Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33212 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. un., 21/12/2018, (ud. 04/12/2018, dep. 21/12/2018), n.33212

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente f.f. –

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente di Sez. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente di Sez. –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22063-2017 proposto da:

REGIONE LAZIO, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 1, presso lo studio

dell’avvocato FEDERICO GHERA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

DIRER – DIRL LAZIO – ASSOCIAZIONE DIRIGENTI E QUADRI DIRETTIVI DELLA

REGIONE LAZIO E DEGLI ENTI COLLEGATI, aderente alla DIRER SIDirSS –

Sindacato autonomo dei dirigenti, quadri direttivi e professionisti

delle Regioni e del Servizio Sanitario Nazionale e degli altri enti

pubblici, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.P. DA PALESTRINA 19, presso

lo studio dell’avvocato DOMENICO TOMASSETTI, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

e contro

S.D.A., F.G.;

– intimati –

per regolamento di giurisdizione in relazione al giudizio pendente n.

14220/2016 del TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE di ROMA;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/12/2018 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale,

Dott. MASTROBERARDINO PAOLA, il quale chiede che le Sezioni Unite

della Corte accolgano parzialmente il ricorso, affermando la

giurisdizione del giudice ordinario per le doglianze aventi ad

oggetto l’Atto di organizzazione n. G12151 del 19.10.2016 (per la

ricerca di professionalità per il conferimento dell’incarico) e la

Delib. Giunta 29 novembre 2016, n. 724, nonchè per l’esame dei

motivi aggiunti concernenti la violazione dei criteri di priorità

dell’esame delle candidature interne; la motivazione del

provvedimento di conferimento in ordine al mancato rinvenimento di

candidature interne e l’omesso controllo di legittimità da parte

del Responsabile del ruolo.

Fatto

RITENUTO

che con ricorso proposto al Tribunale amministrativo regionale del Lazio la DIRER-DIRL LAZIO (Associazione dei dirigenti e dei quadri direttivi della Regione Lazio e degli Enti collegati, d’ora in avanti solo DIRER) e due dirigenti regionali hanno chiesto l’annullamento dei seguenti atti: 1) Regolamento regionale 12 ottobre 2016, n. 20, recante modifiche al Regolamento di organizzazione degli uffici e dei servizi della Giunta regionale n. 1 del 2002; 2) l’Atto di organizzazione 19 ottobre 2016, n. G12151, con il quale la Regione ha avviato la ricerca di professionalità per il conferimento dell’incarico di Segretario generale della Giunta regionale; 3) la Delib. Giunta 15 novembre 2016, n. 686 avente ad oggetto modifiche al citato Regolamento n. 1 del 2002; 4) la Delib. Giunta 29 novembre 2016, n. 724, avente ad oggetto il conferimento dell’incarico di Segretario generale della Giunta regionale; 5) ogni atto presupposto, connesso e consequenziale, fra cui le Delib. 7 ottobre 2016, n. 586 e Delib. 7 ottobre 2016, n. 587 etc.;

che con tale impugnativa i ricorrenti hanno contestato la scelta discrezionale della Regione Lazio – basata sulla immotivata premessa dell’inesistenza di dirigenti interni adeguati per il conferimento dell’incarico di Segretario generale della Regione Lazio – di provvedere al conferimento dell’incarico stesso (di carattere gestionale) con l’indizione di una procedura selettiva diretta a persone esterne alla Regione, modalità ritenuta in contrasto con le norme di legge e regolamentari richiamate in ricorso;

che, in particolare, la DIRER ha proposto il suddetto ricorso nella qualità di organizzazione sindacale portatrice di interessi collettivi volti alla tutela dell’intera categoria dei dirigenti regionali, mentre i due dirigenti regionali ricorrenti hanno chiesto la rinnovazione della procedura di conferimento dell’incarico dirigenziale de quo onde ottenere una valutazione trasparente delle situazioni dei diversi candidati;

