Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33191 del 16/12/2019

Cassazione civile sez. I, 16/12/2019, (ud. 24/10/2019, dep. 16/12/2019), n.33191

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 33109-2018 r.g. proposto da:

C.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Silvana Guglielmo, con cui elettivamente domicilia in Roma, Via

Asiago n. 9, presso lo studio dell’Avvocato Eduardo Spighetti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Catanzaro, depositato in data

2.10.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/10/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Catanzaro – decidendo sulla domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da C.A., cittadino del Senegal, dopo il diniego di tutela della locale commissione territoriale – ha rigettato il ricorso, confermando, pertanto, il provvedimento emesso dalla predetta commissione.

Il Tribunale ha ricordato che il ricorrente aveva narrato innanzi alla commissione: i) di provenire dalla regione di (OMISSIS), di essere stato adottato e di aver subito vessazione familiari, essendo stato discriminato rispetto ai figli biologici del padre adottivo; li) di aver anche subito la morte della madre adottiva e di aver deciso dunque di espatriare per fuggire da tali vessazioni e di essere giunto in Italia dopo un periglioso viaggio, che aveva attraversato il Mali, il Nigere la Libia; iii) di essere un calciatore e di giocare attualmente nella locale squadra di (OMISSIS) ove abita e di aver dunque raggiunto un adeguato grado di inserimento in Italia, dopo un periodo molto difficile che lo aveva visto anche oggetto di torture durante il suo soggiorno in Libia. Il Tribunale ha dunque ritenuto che: 1) non era riconoscibile lo status di rifugiato per la mancata allegazione di una situazione di persecuzione in danno dell’odierno ricorrente e perchè il pericolo di eventuali vessazioni familiari era da considerarsi superato per il raggiungimento della maggiore età da parte del richiedente; 2) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a e b, del per la mancata allegazione da parte dello stesso richiedente delle condizioni previste dalla norma da ultimo citata; 3) non era fondata la domanda di protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c, medesimo decreto da ultimo citato, in quanto la regione di provenienza dal Senegal del richiedente era da considerarsi un territorio stabile, ove non si registravano situazioni di conflitti armati generalizzati, che oramai erano cessati anche nella regione della (OMISSIS); 4) non era possibile riconoscere la reclamata protezione umanitaria in assenza di una condizione di vulnerabilità del ricorrente, che, peraltro, non aveva dimostrato di essersi inserito nella realtà sociale italiana e che doveva altresì ritenersi oramai insensibile agli effetti traumatici del suo passaggio in Libia, in considerazione del tempo trascorso in Italia.

2. Il decreto, pubblicato il 2.10.2018, è stato impugnato da C.A. con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

La parte ricorrente ha depositato memoria, fuori termine.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo la parte ricorrente lamentala violazione e la mancata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 per la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi per l’accertamento, in ordine alla richiesta di protezione internazionale, delle reali condizioni del Senegal, con particolare riferimento alle condizioni di sfruttamento lavorativo dei bambini.

2. Con il secondo motivo si censura il provvedimento impugnato per violazione della L. n. 46 del 2017, art. 6 sempre in relazione al mancato approfondimento delle condizioni di sfruttamento del lavoro minorile in Senegal.

3. Con il terzo motivo si articola vizio di errata e mancata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, in relazione al diniego della reclamata protezione sussidiaria.

4. Con il quarto motivo si denuncia vizio di violazione degli artt. 2 e 10 Cost., nonchè degli artt. 3 e 8 CEDU in relazione al mancato riconoscimento della invocata protezione umanitaria.

5. Con il quinto motivo si articola vizio di violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, sempre in relazione al diniego della protezione umanitaria.

6. il ricorso è inammissibile.

6.1 Il primo motivo, che censura il diniego della richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, è inammissibile in quanto non censura la ratio decidendi della motivazione impugnata che, in relazione alla predetta richiesta di tutela, si fonda, in primo luogo, sul rilievo della mancanza del presupposto di un atto di persecuzione in danno del richiedente e, non secondariamente, sulla rilevata circostanza che il ricorrente ha ormai raggiunto la maggiore età, di talchè anche i rilievi sul mancato approfondimento istruttorio sulle condizioni di sfruttamento del lavoro minorile in Senegal risultano fuori fuoco e decentrati rispetto alle ragioni sottese al diniego della reclamata protezione.

6.2 La seconda censura è inammissibile in ragione delle medesime considerazioni spese in riferimento al primo motivo di doglianza.

6.3 Il terzo motivo – le cui doglianze riguardano, invero, il diniego della richiesta protezione sussidiaria sub D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, – è anch’esso inammissibile in quanto sollecita il giudice di legittimità ad una rivalutazione delle fonti informative, indirizzata ad un nuovo scrutinio delle condizioni interne del paese di provenienza, profilo quest’ultimo rimesso alla esclusiva cognizione del giudice del merito e per il quale si assiste, peraltro, ad una motivazione scevra da criticità argomentative ed aporie.

6.4 I quarto e quinto motivo – che possono essere esaminati congiuntamente, riguardando entrambi il diniego della richiesta protezione umanitaria – sono inammissibili, in ragione sia della loro evidente genericità (in quanto le doglianze si compongono di una elencazione di principi giurisprudenziali e normativi, regolanti la materia, senza alcuna individualizzazione delle censure riferite in riferimento alle eventuali condizione di vulnerabilità del ricorrente) sia perchè volte a richiedere una irricevibile rivalutazione di merito dei presupposti applicativi dell’invocata protezione.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019

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