Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33193 del 16/12/2019

Cassazione civile sez. I, 16/12/2019, (ud. 13/11/2019, dep. 16/12/2019), n.33193

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33401/2018 proposto da:

A.B., elettivamente domiciliato in Arezzo, Via Monte Grappa n.

7, presso l’avv. Raffaele Massimo Santillo, per delega in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 967/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 21/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/11/2019 da Dott. NAZZICONE LOREDANA.

Fatto

RILEVATO

– che è proposto ricorso, fondato su due motivi, avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino del 21 maggio 2018, la quale ha respinto l’impugnazione contro la pronuncia di primo grado, a sua volta reiettiva del ricorso con riguardo alla decisione della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale;

– che la parte intimata non ha svolto difese;

– che il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

– che il primo motivo deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 oltre ad omesso esame di fatto decisivo, in quanto il giudice non ha compiuto una approfondita comparazione tra la situazione del paese di provenienza, il Bangladesh, e quella in Italia, e della effettiva condizione del richiedente, anche con riguardo ad una occasione lavorativa a tempo determinato;

– che il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3 e art. 14 non avendo il giudice del merito valutato le condizioni del paese di origine, con riguardo alle fonti informative esaminate, che non sarebbero attuali;

– che la corte territoriale ha confermato il giudizio, già fatto proprio dalla Commissione territoriale e dal Tribunale, circa la non credibilità del racconto del richiedente, ampiamente giustificando le ragioni di tale convincimento: e concludendo nel senso che, appunto, il suo racconto vago e generico, anche quanto al percorso migratorio ed alle ragioni che lo hanno cagionato, non sia credibile affatto;

– che, con una seconda motivazione, resa ad abundantiam, la corte territoriale ha altresì affermato l’infondatezza dell’appello anche in ordine agli altri motivi di impugnazione ivi proposti;

– che, alla luce dei motivi del ricorso e del contenuto della decisione qui impugnata, i motivi sono affetti da inammissibilità radicale, in quanto non colgono la ratio decidendi della sentenza d’appello, che ha ritenuto il richiedente non credibile;

– che, al riguardo, questa Corte ha ormai chiarito come “In tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a) essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati; la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c) ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503) e “In materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona; qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. 27 giugno 2018, n. 16925; e v. Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340, fra le tante);

– che per ogni altro profilo il ricorso è inammissibile, perchè intende ripetere un giudizio sul fatto, mentre non tiene neppure conto che la situazione di vulnerabilità rilevante a tal fine deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, e non resta integrato da condizioni di povertà o generali del suo paese d’origine: avendo, invero, questa Corte già avuto occasione di chiarire, nella recente sentenza n. 4455 del 2018 (successivamente ribadendolo in Cass. n. 17072 del 2018), che, se assunto isolatamente, il contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani nel paese di provenienza non integra, di per sè solo ed astrattamente considerato, i seri motivi di carattere umanitario, o derivanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui la legge subordina il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria, in quanto “il diritto al rispetto della vita privata – tutelato dall’art. 8 CEDU (…) – può soffrire ingerenze legittime da parte dei pubblici poteri per il perseguimento di interessi statuali contrapposti, quali, tra gli altri, l’applicazione ed il rispetto delle leggi in materia di immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero (…) non goda di uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che venga definita la sua domanda di determinazione dello status di protezione internazionale (cfr. Corte EDU, sent. 08.04.2008, ric. 21878/06, caso Nnyan. zi c. Regno Unito, par. 72 ss.)”; la riportata censura del ricorrente, invece, non va oltre l’allegazione di una generica criticità della situazione in cui versa il suo paese di provenienza;

– che l’esito del giudizio sul motivo neppure cambia alla luce del D.L. n. 113 del 2018, in quanto le stesse non assumono rilievo rispetto ai fatti dedotti a fondamento dell’originaria domanda di protezione umanitaria;

– che non occorre provvedere sulle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, se dovuto, richiesto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019

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