che la Regione Lazio propone il presente ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione sostenendo il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo con riguardo agli atti di avvio, svolgimento e conclusione della procedura per il conferimento dell’incarico di Segretario generale, di natura privatistica e l’attribuibilità alla giurisdizione del giudice amministrativo delle sole censure aventi direttamente ad oggetto gli atti di macro-organizzazione, nella specie rappresentati esclusivamente dalle citate delibere della Giunta che hanno introdotto nuove norme di livello regolamentare in materia di organizzazione regionale al fine di dare attuazione alla riforma legislativa della figura del Segretario generale;

che ad avviso della Regione tutti gli altri atti impugnati sono manifestazione del legittimo esercizio di poteri privatistici propri della Regione stessa nel conferimento degli incarichi dirigenziali e per questo la relativa giurisdizione compete al giudice ordinario;

che, in conclusione, la ricorrente chiede che, in questa sede, venga altresì chiarito che “non rientra nelle giurisdizione del giudice amministrativo il potere di rimuovere gli atti di conferimento dell’incarico di Segretario generale della Giunta regionale per il Lazio, neppure nell’ipotesi in cui riscontri vizi degli atti di macro-organizzazione”;

che la DIRER resiste, con controricorso, nel quale, dopo aver sottolineato l’inammissibilità di tale ultima richiesta della Regione, sostiene l’infondatezza del ricorso per regolamento di giurisdizione, ribadendo che ciò che è stato contestato nel ricorso davanti al TAR è la modalità prescelta dalla Regione per il conferimento degli incarichi dirigenziali e in particolare di quello di Segretario generale della Regione, senza addurre alcuna lesione di diritti soggettivi;

che il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio sulla base delle conclusioni scritte del pubblico ministero, ai sensi dell’art. 380-ter c.p.c., nelle quali è stato chiesto l’accoglimento parziale del ricorso per regolamento, con dichiarazione della giurisdizione del giudice ordinario in riferimento alle censure con cui si contesta il legittimo esercizio del potere dell’Amministrazione regionale, quale datrice di lavoro, di nominare il dirigente de quo e con l’affermazione della sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo per le restanti censure, relative all’illegittimità degli atti regionali di macro-organizzazione in oggetto;

che, in prossimità della camera di consiglio, entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative, nelle quali hanno sviluppato gli argomenti avanzati nei rispettivi atti difensivi, anche alla luce della recente sentenza 13 novembre 2018, n. 29081, sulla cui base la Regione chiede che l’intera controversia sia devoluta al giudice ordinario, mentre la DIRER chiede che essa resti devoluta al giudice amministrativo.

Diritto

CONSIDERATO

che, dandosi continuità all’indirizzo di recente espresso da queste Sezioni Unite con riguardo a fattispecie analoghe alla presente (Cass. SU 13 novembre 2018, n. 29080 e n. 29081, a loro volta conformi ai precedenti ivi richiamati), il ricorso non è da accogliere e deve quindi essere dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo, per le ragioni di seguito esposte;

che occorre premettere che, per consolidato indirizzo di queste Sezioni Unite, è stato stabilito che, in linea generale, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 1, devolve al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, “tutte” le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni indicate nel D.Lgs. citato, art. 1, comma 2, per ogni fase dei rapporti stessi, “incluse le controversie concernenti l’assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali”, perchè la residuale giurisdizione del giudice amministrativo concerne soltanto le controversie relative a procedure concorsuali strumentali all’assunzione od alla progressione in un’area o fascia qualitativamente superiore a quella di appartenenza e va dall’inizio delle operazioni concorsuali, con l’adozione del bando – con il quale l’Amministrazione manifesta all’esterno la decisione di reclutare un certo numero di dipendenti – fino all’approvazione della graduatoria definitiva, senza estendersi al successivo atto di nomina (Cass. SU 21 luglio 2011, n. 15982; (Cass. SU 7 luglio 2005, n. 14252; Cass. SU 8 maggio 2006, n. 10419; Cass. SU 27 ottobre 2006, n. 23075; Cass. SU 9 maggio 2016, n. 9281);

