del tutto insufficiente, che la donazione effettuata dal ricorrente in favore della moglie ha sicuramente costituito un risparmio fiscale e che il contribuente, al fine di elargire un regalo alla moglie, avrebbe potuto vendere il terreno ed entrare in possesso del corrispettivo che poteva poi cedere alla moglie, la quale, a sua volta, non avrebbe dovuto metterlo a disposizione della famiglia, come previsto nel patto matrimoniale, ma avrebbe potuto fruire interamente della somma ricavata.

Ha, inoltre, motivato che nel giudizio di merito non è stata offerta prova che la moglie del contribuente abbia interamente percepito il corrispettivo della transazione e che “l’Ufficio ha individuato gli aspetti e le particolarità che hanno fatto ritenere l’operazione priva di reale contenuto economico diverso dal risparmio d’imposta….”, aggiungendo pure che “il contribuente ha scelto l’operazione che gli ha consentito di non pagare l’imposta”.

La decisione appare viziata sotto il profilo motivazionale, in quanto non rende conto, attraverso una adeguata e logica esposizione dell’iter logico osservato, delle ragioni che hanno condotto il giudice a ritenere sussistente l’intento elusivo.

La Commissione tributaria regionale, infatti, non ha chiarito quali indizi, gravi, precisi e concordanti sono stati addotti dall’Ufficio a sostegno della pretesa finalità abusiva della operazione, nè ha preso in esame le difese svolte dal contribuente.

Nella valutazione degli elementi a sua disposizione il giudice di appello, partendo dal presupposto che l’operazione posta in essere consentiva al contribuente di ottenere un risparmio fiscale, si è limitato a valorizzare esclusivamente la mancanza di prova che la moglie del contribuente abbia effettivamente incassato l’intero corrispettivo, ma non ha in alcun modo spiegato sulla base di quali elementi indiziari e presuntivi offerti dall’Amministrazione abbia configurato in capo al donante l’imputazione del reddito, costituito dalla plusvalenza derivante dalla cessione del terreno, che sarebbe stata quindi effettuata dalla moglie quale mero soggetto interposto.

Giova, in proposito, considerare che, sebbene sia incontestata la esistenza dell’atto di vendita da parte della B. in favore di un terzo per un corrispettivo corrispondente al valore indicato nell’atto di donazione, il giudice non ha evidenziato la esistenza di eventuali indici, quali il versamento di acconti in favore del donante e la partecipazione di quest’ultimo alle trattative per la vendita, idonei a supportare la assenza di spirito di liberalità e, comunque, la strumentalità dell’operazione finalizzata esclusivamente ad evitare il carico fiscale della plusvalenza.

D’altro canto, sebbene sia indubitabile che la prova della natura elusiva delle operazioni poste in essere dal contribuente possa scaturire da presunzioni e che spetti al contribuente fornire la prova della esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti con carattere non meramente marginale che giustifichino l’operazione stessa, nella fattispecie in esame la estrema sinteticità della motivazione resa dalla Commissione Tributaria regionale non permette di valutare se gli elementi forniti dall’Ufficio possano considerarsi sufficienti, per la loro univocità e concludenza, a supportare la pretesa fiscale avanzata dall’Amministrazione nei confronti del contribuente.

In conclusione, deve essere accolto il terzo motivo, assorbiti i restanti motivi, e la sentenza va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria regionale di Secondo grado di Trento, in diversa composizione, per il riesame, oltre che per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo e dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione Tributaria di Secondo grado di Trento, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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