Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33184 del 16/12/2019

Cassazione civile sez. I, 16/12/2019, (ud. 24/10/2019, dep. 16/12/2019), n.33184

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 24697-2018 r.g. proposto da:

I.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Silvana Guglielmo, con cui elettivamente domicilia in Roma, Via

Asiago n. 9, presso lo studio dell’Avvocato Eduardo Spighetti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro, rappresentato e difeso, ex

lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici in

Roma, Via dei Portoghesi n. 12 è elettivamente domiciliato;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Catanzaro, depositato in data

4.7.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/10/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Catanzaro – decidendo sulla domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da I.A., cittadino del Ghana, dopo il diniego di tutela della locale commissione territoriale – ha rigettato il ricorso, confermando, pertanto, il provvedimento emesso dalla predetta commissione.

Il Tribunale ha ricordato che: a) non era possibile riconoscere al richiedente lo status di rifugiato, in assenza dell’allegazione del pericolo di una persecuzione in danno di quest’ultimo; b) il ricorrente aveva narrato innanzi alla commissione: i) di appartenere al gruppo etnico (OMISSIS) e di professare la religione (OMISSIS); II) di provenire dal Ghana; iii) di essere espatriato a causa di un litigio con un suo avversario politico (dal quale era rimasto ferito) e di essere giunto in Italia, dopo aver attraversato il Burkina Fasu, il Niger e la Libia.

Il Tribunale ha dunque ritenuto che: 1) il racconto del richiedente, in relazione al suo precedente vissuto e alle ragioni del suo espatrio (asseritamente collegate alla sua appartenenza al partito politico (OMISSIS)), non fosse credibile e che, comunque, non era riconoscibile lo status di rifugiato e la relativa protezione internazionale, anche in ragione della natura privata della vicenda narrata e dell’assenza di un pericolo di persecuzione in danno del richiedente; 2) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 14, lett. a e b, per la mancata allegazione da parte dello stesso richiedente delle condizioni previste dalla norma da ultimo citata; 3) non era fondata la domanda di protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c medesimo decreto da ultimo citato, in quanto lo stato di provenienza non è da considerarsi interessato da conflitti armati generalizzati ed anzi è teatro, oggi, di un radicale processo di democraticizzazione interna; 4) non era possibile riconoscere la reclamata protezione umanitaria in primo luogo in ragione della non credibilità del richiedente e perchè, poi, non era stata neanche allegata l’impossibilità, nel paese di provenienza, di cure terapeutiche per la patologia dichiarata ((OMISSIS)) nè era stato dimostrato l’inserimento del ricorrente nella realtà sociale italiana.

2. Il decreto, pubblicato il 4.7.2018, è stato impugnato da I.A. con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, cui l’amministrazione intimata ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo la parte ricorrente lamentala violazione e mancata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 per l’omessa attivazione dei poteri istruttori officiosi per l’accertamento, in ordine alla richiesta di protezione internazionale, delle reali condizioni di sicurezza interna del Ghana.

2. Con il secondo motivo si censura il provvedimento impugnato per violazione della L. n. 46 del 2017, art. 6 introduttivo dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis e dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, in relazione al profilo dell’invalidità del giudizio per la mancata audizione del richiedente in assenza della videoregistrazione.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione della L. n. 46 del 2017, art. 6, n. 9 per l’errata valutazione delle informazioni relative alle condizioni interne del paese di provenienza.

4. Con il quarto motivo si articola vizio di errata e mancata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, in relazione al diniego della reclamata protezione sussidiaria.

5. Con il quinto motivo si articola vizio di violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e conseguente violazione dell’art. 2 Cost. e degli artt. 3 e 8 CEDU, in relazione al diniego della protezione umanitaria.

6. Il ricorso è inammissibile.

6.1 n primo motivo, che censura il diniego della richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, è inammissibile in quanto non censura la ratio decidendi della motivazione impugnata che, in relazione alla predetta richiesta di tutela, si fonda, in primo luogo, sulla valutazione di non credibilità del richiedente.

6.2 Il secondo motivo è invece inammissibile in ragione del fatto che la censura è nuova perchè presentata per la prima volta innanzi a questa Corte, non emergendo dalla lettura del provvedimento impugnato nè da quella del ricorso introduttivo ove il ricorrente avesse richiesto, nella precedente fase del giudizio di merito, la sua audizione giudiziale.

6.3 Il terzo e quarto motivo – le cui doglianze riguardano, invero, il diniego della richiesta protezione umanitaria sub D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, – possono essere esaminati congiuntamente e devono essere dichiarati inammissibili in quanto, ancora una volta, sollecitano il giudice di legittimità ad una rivalutazione delle fonti informative indirizzata ad un nuovo scrutinio delle condizioni interne del paese di provenienza, profilo quest’ultimo rimesso alla esclusiva cognizione del giudice del merito e per il quale si assiste, peraltro, ad una motivazione scevra da criticità argomentative ed aporie.

6.4 Il quinto motivo è, come il primo, inammissibile in ragione del fatto che la doglianza non censura la ratio decidendi della motivazione impugnata che, in relazione alla predetta richiesta di tutela umanitaria, si fonda, in primo luogo, sulla valutazione di non credibilità del richiedente.

Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019

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