che è stato anche precisato che la giurisdizione del giudice ordinario o di quello amministrativo deve essere in concreto identificata non già in base al criterio della soggettiva prospettazione della domanda, ma alla stregua del c.d. “petitum” sostanziale, ossia considerando l’intrinseca consistenza della posizione soggettiva addotta in giudizio ed individuata dal giudice stesso con riguardo alla sostanziale protezione accordata a quest’ultima dal diritto positivo (Cass. SU 27 novembre 2007, n. 24625; Cass. SU 25 giugno 2010, n. 15323; Cass. SU 23 settembre 2013, n. 21677);

che, quindi, se in base al suddetto criterio del “petitum” sostanziale – da determinare all’esito dell’indagine sull’effettiva natura della controversia in relazione alle caratteristiche del particolare rapporto fatto valere in giudizio – si accerta che la controversia stessa attiene alla lesione di un diritto soggettivo derivante da un atto o comportamento posto in essere dalla P.A. con i poteri del privato datore di lavoro, la giurisdizione compete al giudice ordinario senza che rilevi che la pretesa giudiziale sia stata prospettata come richiesta di annullamento di un atto amministrativo (Cass. SU 28 giugno 2006, n. 14846; Cass. SU 23 settembre 2013, n. 21677) o che comunque nel giudizio vengano in questione “atti amministrativi presupposti”, in quanto al giudice ordinario è attribuito il potere di disapplicare gli eventuali atti amministrativi presupposti illegittimi incidenti direttamente o indirettamente sulle situazioni giuridiche soggettive di cui si tratta (Cass. SU 20 giugno 2017, n. 15276) e del dipendente pubblico in genere (fra le tante: Cass. SU 16 febbraio 2009, n. 3677; Cass. SU 20 giugno 2017, n. 15276);

che, infatti, come si desume, mutatis mutandis, dal consolidato orientamento di queste Sezioni Unite in merito all’interpretazione da dare al discrimine temporale del 30 giugno 1998, in linea generale, in tema di individuazione del giudice dotato di giurisdizione per le controversie in materia di lavoro pubblico contrattualizzato, la direttrice di fondo è quella di evitare il frazionamento della tutela giurisdizionale che può comportare che sul medesimo rapporto abbiano a pronunciarsi due giudici diversi, con possibilità di differenti risposte ad una stessa istanza di giustizia, il che si pone in contrasto con i principi del giusto processo di cui all’art. 111 Cost., principalmente perchè rende più gravoso l’esercizio del fondamentale diritto di difesa dell’interessato di cui all’art. 24 Cost., nell’ambito del rispetto dei suddetti principi e in coerenza con l’art. 6 CEDU, oltre ad avere immediate e negative ricadute sul canone della economia processuale, anche sotto il profilo della esposizione dello Stato (oltre che delle parti) ad oneri e spese processuali superflui;

che, in questa ottica, è jus receptum che la sopravvivenza della giurisdizione del giudice amministrativo in materia costituisce, nelle intenzioni del legislatore, ipotesi assolutamente eccezionale;

che questa Corte regolatrice ha anche chiarito che, in tema di riparto di giurisdizione nelle controversie relative a rapporti di lavoro pubblico privatizzato, spetta alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo la controversia nella quale la contestazione investa direttamente il corretto esercizio del potere amministrativo mediante la deduzione della non conformità a legge degli atti organizzativi, attraverso i quali le amministrazioni pubbliche definiscono le linee fondamentali di organizzazione degli uffici e i modi di conferimento della titolarità degli stessi o determinano le dotazioni organiche complessive ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 1 (vedi: Cass. SU n. 22779 del 2010; Cass. SU n. 3052 del 2009; Cass. SU n. 22733 del 2011; Cass. SU n. 25210 del 2015);

che, infatti, possono darsi situazioni nelle quali la contestazione in giudizio della legittimità degli atti, espressione di poteri pubblicistici, previsti dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 1, implica la deduzione di una posizione di interesse legittimo, nella quale il rapporto di lavoro non costituisce l’effettivo oggetto del giudizio, ma, per così dire, lo sfondo rilevante ai fini di qualificare la prospettata posizione soggettiva del ricorrente, derivando gli effetti pregiudizievoli direttamente dall’atto presupposto (Cass. SU n. 21592 del 2005; Cass. SU n. 23605 del 2006; Cass. SU n. 25254 del 2009; Cass. SU n. 11712 del 2016, cit.);

