Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33183 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 21/12/2018, (ud. 27/09/2018, dep. 21/12/2018), n.33183

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 7415 del ruolo generale dell’anno

2017, proposto da:

B.C. (C.F.: (OMISSIS)) rappresentato e difeso dagli

avvocati Ugo Carnevali (C.F.: (OMISSIS)) e Giorgio Spadafora (C.F.:

(OMISSIS));

– Ricorrente –

contro

BAR LUME S.r.l. (C.F.: (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore;

-intimato-

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Brescia n.

5/2017, pubblicata in data 3 gennaio 2017 (e notificata in data 27

gennaio 2017);

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in

data 27 settembre 2018 dal consigliere Augusto Tatangelo.

Fatto

Fatti di causa

Nel corso di un processo di espropriazione forzata immobiliare il debitore esecutato B.C. ha proposto opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2. L’opposizione è stata accolta dal Tribunale di Brescia.

La Corte di Appello di Brescia, in riforma della decisione di primo grado, la ha invece rigettata.

Ricorre il B., sulla base di due motivi.

Non ha svolto attività difensiva in questa sede la società intimata.

E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato manifestamente infondato.

E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.

Il collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.

Diritto

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “violazione ed errata applicazione dell’art. 2290 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Il motivo è in parte manifestamente infondato ed in parte inammissibile.

E’ manifestamente infondato nella parte in cui il ricorrente sostiene di non poter essere chiamato a rispondere delle conseguenze dell’inadempimento del contratto preliminare di cessione di azienda stipulato in data 2 marzo 2006 dalla S.n.c. Fratelli Baggio di B.A. e C. con la Protema S.r.l. (oggi Bar Lume S.r.l.), essendo egli terzo rispetto a tale contratto e non potendo d’altra parte ritenersi l’obbligazione posta in esecuzione nei suoi confronti (avente ad oggetto il risarcimento del danno derivante dal relativo inadempimento) sorta quando egli era ancora socio della promittente venditrice, dal momento che il preliminare (pur se pacificamente concluso quando egli ancora rivestiva tale qualità) prevedeva la stipula del definitivo entro il 31 dicembre 2006, data successiva a quella del 26 ottobre 2006, in cui egli aveva ceduto la propria partecipazione sociale.

Ai sensi dell’art. 2290 c.c., il socio illimitatamente responsabile di una società di persone risponde di tutte le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui egli ricopre la qualità di socio, indipendentemente dalla data in cui si verifica il relativo inadempimento. Di conseguenza, nel caso di specie risulta del tutto irrilevante la data in cui si è concretizzato l’inadempimento all’obbligazione di trasferire l’azienda sociale alla Protema S.r.l., pacificamente assunta in un momento il cui il ricorrente era ancora socio della promittente venditrice, ai fini del riconoscimento della sua responsabilità solidale per tale obbligazione. Ed è altresì evidente che la responsabilità del socio per l’obbligazione sociale inadempiuta non può non comprendere il risarcimento del relativo danno, ai sensi dell’art. 1218 c.c..

D’altra parte, nella sentenza impugnata è specificamente affermato (e tale affermazione costituisce una ulteriore autonoma ragione della decisione) che anche l’inadempimento all’obbligazione di trasferire l’azienda sociale si era in realtà concretizzato, nei suoi fatti costitutivi, già prima della perdita della qualità di socio da parte del ricorrente, in quanto l’azienda stessa era stata venduta ad altro soggetto addirittura prima della stipula del preliminare con la Protema S.r.l. (e precisamente nel settembre 2005, con contratto in base al quale tate altro soggetto ne era infine divenuto proprietario). Sotto questo aspetto il ricorso per un verso non sembra cogliere in pieno la ratio decidendi della pronuncia e per altro verso difetta di specificità, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. Il ricorrente non chiarisce, con il necessario puntuale richiamo ai relativi atti e documenti prodotti nel giudizio di merito, se effettivamente il trasferimento della proprietà dell’azienda al terzo (che ne aveva reso impossibile il trasferimento alla Protema S.r.l.) era avvenuto prima o dopo la data della cessione della propria partecipazione sociale, e per quale motivo dovrebbe ritenersi – diversamente da quanto sostanzialmente affermato in diritto dalla corte di appello che l’adempimento del contratto preliminare con la Protema S.r.l. sarebbe invece stato possibile fino al 31 dicembre 2006.

2. Con il secondo motivo si denunzia “violazione ed errata applicazione dell’art. 2304 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n.5”.

Anche questo motivo è per un verso manifestamente infondato e per altro verso inammissibile.

La sentenza di condanna posta in esecuzione nei confronti del ricorrente riguarda certamente – come correttamente precisato nella sentenza impugnata – la società di cui egli era socio al momento in cui era stata assunta l’obbligazione rimasta inadempiuta (pur se all’epoca tale società aveva diversa denominazione, oltre che, ovviamente, diversa compagine sociale), con conseguente efficacia di tale titolo esecutivo nei suoi confronti ai sensi dell’art. 2290 c.c. (cfr., ex multis, Cass. Sez. 50 -, Sentenza n. 30441 del 19/12/2017, Rv. 646510 – 01: “la sentenza di condanna pronunciata in un processo tra il creditore della società ed una società di persone costituisce titolo esecutivo anche contro il socio illimitatamente responsabile, in quanto dall’esistenza dell’obbligazione sociale deriva necessariamente la responsabilità del socio e, quindi, ricorre una situazione non diversa da quella che, secondo l’art. 477 c.p.c., consente di porre in esecuzione il titolo in confronto di soggetti diversi dalla persona contro cui è stato formato”; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 613 del 17/01/2003, Rv. 559807 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 19946 del 06/10/2004, Rv. 577542 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 1040 del 16/01/2009, Rv. 606369 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 6734 del 24/03/2011, Rv. 617488 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 11311 del 23/05/2011, Rv. 618154 – 01). E’ appena il caso di osservare che nessun rilievo può avere, evidentemente, ai fini della responsabilità del socio uscente per le obbligazioni sociali già esistenti, prevista dall’art. 2290 c.c., il successivo mutamento di denominazione e di compagine sociale. Sotto questo profilo la censura risulta manifestamente infondata.

In effetti il ricorrente (dando atto dell’orientamento di questa Corte appena richiamato), con il motivo di ricorso in esame deduce in realtà la violazione dell’art. 2304 c.c., che prevede in favore del socio illimitatamente responsabile il beneficio della previa escussione del patrimonio sociale. Non chiarisce però per quale motivo il mutamento di denominazione della società dopo la cessione della sua partecipazione sociale potrebbe aver determinato una violazione di tale disposizione; in ogni caso, nella sentenza impugnata la questione della violazione del beneficio di previa escussione del patrimonio sociale è stata ritenuta inammissibile in quanto non tempestivamente riproposta nel giudizio di appello, e tale ratio decidendi non viene specificamente censurata.

Sotto tale profilo la censura risulta dunque altresì inammissibile.

3. Il ricorso è rigettato, ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., comma 1.

Nulla è a dirsi con riguardo alle spese del giudizio non avendo la parte intimata svolto attività difensiva nella presente sede. Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012 n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– nulla per le spese.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012 n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 27 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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