Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33177 del 16/12/2019

Cassazione civile sez. I, 16/12/2019, (ud. 24/10/2019, dep. 16/12/2019), n.33177

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19919-2018 proposto da:

A.M., rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO MARIA

DE GIORGI e domiciliato presso la cancelleria della Corte di

Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

e contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE LECCE;

– intimata –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE, depositata il 09/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/10/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto del 9.5.2018 notificato il 14.5.2018 il Tribunale di Lecce respingeva il ricorso interposto da A.M., ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 il provvedimento di rigetto dell’istanza di protezione internazionale emesso dalla Commissione territoriale di Lecce in data 14.7.2017, notificata l’8.8.2017. Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto l’ A. affidandosi a sei motivi. Il Ministero dell’interno ha depositato atto di costituzione ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza. Il ricorrente ha depositato memoria fuori termine.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,7 e 19, L. n. 722 del 1954, art. 1, art. 3 Cost. e del D.L. n. 13 del 2017, art. 6 e la nullità del provvedimento impugnato perchè il Tribunale avrebbe omesso di applicare alla fattispecie il principio dell’onere probatorio attenuato valido in materia di riconoscimento della protezione internazionale.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 4 in quanto il giudice di merito non avrebbe considerato che la Nigeria, ed in particolare l’Edo State, dal quale il richiedente proviene, è caratterizzata da una crescente instabilità legata al diffondersi di organizzazioni terroristiche quale quella denominata “(OMISSIS)”, da un susseguirsi di gravi fatti di sangue, dalla diffusione di riti (OMISSIS), da crescenti tensioni tra gli appartenenti alle diverse confessioni religiose e dall’estrema corruzione delle forze dell’ordine.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 7 perchè il Tribunale ha negato il riconoscimento dello status di rifugiato senza considerare che egli rischiava di subire persecuzioni, in patria, perchè di religione cattolica e di orientamento omosessuale.

Con il quarto e quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 19 perchè il giudice di merito ha omesso di considerare, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato invocato dal richiedente, sia la situazione generale del Paese di origine, sia il fatto che il medesimo aveva riferito di essere soggetto al rischio di persecuzione per motivi religiosi ed a cagione del suo orientamento sessuale.

Con il sesto motivo, infine, il ricorrente lamenta la contrarietà del D.L. n. 13 del 2017, art. 6 con l’art. 3 Cost. perchè detta norma, prevedendo espressamente la non appellabilità della decisione del giudice di prime cure in materia di riconoscimento della protezione internazionale, avrebbe irragionevolmente compresso il diritto del richiedente al doppio grado di giurisdizione.

Per ragioni logiche va preliminarmente esaminata tale ultima censura, che tuttavia appare manifestamente infondata in quanto la previsione del doppio grado di giurisdizione non è assistita, al di fuori dell’ambito della giustizia amministrativa, da garanzia derivante da norme di rango costituzionale.

Peraltro la questione posta dal ricorrente potrebbe al massimo avere una sua rilevanza sotto il profilo della violazione dell’art. 24 Cost., se ed in quanto si assumesse che l’articolazione del giudizio di merito in unico grado fosse idonea a limitare la piena esplicazione del diritto alla difesa in giudizio, ma di certo non rispetto al paradigma dell’eguaglianza sancito dall’art. 3 Cost. Nessuna disparità irragionevole di trattamento è infatti configurabile, in termini generali, tra la condizione dello straniero richiedente la protezione internazionale e quella di altro soggetto che si appresti al sistema giudiziario per invocare la tutela dei propri diritti, e ciò per almeno tre diverse ragioni: da un lato, in quanto l’ordinamento prevede diverse forme di tutela, in alcuni casi espressamente limitando il ricorso alla giustizia ad un solo grado, onde la previsione della non appellabilità dei provvedimenti decisori emessi in materia di protezione internazionale non è di per sè sola indice di trattamento discriminatorio dello straniero; dall’altro lato, in quanto in ogni caso l’art. 111 Cost. assicura la possibilità di impugnare per violazione di legge innanzi a questa Corte qualsiasi provvedimento a contenuto decisorio, in tal modo garantendo idonea tutela al diritto alla corretta applicazione della norma di legge; ed infine, in quanto per potersi configurare un profilo di irragionevole disparità di trattamento occorre dimostrare l’identità, o quantomeno l’analogia, tra le condizioni di base dei soggetti coinvolti, ed a tal proposito il ricorrente non ha neppure indicato rispetto a quale specifica categoria di soggetti, diversi dallo straniero richiedente la protezione internazionale, sussisterebbe la dedotta disparità di trattamento, non potendosi a tal fine ritenere sufficiente un apodittico confronto tra cittadini e stranieri, sia in vista della oggettiva diversità, sotto molteplici profili, delle condizioni di partenza delle due categorie soggettive, sia in vista della genericità, e quindi in ultima analisi dell’irrilevanza, delle stesse categorie di cui sopra, non potendosi neppure configurare, nell’ordinamento vigente ed in ragione della tutela costituzionale delle libertà fondamentali dell’individuo, una loro differenziazione in termini di logica giuridica.

