Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33210 del 16/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 16/12/2019, (ud. 03/07/2019, dep. 16/12/2019), n.33210

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7160-2019 proposto da:

C.V.M., domiciliata in ROMA presso la Cancelleria

della Corte di Cassazione e rappresentata e difesa dall’avvocato

MASSIMO IGOR CONSORTINI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositato il

12/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/07/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

La Corte d’appello di Messina, con decreto n. 635 del 12/07/2018, ha rigettato l’opposizione proposta da C.V.M. avverso il decreto del Consigliere delegato con il quale era stata rigettata la domanda di equa riparazione promossa dall’istante in relazione alla irragionevole durata di un procedimento civile volto all’accertamento del diritto, quale insegnante precaria, alla progressione stipendiale assicurata ai docenti di ruolo, giudizio iniziato con ricorso depositato in data 1/10/2012 e conclusosi con sentenza del Tribunale di Messina n. 254/2017 del 24/2/2017, passata in giudicato per assenza di gravame alla scadenza del termine di cui all’art. 327 c.p.c.

Il provvedimento impugnato riteneva di condividere la valutazione di cui al decreto opposto, sostenendo che il termine di sei anni, che segna la durata ragionevole del processo ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 ter, opera anche nel caso in cui il procedimento presupposto si sia esaurito in un unico grado.

La Corte distrettuale, pur avendo presente la contraria opinione del giudice di legittimità, che invece reputa che il termine de quo si applichi solo nel caso di procedimento presupposto articolatosi in più gradi, ha evidenziato che la stessa giurisprudenza reputa che non debba tenersi conto ai fini del computo della durata ragionevole dei tempi che la parte utilizza ai fini della proposizione dell’impugnazione, sicchè deve ritenersi che il riferimento all’irrevocabilità del provvedimento di cui all’art. 2, comma 2 ter, introduce un elemento estraneo a quanto previsto al comma 2 bis, ed impone di concludere nel senso che il termine dei sei anni si applichi anche ai procedimenti esauriti in unico grado.

Avverso tale decreto C.V.M. propone ricorso sulla base di quattro motivi.

Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso.

Il primo motivo di ricorso lamenta la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 ter, rilevandosi che la costante giurisprudenza del giudice di legittimità ha riaffermato che il termine di cui al comma in esame si applichi solo nel caso in cui il processo presupposto si sviluppi in più gradi, non emergendo dalla lettura del decreto impugnato seri elementi per discostarsi da tale conclusione.

Nel caso di specie la causa di lavoro, che aveva visto come parte la ricorrente, si era esaurita in un unico grado, sicchè occorreva far riferimento per valutare la durata ragionevole del processo stesso al termine triennale previsto per le cause di primo grado.

Il secondo motivo denuncia la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, in relazione agli artt. 24 e 111 Cost. e art. 6 CEDU, posto che la diversa lettura delle norme offerta dal giudice di merito si pone in contrasto, oltre che con il tenore letterale delle norme, anche con la costante interpretazione della Corte EDU, alla quale deve tendenzialmente conformarsi anche il giudice nazionale.

Il terzo motivo denuncia sempre la violazione dell’art. 2 della L. n. 89 del 2001 nonchè degli artt. 24 e 111 Cost. e dell’art. 6 della CEDU, in quanto occorrendo avere riguardo al termine triennale, il giudizio presupposto si era esaurito in primo grado in oltre 4 anni e 4 mesi, avuto riguardo alla data di pubblicazione della sentenza del Tribunale del 24/2/2017, sicchè la ricorrente ha maturato il diritto all’indennizzo per la durata eccedente il termine triennale.

I tre motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono fondati.

La decisione impugnata risulta, infatti, avere aderito ad un’interpretazione delle norme in tema di equo indennizzo in evidente contrasto con la costante giurisprudenza di questa Corte.

Ebbene, a fronte di un procedimento presupposto esauritosi in un unico grado, come peraltro puntualmente sottolineato nel ricorso con il richiamo a numerosi precedenti di questa Corte, deve ribadirsi che (Cass. n. 23745/2014), la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 2 ter, secondo cui detto termine si considera comunque rispettato se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni, costituisce norma di chiusura che implica una valutazione complessiva del giudizio articolato nei tre gradi, e non opera, perciò, con riguardo ai processi che si esauriscono in unico grado (conf. Cass. n. 19175/2015).

