Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3319 del 05/02/2019

Cassazione civile sez. lav., 05/02/2019, (ud. 06/12/2018, dep. 05/02/2019), n.3319

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22162-2016 proposto da:

L.S.D., elettivamente domiciliata in ROMA, SALITA DI

SAN NICOLA DA TOLENTINO 1/B, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO

NASO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 23/A,

presso lo studio dell’avvocato GIAMPIERO PROIA, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la n. 3089 del 2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata

il 24/05/2016 R.G.N. 2794/2013.

Fatto

PREMESSO

che con sentenza n. 3089/2016, depositata il 14 luglio 2016, la Corte di appello di Roma, in accoglimento del gravame di Poste Italiane S.p.A., ha riformato la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale della stessa sede aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto stipulato con L.S.D. ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, per il periodo dal 6 luglio al 15 settembre 2006, con le pronunce conseguenti;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la lavoratrice, con tre motivi, cui la società ha resistito con controricorso, assistito da memoria.

Diritto

RILEVATO

che con il primo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1326 c.c. per avere la Corte erroneamente escluso che la prestazione lavorativa avesse avuto inizio in data precedente quella di conclusione del contratto, senza considerare che la lettera di assunzione era stata protocollata il 7 luglio 2006 e che solo da tale momento poteva ritenersi che Poste Italiane S.p.A. avesse preso conoscenza dell’accettazione della proposta negoziale da parte della lavoratrice;

– che, con il secondo, viene dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, commi 1, 2 e 3, e art. 2, commi 1 e 1 bis: (a) sotto un primo profilo, per avere la Corte di appello ritenuto non essere necessaria alcuna indicazione di ragioni giustificative dell’apposizione del termine, sull’erroneo rilievo che la norma, di cui al comma 1 bis, comporti una deroga alla disciplina comune dei contratti a tempo determinato; (b) sotto un secondo profilo, in relazione al quale viene dedotta anche la violazione dell’art. 2697 c.c., per avere la Corte trascurato di sottoporre a verifica il rispetto, da parte della società datrice di lavoro, del limite percentuale delle assunzioni a termine, nell’anno di riferimento, rispetto a quelle a tempo indeterminato;

– che, con il terzo, viene dedotta la violazione degli artt. 82, 86 e 90 del Trattato CE e della clausola n. 8, par. 3, della Direttiva 1999/70/CE, nonchè la violazione dell’art. 117 Cost., comma 1, per avere la Corte accolto un’interpretazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis tale da realizzare a favore di Poste Italiane S.p.A. uno sfruttamento abusivo di posizione dominante, in violazione della normativa comunitaria, e ciò mediante l’attribuzione alla stessa di uno strumento di flessibilità nell’individuazione del personale da impiegare a termine non disponibile per le altre imprese operanti nel settore postale, soggette (per non essere “concessionarie”) alla più rigida disciplina generale prevista dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1;

osservato:

che il primo motivo di ricorso è inammissibile, non essendo riprodotto, nell’inosservanza dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) il contenuto della lettera di assunzione (cfr., fra le molte, Cass. n. 14784/2015) e perchè comunque tende a sollecitare, dietro lo schermo del vizio di cui all’art. 360, n. 3, un riesame del merito della controversia, attraverso una diversa lettura delle risultanze probatorie;

– che il secondo motivo è infondato quanto alla censura sub (a), alla stregua di Sez. U n. 11374/2016, la quale ha stabilito che “le assunzioni a tempo determinato, effettuate da imprese concessionarie di servizi nel settore delle poste, che presentino i requisiti specificati dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, non necessitano anche dell’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo ai sensi dell’art. 1, comma 1 medesimo D.Lgs., trattandosi di ambito nel quale la valutazione sulla sussistenza della giustificazione è stata operata ex ante direttamente dal legislatore”; ed inammissibile quanto alla censura sub (b), dovendosi in proposito ribadire il principio che “i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio” (cfr., fra le molte, Cass. n. 907/2018);

– che infondato risulta anche il terzo motivo, alla stregua ancora di Sez. U n. 11374/2016 e, per ciò che attiene in particolare al denunciato abuso di posizione dominante, della sentenza della Corte di Giustizia CE del 17 maggio 2001 nella causa (C-340/99) TNT Traco S.p.A./Poste Italiane S.p.A., sentenza che ha posto in rilievo come quest’ultima sia incaricata di gestire un servizio di interesse economico generale, che viene assicurato indipendentemente da criteri di economicità e di profitto, e come tale legittimamente destinataria, da parte dell’ordinamento nazionale, di speciali diritti e prerogative funzionali all’espletamento del servizio medesimo;

ritenuto:

conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 6 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2019

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