Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33203 del 16/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 16/12/2019, (ud. 03/07/2019, dep. 16/12/2019), n.33203

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25807-2018 proposto da:

M.C., domiciliato in ROMA presso la Cancelleria della Corte di

Cassazione e rappresentato e difeso dall’avv. MARIO ROCCAFORTE

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il

26/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/07/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

La Corte d’appello di Lecce, con decreto n. 193 del 26/01/2018, ha solo in parte accolto l’opposizione proposta da M.C. avverso il decreto del Consigliere delegato con il quale era stata accolta la domanda di equa riparazione promossa dall’istante in relazione alla irragionevole durata di un procedimento civile svoltosi dapprima dinanzi al giudice di pace di Taranto e poi definito dal Tribunale della medesima città con sentenza irrevocabile del 29/3/2016, liquidando la somma di Euro 700,00 oltre le spese di lite.

In relazione al primo motivo di opposizione, con il quale si contestava la quantificazione dell’indennizzo, il M. si doleva del fatto che in realtà il valore della controversia era pari ad Euro 1.400,00 e cioè alla somma richiesta in via riconvenzionale dalla controparte nel giudizio presupposto e che tale valore era rimasto immutato anche a seguito dell’accoglimento parziale della domanda, che aveva dimidiato la somma richiesta per effetto dell’accertamento del concorso di colpa nel sinistro stradale che aveva cagionato la richiesta risarcitoria, il decreto impugnato riteneva di dover fare applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2bis, comma 3, che statuisce che la misura dell’indennizzo non può in ogni caso essere superiore al valore della causa o, se inferiore, a quello del diritto accertato dal giudice, che nella fattispecie ammontava appunto ad Euro 700,00.

Quanto al secondo motivo di opposizione, la Corte d’Appello lo reputava fondato dovendo essere riconosciute anche le spese vive documentate per un importo di Euro 348,24 sostenute per il rilascio delle copie autentiche degli atti del giudizio presupposto.

Infine compensava le spese di lite.

Avverso tale decreto M.C. propone ricorso sulla base di due motivi, illustrati anche da memorie.

Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso.

Il primo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 3, con la violazione altresì dell’art. 6 e 13 della CEDU.

La norma de qua infatti fa riferimento per la determinazione dell’indennizzo al valore della causa e non alla misura della somma riconosciuta in favore della parte vittoriosa, in conseguenza di un accoglimento parziale della domanda.

La domanda riconvenzionale della controparte nel giudizio presupposto era relativa ad un importo di Euro 1400,00, così come concordata con la terza chiamata in causa, con la conseguenza che non poteva tenersi conto della dimidiazione della somma stessa per effetto dell’applicazione da parte dei giudici di merito del concorso di colpa di cui all’art. 2054 c.c.

Il motivo è infondato.

La L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 3, espressamente recita che “La misura dell’indennizzo, anche in deroga al comma 1, non può in ogni caso essere superiore al valore della causa o, se inferiore, a quello del diritto accertato dal giudice”.

E’ palese il riferimento del legislatore alla necessità di ancorare la liquidazione dell’indennizzo, nel caso di discrasia tra valore della causa e quanto accertato dal giudice, al secondo importo, ove appunto inferiore al primo.

Nel caso di specie, avuto riguardo al valore della domanda riconvenzionale cui ha resistito nel giudizio presupposto l’odierno ricorrente, il valore della causa era di Euro 1.400,00, ma è stata riconosciuta la minor somma di Euro 700,00, avendo il giudice di merito ravvisato un concorso di colpa nella causazione del danno tra le due parti coinvolte nel sinistro stradale che aveva occasionato la controversia.

E’ quindi evidente che quanto accertato deve indentificarsi con la somma in concreto riconosciuta a favore della parte, ancorchè per effetto del riscontro di un concorso di colpa, posto che l’incidenza causale della condotta del richiedente nella produzione del danno, come nel caso in esame ex art. 1227 c.c., comma 1 (ponendo l’art. 2054 c.c., una presunzione di corresponsabilità) incide a monte sulla stessa insorgenza del diritto vantato che risulta, nel caso di pretesa risarcitoria già ridotto in ragione della percentuale di corresponsabilità ascrivibile al danneggiato.

Ne deriva che proprio alla luce del principio richiamato dal ricorrente, secondo cui il valore accertato costituisce un dato oggettivo che non muta in ragione della posizione che la parte che chiede l’indennizzo aveva nel giudizio presupposto (Corte Cost. nn. 124, 204 e 240 2014, nonchè Cass. n. 25711/2015), nella fattispecie in esame è stato accertato un credito in favore dell’altro soggetto coinvolto nella causa pari appunto ad Euro 700,00, non rilevando che invece la pretesa originaria, evidentemente fondata sul convincimento dell’assenza di propria corresponsabilità, fosse di entità maggiore, avendo la norma denunciata in rubrica proprio inteso offrire una risposta sul piano normativo alle pur frequenti ipotesi in cui non vi sia corrispondenza tra quanto richiesto (che costituisce il valore della causa, come peraltro si ricava, in relazione alla vicenda in esame, dal dettato dell’art. 14 c.p.c.) e quanto invece accertato dal giudice all’esito della lite.

Il secondo motivo, invece, denuncia la nullità del provvedimento per travisamento dei fatti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per motivazione contraddittoria ed apparente.

Assume il ricorrente che il decreto gravato ha affermato che il giudizio di appello era proseguito solo per la richiesta delle parti di definire la vicenda in ordine alla sorte delle spese di lite, affermazione questa che non tiene conto del reale andamento della controversia.

Infatti, la cessazione della materia del contendere era intervenuta dinanzi al giudice di pace solo sulla domanda risarcitoria avanzata in via principale dal M., mentre la domanda riconvenzionale era stata coltivata anche in appello, essendo stata oggetto di specifica delibazione da parte del Tribunale, con la conferma del riscontrato concorso di colpa.

Il motivo è inammissibile in quanto, avuto riguardo alla sola vicenda concernente la domanda riconvenzionale (sul cui valore si appunta la richiesta indennitaria del ricorrente) l’affermazione erronea circa l’avvenuta definizione amichevole della controversia non appare in alcun modo idonea ad incidere sull’esito della presente controversia, posto che, anche riaffermato il permanere del contrasto sull’an e sul quantum di tale domanda in grado di appello, resta confermata anche all’esito della sentenza del Tribunale la determinazione della somma riconosciuta per tale titolo nel medesimo importo sulla base del quale è stato poi riconosciuto l’indennizzo in favore del ricorrente.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Tuttavia risultando dagli atti del giudizio che il procedimento in esame è considerato esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 400,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019

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