Trattasi peraltro di interpretazione della norma che ha ricevuto anche il conforto da parte del giudice delle leggi che ha ritenuto (Corte Cost. n. 208/2016) essere inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 2-ter, , censurato per violazione dell’art. 3 Cost., art. 111 Cost., comma 2, e art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 13 della CEDU, in quanto stabilisce che si considera comunque rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni, nella parte in cui si applica ai procedimenti previsti dalla L. n. 89 del 2001, ritenendo in motivazione che il termine di sei anni indicato dalla norma impugnata si applica ai soli procedimenti che in concreto si siano svolti in tre gradi di giudizio, al fine di compensare l’eccessiva protrazione di una fase con la maggiore celerità di un’altra.

Trattasi di precisazione quest’ultima che dà anche contezza della sostanziale infondatezza delle argomentazioni spese dalla difesa del Ministero in controricorso, posto che la norma prevedente il sessennio si giustifica proprio al fine di consentire una compensazione, nei limiti del detto arco temporale, tra una durata per un grado eccedente il limite dettato dalla norma con una durata inferiore in altro grado, ma senza la possibilità di estendere lo stesso al caso qui ricorrente di giudizio esauritosi in un unico grado.

Nè appaiono risolutive le considerazioni sviluppate dalla Corte distrettuale quanto all’impossibilità di tenere conto dei tempi necessari per permettere alle parti di valutare se proporre o meno impugnazione e quindi per assicurare la formazione del giudicato.

Infatti, il principio costantemente ribadito (cfr. Cass. n. 26833/2016; Cass. n. 3337/2016) per il quale in tema di equa riparazione, la durata del giudizio presupposto deve essere determinata detraendo integralmente la c.d. stasi processuale, vale a dire il lasso di tempo tra il deposito della sentenza definitiva di un grado e la proposizione della impugnazione (che ha poi trovato riconoscimento normativo nella L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 quater, a seguito della novella di cui alla L. n. 134 del 2012) non risulta avere incidenza sulla soluzione della questione che i motivi pongono.

In tal senso, il riferimento all’irrevocabilità del comma 2 ter, non può indurre a ritenere che ai fini del computo dei sei anni debba tenersi conto anche dei periodi temporali durante i quali alle parti è rimessa la valutazione circa l’esercizio del diritto di impugnazione, essendo tale esegesi chiaramente contrastata ora dal novellato comma 2 quater, che espressamente prevede che “Ai fini del computo non si tiene conto del tempo in cui il processo è sospeso e di quello intercorso tra il giorno in cui inizia a decorrere il termine per proporre l’impugnazione e la proposizione della stessa”, con una disposizione quindi che appare riferibile a tutte le ipotesi in cui debba provvedersi al riscontro del rispetto del termine della durata ragionevole, e quindi anche del caso di cui al comma 2 ter.

Tale ultima previsione piuttosto, ribadita la sua invocabilità nei soli casi in cui il processo si articoli in più gradi, imponeva che il giudizio fosse stato definito con provvedimento irrevocabile (essendo tale limite venuto ormai meno a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale), essendo però sempre necessario detrarre, al fine della verifica del rispetto del sessennio, i periodi temporali di cui al comma 2 quater.

Nella fattispecie, già avuto riguardo al solo lasso di tempo trascorso tra la data del deposito del ricorso introduttivo del giudizio presupposto e quella di adozione della sentenza del Tribunale si palesava una durata del processo superiore al termine triennale, e quindi anche senza tenere conto dell’ulteriore periodo di tempo trascorso ai fini della maturazione del termine di impugnazione, e quindi sino alla formazione del giudicato.

Il decreto impugnato deve quindi essere cassato con rinvio alla Corte d’Appello di Messina in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

L’accoglimento dei primi tre motivi determina poi l’assorbimento del quarto motivo di ricorso che denuncia la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., quanto alla statuizione del giudice di merito di compensare le spese di lite.

P.Q.M.

Accoglie i primi tre motivi del ricorso nei limiti di cui in motivazione, ed assorbito il quarto, cassa il provvedimento impugnato con rinvio anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Messina in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019

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