Da quanto precede deriva la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità posta dal ricorrente.

I primi tre motivi di ricorso, che per la loro connessione meritano un esame congiunto, sono fondati.

Ed invero va evidenziato che l’ A. aveva dichiarato, nel corso del giudizio di merito, di essere omosessuale. La circostanza che nel Paese di provenienza del richiedente la protezione internazionale sia previsto il reato di omosessualità rende di per sè il predetto soggetto vulnerabile in ragione del suo orientamento sessuale, che non è frutto di scelta consapevole ma di inclinazione naturale. Proprio l’esistenza di una legislazione contraria alla libera e piena esplicazione dei diritti fondamentali della persona nel Paese di origine – tra i quali rientra certamente quello di coltivare di una relazione affettiva, etero od omosessuale, che costituisce elemento essenziale e ineludibile della piena estrinsecazione della personalità umana – espone infatti il richiedente la protezione non soltanto al rischio, ma alla certezza di subire, a causa del suo orientamento sessuale, un trattamento umanamente degradante, in ogni caso non paritetico e comunque non in linea con gli standard internazionali in tema di diritti umani.

Sul punto, questa Corte ha affermato, con principio che il Collegio condivide ed al quale intende dare continuità, che “Ai fini della concessione della protezione internazionale, la circostanza per cui l’omosessualità sia considerata un reato dall’ordinamento giuridico del Paese di provenienza (nella specie, Senegal) è rilevante, costituendo una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali, che compromette grandemente la loro libertà personale e li pone in una situazione oggettiva di persecuzione, tale da giustificare la concessione della protezione richiesta” (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 15981 del 20/09/2012, Rv. 624006; conf. Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 26969 del 24/10/2018, Rv. 651511).

In termini analoghi, cfr. anche Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 2875 del 06/02/2018, Rv. 647344, che con specifico riferimento ad un cittadino del Gambia accusato di omosessualità ha affermato che ove il richiedente adduca il rischio di persecuzione, al fine di ottenere la protezione internazionale, il giudice non deve valutare nel merito la sussistenza o meno del fatto, ossia la fondatezza dell’accusa, ma deve limitarsi ad accertare, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 2 e art. 14, lett. c), se tale accusa sia reale, cioè effettivamente rivolta al richiedente nel suo Paese, e dunque suscettibile di rendere attuale il rischio di persecuzione o di danno grave in relazione alle conseguenze possibili secondo l’ordinamento straniero.

Poichè in Nigeria l’omosessualità è prevista come reato, il giudice di merito avrebbe dovuto apprezzare questa circostanza e considerare la rilevanza dell’orientamento sessuale dichiarato dal richiedente ai fini del riconoscimento della protezione invocata. Tale valutazione è invece mancata, avendo il Tribunale condotto una valutazione di non credibilità del racconto fondata sull’enfatizzazione di elementi secondari della storia (in particolare, il modo con cui la persona che avrebbe scoperto il congiungimento carnale tra il richiedente ed il suo compagno si sarebbe introdotta nell’abitazione di quest’ultimo) e sulla carenza di riscontri documentali (in particolare, la cartella clinica del ricovero in ospedale del richiedente conseguente all’aggressione dal medesimo subita) che non avrebbero potuto essere ragionevolmente richiesti allo straniero, stante il principio dell’onere probatorio attenuato ed il dovere di cooperazione istruttoria previsti in materia di protezione internazionale. Di conseguenza, si configura sul punto una motivazione meramente apparente, che come tale va considerata sostanzialmente omessa.

L’accoglimento dei primi tre motivi del ricorso implica l’assorbimento del quarto e del quinto. La decisione impugnata va conseguentemente cassata, in relazione alle censure accolte, e la causa rinviata al Tribunale di Lecce, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte rigetta il sesto motivo, accoglie i primi tre e dichiara assorbiti il quarto e il quinto. Cassa la decisione impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa al Tribunale di Lecce, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019

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