Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33200 del 16/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 16/12/2019, (ud. 03/07/2019, dep. 16/12/2019), n.33200

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3674-2019 proposto da:

B.M.L., C.M., CU.MA. (questi primi tre

quali eredi di C.G.), BO.EL.,

A.A., CU.AL., P.A., M.M.,

S.N., T.V., CA.NI.,

BI.AN., BI.EL., gli ultimi tre quali eredi di

Bi.Ma., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BAIAMONTI n. 4,

presso lo studio dell’avvocato ANDREA LIPPI, che li rappresenta e

difende;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– resistente –

avverso il decreto n. cronol. 3573/2018 della CORTE D’APPELLO di

PERUGIA, depositato il 13/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 3/7/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO

CARRATO.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

I soggetti riportati come ricorrenti in intestazione (e, per quelli indicati come eredi, i loro danti causa), ad eccezione di Ce.El. e R.O., hanno proposto ricorso per cassazione – basato su tre motivi – avverso il decreto n. cronol. 3573/2018 della Corte di appello di Perugia, con il quale veniva respinta la loro domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, riguardante la durata irragionevole di un giudizio presupposto svoltosi dinanzi alla Corte dei Conti con ricorso depositato il 15 dicembre 2000 e definito con sentenza di rigetto depositata il 5 settembre 2008, poichè – alla stregua della giurisprudenza consolidata in materia – la domanda formulata dinanzi al giudice contabile non avrebbe potuto essere accolta, donde non poteva essere riconosciuto il richiesto indennizzo a causa della temerarietà della lite introdotta avanti al giudice contabile.

Con il primo motivo i ricorrenti hanno dedotto la violazione dell’art. 115 c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè l’errore sui presupposti di giudizio e il vizio di motivazione meramente apparente, avuto riguardo alla ritenuta temerarietà della lite.

Con la seconda censura hanno prospettato la violazione di giudicato e dell’art. 324 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., oltre che degli artt. 101 c.p.c., comma 2 e 111 Cost., sull’asserita erroneità della immedesimazione tra il concetto di temerarietà e quello di infondatezza della controversia.

Con il terzo ed ultimo motivo i ricorrenti hanno denunciato la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e degli artt. 6, 13 e 41 della CEDU, avuto riguardo al mancato riconoscimento, in loro favore, dell’indennizzo da irragionevole durata del suddetto giudizio contabile presupposto, erroneamente ritenuto come temerariamente introdotto. L’intimato Ministero dell’Economia e delle Finanze ha depositato un mero atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

Su proposta del relatore, il quale riteneva che i primi due motivi potessero essere dichiarati manifestamente fondati (con assorbimento del terzo), con la conseguente definibilità nelle forme dell’art. 380 – bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della Camera di consiglio.

Rileva il collegio che – ad un esame più approfondito delle due prime censure – le stesse debbano essere ritenute, diversamente da quanto prospettato nella proposta di cui all’art. 380 – bis c.p.c., destituite di fondamento.

Ed invero, contrariamente a quanto denunciato dai ricorrenti, la Corte umbra ha adeguatamente motivato sulla temerarietà del giudizio presupposto come intentato dai ricorrenti, dal momento che la pretesa dagli stessi fatta valere dinanzi al giudice contabile era stata già ritenuta infondata dalla stessa Corte dei conti con sentenza del 4 giugno 1996 resa a Sezioni riunite (il cui principio era stato successivamente confermato), e perciò nella sua massime espressione nomofilattica, ragion per cui le stesse parti non potevano confidare in un accoglimento della loro domanda, nè – ad avviso di questo collegio può, in senso contrario, avere un’incidenza l’unico precedente richiamato dai medesimi ricorrenti relativo ad una sentenza della Sezione giurisdizionale della Regione Puglia della Corte dei Conti del 2005, non risultando, invero, palesata l’emergenza di un effettivo e rinnovato contrasto sulla questione inerente l’esistenza o meno di un meccanismo perequativo automatico delle pensioni, tale da comportare la revisione del principio già fissato dalle Sezioni riunite della Corte dei Conti (in tal senso superandosi quanto affermato con l’ordinanza, richiamata dai ricorrenti, n. 12121/2018).

Del resto, questa Corte (cfr., in particolare, Cass. n. 24190/2017) ha chiarito che l’indennizzo per irragionevole durata del processo, stante il carattere non tassativo dell’elenco di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 quinquies, può essere negato a chi abbia agito o resistito temerariamente nel giudizio presupposto, anche in assenza di un condanna, all’esito dello stesso, per responsabilità aggravata, potendo il giudice del procedimento di equa riparazione, già prima della novella apportata dalla L. n. 208 del 2015 (il cui regime era “ratione temporis” applicabile nel caso di specie), autonomamente valutare tale temerarietà, come evincibile dalla lett. f dello stesso art. 2, comma 2 quinquies cit., che attribuiva carattere ostativo ad ogni altra ipotesi di abuso dei poteri processuali. Si è, altresì, aggiunto che tale valutazione non è soggetta al sindacato di legittimità motivazionale, per effetto dei limiti introdotti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nè, ove svolta d’ufficio, è censurabile in cassazione per pretesa violazione dell’art. 112 c.p.c., essendo, al contrario, doverosa, in quanto relativa ad un requisito negativo dell’esistenza del diritto.

Poichè la Corte perugina ha, in ogni caso, dato conto del percorso logico seguito nella individuazione della temerarietà del giudizio presupposto intentato dai ricorrenti (conferendo una corretta motivazione sul valore vincolante del precedente delle Sezioni riunite della Corte dei Conti, donde l’esclusione del vizio di apparente motivazione), la stessa non ha affatto omesso alcun esame di diversi fatti da potersi considerare decisivi nè è incorsa nelle dedotte violazioni di legge, non potendosi certamente ritenere violati nè il principio della disponibilità delle prove nè quello dell’asserita elusione del giudicato (mancando propriamente i presupposti per potersi discorrere di un giudicato opponibile nella causa de qua).

Ovviamente il rigetto dei primi due motivi comporta la preclusione dell’esame del terzo, attinente propriamente al riconoscimento dei presupposti per la dedotta sussistenza delle condizioni per ravvisare la durata irragionevole del giudizio presupposto.

In definitiva, il ricorso deve essere respinto, senza che debba farsi luogo ad alcuna regolazione delle spese processuali avendo l’intimato Ministero depositato solo un mero atto di costituzione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-2 Sezione civile della Corte di cassazione, il 3 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019

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