Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33179 del 16/12/2019

Cassazione civile sez. I, 16/12/2019, (ud. 24/10/2019, dep. 16/12/2019), n.33179

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina Anna Rosaria – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22310/2018 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

PINETA SACCHETTI n. 482, presso lo studio dell’avvocato EMANUELA

VERGINE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPA BASCIA’;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 1464/2018 del TRIBUNALE di LECCE, depositata il

21/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/10/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto del 21.6.2018 notificato il 27.6.2018 il Tribunale di Lecce respingeva il ricorso interposto da C.C., ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di protezione internazionale emesso dalla Commissione territoriale di Lecce in data 27.10.2017, notificata il 23.11.2017. Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto il C. affidandosi a due motivi. Resiste con controricorso il Ministero dell’interno. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 4 e 32, artt. 97 e 24 Cost., nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 2, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, perchè il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto non rilevanti i vizi procedurali in cui sarebbe incorsa la Commissione territoriale. In particolare, il provvedimento emesso da quest’ultima sarebbe stato sottoscritto solo dal Presidente, e quindi senza la garanzia di collegialità della decisione prevista dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 4, comma 4; inoltre, esso non sarebbe stato sottoscritto dal segretario della Commissione. Inoltre, gli atti del procedimento non sarebbero stati tradotti in lingua comprensibile dallo straniero, con conseguente violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2.

La doglianza è infondata.

Nella struttura del giudizio di riconoscimento della protezione internazionale la fase giurisdizionale non è finalizzata alla sola verifica della regolarità formale della precedente fase amministrativa che si svolge dinanzi la Commissione territoriale e della decisione da quest’ultimo organismo adottata; oggetto della delibazione del giudice, infatti, non è solo il provvedimento amministrativo, ma la spettanza, in concreto, al richiedente di una delle forme di protezione, internazionale o umanitaria, previste dagli ordinamenti Eurounitario e nazionale.

Ne deriva che i vizi formali, che non comportino una diversa ricostruzione dei fatti concreti posti a basi della domanda di riconoscimento della protezione internazionale o umanitaria e che pertanto non incidano sull’esito finale della decisione, non sono di per sè soli rilevanti.

Per quanto attiene, in particolare, alla mancata traduzione di tutti o parte degli atti della fase amministrativa, si è ritenuto che “… la nullità del provvedimento amministrativo emesso dalla Commissione territoriale per omessa traduzione in una lingua conosciuta dall’interessato o in una delle lingue veicolari, non esonera il giudice adito dall’obbligo di esaminare il merito della domanda, atteso che l’oggetto della controversia non è il provvedimento negativo, ma il diritto soggettivo alla protezione internazionale invocata” (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 26480 del 09/12/2011, Rv. 620691; conf. Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 7835 del 22/03/2017, Rv. 643652; Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 27337 del 29/10/2018, Rv. 651147; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13086 del 15/05/2019, Rv. 654172).

Stesso dicasi per la mancata sottoscrizione del Presidente e del segretario, posto che “… la nullità del provvedimento amministrativo di diniego della protezione internazionale reso dalla Commissione territoriale non ha autonoma rilevanza nel giudizio introdotto mediante ricorso al tribunale avverso il predetto provvedimento poichè tale procedimento ha ad oggetto il diritto soggettivo del ricorrente alla protezione invocata, e deve pervenire alla decisione nel merito circa la spettanza, o meno, del diritto stesso, non potendo limitarsi al mero annullamento del diniego amministrativo” (Cass. sez. 1, Ordinanza n. 17318 del 27/06/2019, Rv. 654643; conf. Cass. sez. 6-1, Ordinanza n. 23472 del 06/10/2017, Rv. 646039 e Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 18632 del 03/09/2014, Rv. 631940).

I richiamati principi, pacifici nella giurisprudenza di questa Corte, conducono al rigetto della censura in esame, anche a prescindere da qualsiasi rilievo circa la sua specificità, non avendo il ricorrente avuto cura di riportare, nel motivo del ricorso, il testo del provvedimento della commissione al quale la censura stessa si riferisce.

Peraltro v’è da precisare che il fatto che il provvedimento amministrativo rechi la sola firma del Presidente, e non anche quella di tutti i componenti dell’organo che hanno preso parte alla deliberazione della decisione, non rappresenta circostanza idonea a dimostrare il mancato rispetto del principio di collegialità della decisione.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, comma 8, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, perchè il giudice di merito avrebbe omesso di esercitare in concreto i suoi poteri ufficiosi per verificare le condizioni del Paese di provenienza del richiedente la protezione ed apprezzarne la vulnerabilità e il livello di integrazione in Italia. Inoltre, il Tribunale avrebbe ulteriormente errato nel non disporre l’audizione personale del C. e ne avrebbe erroneamente indicato le generalità, in particolare quanto alla sua data di nascita.

La doglianza è infondata.

Ed invero il Tribunale ha dato atto degli elementi salienti della storia riferita dal richiedente la protezione (cfr. pagg. 2 e s. della decisione impugnata) indicando che lo stesso aveva dichiarato di aver lasciato il proprio Paese “… alla ricerca di una migliore condizione lavorativa per sostenere la propria famiglia”. Il ricorso conferma la coerenza di questa ricostruzione con quanto dichiarato dal C., poichè a pag. 31 si afferma che quest’ultimo avrebbe riferito, in sede di audizione, di essersi trovato in povertà assoluta e in condizioni di non poter provvedere al sostentamento della propria famiglia, e di aver perciò deciso di abbandonare la Nigeria. E poco oltre (cfr. pag. 33) ribadisce che “La vita del ricorrente e dei suoi familiari potrebbe non essere a rischio per la guerra, ma certamente è a rischio per la fame”. Tuttavia l’esistenza di condizioni di vita deteriori, nel Paese di origine del richiedente la protezione, rispetto a quelle che lo stesso si attende di trovare in Italia, non costituisce di per sè solo un valido motivo per giustificare la concessione di una qualsiasi forma di protezione, internazionale o umanitaria. Il richiedente deve, infatti, dedurre un quid pluris, rispettivamente rappresentato da una condizione oggettiva di particolare insicurezza e di violenza indiscriminata – ai fini della protezione sussidiaria -ovvero uno stato soggettivo di specifica vulnerabilità, che nella specie il C. non ha in alcun modo allegato.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Ai fini del governo delle spese, si deve osservare che l’atto notificato dall’Avvocatura dello Stato in resistenza al ricorso non presenta le caratteristiche minime del controricorso: in esso infatti non vi è alcun cenno alla specifica vicenda processuale e sostanziale, nè ai motivi di ricorso proposti dal C.. Esso quindi va considerato, anche ai fini delle spese del presente giudizio di legittimità, come semplice memoria in resistenza.

Poichè il ricorrente è stato ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, non sussistono presupposti processuali per dichiarare, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, l’obbligo di versamento da parte del ricorrente medesimo dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019

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