Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33195 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 21/12/2018, (ud. 11/10/2018, dep. 21/12/2018), n.33195

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaella – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24913/2017 proposto da:

C.C.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PRISCIANO 28, presso lo studio dell’avvocato DANILO SERRANI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato SIMONETTI GUIDO;

– ricorrente –

contro

GROUPAMA ASSICURAZIONI SPA, D.M.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2119/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 23/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/10/2018 dal Consigliere Relatore DELL’UTRI

MARCO.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza resa in data 23/9/2016, la Corte d’appello di Venezia, in accoglimento dell’appello proposto dalla Groupama Assicurazioni s.p.a., e in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda proposta da C.C.L. per la condanna della Groupama e di D.M.M. al risarcimento dei danni subiti dall’attrice in conseguenza del sinistro stradale dedotto in giudizio;

che, a fondamento della decisione assunta, la corte d’appello ha evidenziato come, sulla base degli elementi istruttori complessivamente assunti in giudizio, non fosse stata acquisita alcuna prova certa in ordine all’effettiva verificazione del sinistro stradale così come descritto dall’attrice, con il conseguente rilievo dell’integrale infondatezza della domanda risarcitoria proposta;

che, avverso la sentenza d’appello, C.C.L. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione; che nessun intimato ha svolto difese in questa sede;

che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis le parti non hanno presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il primo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversi, nonchè per violazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 132 c.p.c., n. 4 (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale trascurato l’esame della deposizione resa dal teste G.C., la cui considerazione avrebbe condotto a una diversa decisione della controversia, con la conseguente determinazione, a seguito dell’omissione denunciata, di un percorso motivazionale meramente apparente;

che, con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 132c.p.c., n. 4, nonchè per motivazione contraddittoria, illogica, perplessa, incomprensibile e apparente (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente valutato il complesso degli elementi istruttori partitamente richiamati in ricorso (con particolare riguardo alle deposizioni rese dai testi indicati, alla documentazione richiamata e alle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio acquisita agli atti), in tal modo pervenendo alla elaborazione di una motivazione logicamente inconsistente, contraddittoria e meramente apparente;

che entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili, in ragione dell’intima connessione delle questioni dedotte – sono inammissibili;

che, al riguardo, osserva il Collegio come, attraverso le censure indicate (sotto entrambi i profili di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), la ricorrente si sia sostanzialmente spinta a sollecitare la corte di legittimità a procedere a una rilettura nel merito degli elementi di prova acquisiti nel corso del processo, in contrasto con i limiti del giudizio di cassazione e con gli stessi limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (nuovo testo) sul piano dei vizi rilevanti della motivazione;

che, in particolare, sotto il profilo della violazione di legge, la ricorrente risulta aver prospettato le proprie doglianze attraverso la denuncia di un’errata ricognizione della fattispecie concreta, e non già della fattispecie astratta prevista dalle norme di legge richiamate (operazione come tale estranea al paradigma del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di fatti in sè incontroversi, insistendo propriamente la stessa nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo;

che, in particolare, con specifico riguardo alla dedotta violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, varrà considerare come l’odierna ricorrente, lungi dal denunciare l’effettivo ricorso (solo astrattamente prospettato) di una motivazione apparente o mancante (secondo i termini indicati da Cass. sez. un. nn. 8053 e 8054 del 2014), si sia limitata a censurare la motivazione della sentenza impugnata in relazione alla considerazione solo parziale, da parte del giudice a quo, delle risultanze istruttorie acquisite, e dunque in relazione all’insufficiente analisi di singoli elementi di prova, non integrante, come tale, un vizio riconducibile alla violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, nè, tantomeno al paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, riferito a un vizio non individuabile nella lettura asseritamente parziale degli elementi di prova acquisiti agli atti del giudizio;

che, sotto altro profilo, con riferimento alla pretesa violazione dell’art. 116 c.p.c., osserva il Collegio come, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di violazione della legge processuale solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime) (Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640193 – 01);

che, peraltro, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640194 – 01);

che, nella specie, la ricorrente, lungi dal denunciare il mancato rispetto, da parte del giudice a quo, del principio del libero apprezzamento delle prove (ovvero del vincolo di apprezzamento imposto da una fonte di prova legale), – ovvero lungi dall’evidenziare l’omesso esame, da parte del giudice a quo, di uno specifico fatto decisivo idoneo a disarticolare, in termini determinanti, l’esito della scelta decisoria adottata o un vizio costituzionalmente rilevante della motivazione (entro lo schema di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5) – si è limitato a denunciare un (preteso) cattivo esercizio, da parte della corte territoriale, del potere di apprezzamento del fatto sulla base delle prove selezionate, spingendosi a prospettare una diversa lettura nel merito dei fatti di causa, in coerenza ai tratti di un’operazione critica del tutto inammissibile in questa sede di legittimità;

che, infine, quanto al preteso vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, è appena il caso di sottolineare come lo stesso possa ritenersi denunciabile per cassazione, unicamente là dove attenga all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);

che, sul punto, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sía stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831);

che l’inammissibilità delle censure in esame emerge anche nella prospettiva del difetto di rilevanza, avendo la ricorrente propriamente trascurato di circostanziare gli aspetti dell’asserita decisività della mancata considerazione, da parte della corte territoriale, delle occorrenze di fatto pretesamente attestate dalle fonti di prova asseritamente trascurate, e che avrebbero al contrario (in ipotesi) condotto a una sicura diversa risoluzione dell’odierna controversia;

che, pertanto, dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, le odierne doglianza della ricorrente devono ritenersi inammissibili, siccome dirette a censurare, non già l’omissione decisiva e rilevante ai fini del cit. art. 360, n. 5, bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativi, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;

che, conseguentemente, sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso;

che non vi è luogo all’adozione di alcuna statuizione in ordine alla regolazione delle spese del presente giudizio, non avendo nessun intimato svolto difese in questa sede;

che dev’essere viceversa rilevata la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 11 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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