che, in questo ambito, spettano alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie nelle quali, pur chiedendosi la rimozione del provvedimento di conferimento di un incarico dirigenziale previa disapplicazione degli atti presupposti, la contestazione investa direttamente il corretto esercizio del potere amministrativo mediante la deduzione della non conformità a legge degli atti di macro-organizzazione attraverso cui le Amministrazioni Pubbliche definiscono le linee fondamentali di organizzazione degli uffici ed i modi di conferimento della titolarità degli stessi;

che nella suddetta ipotesi, infatti, non può operare il potere di disapplicazione del giudice ordinario, in quanto esso presuppone la deduzione di un diritto soggettivo su cui incide il provvedimento amministrativo e non una situazione giuridica suscettibile di assumere la consistenza di diritto soggettivo solo all’esito della rimozione del provvedimento di macro-organizzazione (Cass. SU 27 febbraio 2017, n. 4881; Cass. SU 31 maggio 2016, n. 11387);

che ciò trova riscontro nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5, comma 1, secondo cui le Pubbliche Amministrazioni agiscono sì con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro ma nel rispetto delle leggi e nell’ambito degli atti organizzativi di cui all’art. 2, comma 1, che sono a monte degli atti di gestione del rapporto; gli atti di gestione del rapporto sono espressione del potere di organizzazione della P.A. quale datrice di lavoro, al pari del potere direttivo del datore di lavoro privato, mentre i primi sono riconducibili al potere regolamentare governativo o ministeriale ovvero alla potestà di emanare atti amministrativi generali di natura non regolamentare ed aventi un contenuto riconducibile all’art. 2, comma 1, cit.;

che sussiste, quindi, la giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo sia in caso di azione diretta all’annullamento di veri e propri atti di normazione subprimaria proposta da chi sia legittimato perchè in situazione di interesse legittimo, sia in caso di azione diretta all’annullamento di atti amministrativi a contenuto generale ed astratto, ma privi di natura regolamentare (come talora espressamente previsto), se il contenuto degli atti stessi sia riconducibile al D.Lgs. n. 165 del 2001, cit. art. 2, comma 1 (vedi, per tutte: Cass. SU 13 settembre 2017, n. 21196);

che, nella specie, dalla lettura del presente ricorso per cassazione, del controricorso e degli atti processuali – esaminabili in questa sede perchè in ordine alle questioni di giurisdizione, le Sezioni Unite della Corte di cassazione sono anche giudice del fatto (Cass. SU 21 aprile 2015, n. 8074; Cass. SU 2 aprile 2007, n. 8095) – risulta che il “petitum” sostanziale dedotto nel presente giudizio analogamente a quanto avvenuto per i giudizi in cui sono intervenute Cass. SU 13 novembre 2018, n. 29080 e n. 29081 citate – riguarda direttamente la legittimità degli atti impugnati (atti di macro-organizzazione, atto con cui è stata avviata la selezione nonchè le connesse delibere della Giunta regionale) con i quali l’Amministrazione regionale ha manifestato e realizzato la scelta di ricercare all’esterno, piuttosto che nella sua dotazione organica, la professionalità idonea a ricoprire l’incarico dirigenziale di Segretario generale della Regione Lazio;

che, pertanto, si tratta di atti che si collegano ad una valutazione che è tipicamente discrezionale, effettuata nell’ambito del potere dell’Ente di autorganizzazione, il cui esercizio si è avuto in una fase prodromica alla costituzione del rapporto di lavoro del Segretario generale stesso;

che pertanto, con riguardo a tale fase, non vengono in considerazione e neppure sono fatte valere in giudizio posizioni di diritto soggettivo nè da parte della DIRER – che ha agito nella qualità di organizzazione sindacale portatrice di interessi collettivi volti alla tutela dell’intera categoria dei dirigenti regionali – e neppure da parte dei due dirigenti presenti nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo, la cui impugnativa è finalizzata ad ottenere la rinnovazione della procedura di conferimento dell’incarico dirigenziale de quo nella quale possa effettuarsi una valutazione trasparente delle situazioni dei diversi candidati;

