Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33185 del 16/12/2019
Cassazione civile sez. I, 16/12/2019, (ud. 24/10/2019, dep. 16/12/2019), n.33185
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 24699-2018 r.g. proposto da:
D.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta
procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Silvana
Guglielmo, con cui elettivamente domicilia in Roma, Via Asiago n. 9,
presso lo studio dell’Avvocato Eduardo Spighetti;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale
rappresentante pro tempore il Ministro, rappresentato e difeso, ex
lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici in
Roma, Via dei Portoghesi n. 12 è elettivamente domiciliato;
– intimato –
avverso il decreto del Tribunale di Catanzaro, depositato in data
11.7.2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
22/10/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.
Fatto
RILEVATO
CHE:
1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Catanzaro – decidendo sulla domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da D.A., cittadino della COSTA D’AVORIO, dopo il diniego di tutela della locale commissione territoriale – ha rigettato il ricorso, confermando, pertanto, il provvedimento emesso dalla predetta commissione.
Il Tribunale ha ricordato che: a) i vizi del procedimento amministrativo precedente al ricorso giurisdizionale non sono rilevanti nel giudizio innanzi al tribunale il cui oggetto è limitato alla valutazione della esistenza o meno del diritto alla reclamata protezione internazionale; b) non era possibile riconoscere al richiedente lo status di rifugiato, in assenza dell’allegazione del pericolo di una persecuzione in danno di quest’ultimo; c) il ricorrente aveva narrato innanzi alla commissione: i) di appartenere al gruppo etnico (OMISSIS) e di professare la religione (OMISSIS); il) di provenire dalla regione del (OMISSIS); iii) di essere stato costretto ad espatriare per il timore di essere incarcerato per la commissione di un reato che non aveva commesso (e che era legato ad una contesa per una falegnameria, ove lavorava come operaio) e di essere giunto in Italia, dopo aver attraversato il Mali, l’Algeria e la Libia. Il Tribunale ha dunque ritenuto che: 1) il racconto del richiedente, in relazione al suo precedente vissuto e alle ragioni del suo espatrio, dovesse ritenersi non credibile, stante le numerose lacune nel narrato e la mancata dimostrazione della condanna subita; 2) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a e b, sempre in ragione della mancata credibilità di quanto narrato dal richiedente e comunque per l’assenza del rischio di essere condannato a pena di morte ovvero a trattamenti carcerari disumani; 3) non era fondata la domanda di protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c medesimo decreto da ultimo citato, in quanto la Costa d’Avorio è da considerarsi un territorio stabile ove, nonostante alcune situazioni di criticità, non si registrano situazioni di conflitti armati generalizzati; 4) non era possibile riconoscere la reclamata protezione umanitaria in assenza di una condizione di vulnerabilità del ricorrente, e ciò per la mancata dimostrazione di patologie gravi in corso e del presupposto dell’integrazione sociale in Italia.
2. Il decreto, pubblicato il 11.7.2018, è stato impugnato da D.A. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui l’amministrazione intimata ha resistito con controricorso.
Diritto
CONSIDERATO
CHE:
1.Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta violazione e mancata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 per l’omessa attivazione dei poteri istruttori officiosi volti all’accertamento, in ordine alla richiesta di protezione internazionale, delle reali condizioni di sicurezza interna della Costa d’Avorio.
2. Con il secondo motivo si articola vizio di errata e mancata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b e c, in relazione al diniego della reclamata protezione sussidiaria, per il mancato accertamento delle condizioni carcerarie nella Costa d’Avorio.
3. Con il terso motivo si articola vizio di violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e conseguente violazione dell’art. 2 Cost. e degli artt. 3 e 8 CEDU, in relazione al diniego della protezione umanitaria.
4. Il ricorso è inammissibile.
I tre motivi (che possono essere trattati congiuntamente in ragione della medesima soluzione decisoria) sono tutti e tre inammissibili in quanto le doglianze – variamente articolate in relazione alla reclamata protezione internazionale, sussidiaria ed umanitaria – non intercettano la ratio decidendi principale della motivazione impugnata, che riposa sulla valutazione di non credibilità del richiedente, ratio che pertanto consente comunque di ritenere la motivazione insuscettibile di riforma in sede di impugnazione.
Va aggiunto che le doglianze articolate, in riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, devono considerarsi del pari inammissibili perchè articolare in fatto e volte a sollecitare una rivalutazione di merito in ordine all’accertamento dei presupposti fattuali di applicazione dell’istituto protettivo invocato.
Le spese di lite seguono la soccombenza.
Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019