che quindi il petitum sostanziale è diverso da quello proprio dei giudizi in cui sono intervenute, in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, le decisioni di queste Sezioni Unite n. 11711, n. 11712 e n. 11713 del 2016 – poste a base del presente ricorso – visto che nella suddette fattispecie si discuteva direttamente della prospettata lesione di posizioni di diritto soggettivo di alcuni dirigenti di ruolo della Regione Lazio derivante dalla disposta revoca di incarichi dirigenziali precedentemente conferiti;

che, nel suddetto ambito, l’impugnativa degli atti di macro-organizzazione presupposti (rappresentati, in particolare, dalla deliberazione della Giunta Regionale, che nel modificare il Regolamento regionale ha ridefinito le strutture amministrative della stessa Giunta regionale) è stata considerata irrilevante ai fini del riconoscimento della sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario, essendo pacificamente in discussione diritti soggettivi;

che, d’altra parte, in Cass. SU 31 maggio 2016, n. 11387 – pure qui richiamata dalla Regione Lazio – è stata affermata la sussistenza della giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo in un giudizio nel quale un dirigente regionale, aveva prospettato il pregiudizio professionale subito per effetto del mancato conferimento di un incarico come direttamente derivante dall’adozione di atti presupposti di macro-organizzazione, correlati all’esercizio di poteri autoritativi della Regione (nella specie, rivolti a ridefinire le strutture amministrative e a stabilire i criteri e le modalità di attribuzione degli incarichi dirigenziali) e di questi atti aveva chiesto l’annullamento, la rimozione degli effetti con un conseguente nuovo esercizio del potere amministrativo;

che al pari di quanto rilevato in tale ultima controversia e negli analoghi giudizi su richiamati anche nel giudizio pendente dinanzi al TAR Lazio di cui si tratta, la contestazione investe direttamente il corretto esercizio del potere amministrativo mediante la deduzione della non conformità a legge e a regolamento degli atti di macro-organizzazione attraverso cui la Pubblica Amministrazione ha definito le linee fondamentali di organizzazione degli uffici e, in particolare, le modalità di conferimento della titolarità dell’incarico dirigenziale di Segretario generale, mentre la rimozione del provvedimento specifico di conferimento dell’incarico dirigenziale in oggetto viene in considerazione solo in via consequenziale;

che la questione controversa è, quindi, rappresentata dalla prospettata illegittimità della scelta operata dall’Amministrazione regionale in merito alle modalità da adottare per la copertura del posto di dirigente Segretario generale, scelta che è il frutto di una valutazione discrezionale della P.A. di fronte alla quale non può parlarsi di diritti soggettivi, ma di semplici interessi legittimi (Cass. SU 9 febbraio 2011, n. 3170; Cass. SU 13 giugno 2011, n. 12895);

che deve quindi essere dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo, tanto più che, alla luce del suddetto petitum sostanziale rispetto agli impugnati atti di macro-organizzazione non può, nella specie, operare il potere di disapplicazione del giudice ordinario, perchè esso presuppone la deduzione di un diritto soggettivo su cui incide il provvedimento amministrativo e non una situazione giuridica di interesse legittimo, anche se suscettibile di assumere la consistenza di diritto soggettivo ma solo all’esito della rimozione del provvedimento di macro-organizzazione, evenienza che, nella specie, è configurabile nei confronti dei due dirigenti regionali presenti nel giudizio dinanzi al TAR (Cass. SU 13 novembre 2018, n. 29080 e n. 29081; Cass. SU 27 febbraio 2017, n. 4881; Cass. SU 31 maggio 2016, n. 11387; Cass. SU 6 maggio 2013, n. 10404; Cass. SU 16 novembre 2009, n. 24185; Cass. SU 18 giugno 2008, n. 16527);

che in conclusione, in applicazione dei suindicati criteri di riparto, deve dichiararsi la giurisdizione del giudice amministrativo, dinnanzi al quale vanno rimesse le parti, anche in relazione alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo, dinanzi al quale rimette le parti anche pere le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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