Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33174 del 16/12/2019

Cassazione civile sez. I, 16/12/2019, (ud. 24/10/2019, dep. 16/12/2019), n.33174

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22189/2018 proposto da:

S.I., domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Corte

di Cassazione – PEC avv. Mariagrazia Stigliano di Taranto che lo

difende per procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, (CF (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

Roma, Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello

Stato che lo rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE n. 1732 depositato il

18/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio d

24/10/2019 dal consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA.

Fatto

RILEVATO

che:

p. 1. S.I., n. in (OMISSIS), propone due motivi di ricorso per la cassazione del decreto n. 1732/18 del 18.7.18, con il quale il Tribunale di Lecce – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea – ha respinto il ricorso da lui proposto avverso la decisione della competente Commissione Territoriale di rigetto della sua istanza di protezione internazionale: status di rifugiato o, in subordine, protezione sussidiaria o permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il Tribunale, in particolare, ha rilevato che:

– in sede di audizione personale presso la commissione territoriale il ricorrente aveva dichiarato di essere cittadino del Pakistan (distretto di (OMISSIS)), originario del villaggio di Dinga ed appartenente al clan (OMISSIS); di essere di fede musulmana sunnita, di avere un basso livello d’istruzione, di essere sposato e di avere due figli; di aver lasciato il suo Paese il 21 marzo 2016 a seguito di un contrasto insorto con la locale comunità sciita la quale si era opposta alla sua decisione, autorizzata dall’Imam sunnita, di contrarre secondo matrimonio con una donna di religione islamica sciita; di aver subito in conseguenza di ciò due aggressioni, senza intervento della polizia, cui era seguita la violenta uccisione dell’Imam sunnita che l’aveva autorizzato alle nozze, poi di fatto mai celebrate; di avere fondati motivi di temere ritorsioni e, in caso di rimpatrio, di essere ucciso dagli sciiti;

– non sussistevano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato perchè i fatti così esposti (quand’anche veritieri) non riguardavano atti persecutori per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 lett. f), anche considerato che lo stesso ricorrente aveva più volte ribadito che tra la sua famiglia e la comunità sciita non vi era alcun contrasto, e che le minacce ricevute non derivavano dalla sua fede musulmana sunnita in sè, bensì dall’intenzione di unirsi in seconde nozze con una donna di religione islamica sciita;

– non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale sussidiaria (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)) poichè il Pakistan, per quanto interessato non da una situazione di violenza indiscriminata da conflitto armato ma da numerosi attacchi terroristici in province diverse e distanti da quella del (OMISSIS) in (OMISSIS), era stato da ultimo assoggettato, con concreti risultati, ad un’operazione governativa di sicurezza e monitoraggio delle condizioni interne di instabilità (Report ‘17 Eurepean Asylum Support Office; COI Report ‘17); inoltre la narrazione del ricorrente circa l’esistenza di un danno grave alla persona in caso di rimpatrio non era convincente dal momento che, rinunciando alle seconde nozze, egli aveva assecondato, e non contrastato, la volontà della comunità sciita;

non sussistevano i presupposti per il rilascio di permesso di soggiorno per motivi umanitari (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3), stante l’assenza di fattori soggettivi (salute, età, traumi rilevanti subiti) ovvero oggettivi (guerre civili, conflitti interni, rivolgimenti violenti di regime, catastrofi naturali, rischia di tortura e trattamenti degradanti) di vulnerabilità, anche considerata la rinuncia alle nozze ed il tempo trascorso sia dalla prima aggressione riferita (tre anni), sia dall’abbandono del Paese (due anni); inoltre non era emerso alcun elemento significativo di stabile inserimento sociale o legame affettivo-familiare in Italia.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. Per non avere il tribunale considerato che nella specie sussistevano gli estremi sia della persecuzione personale diretta nel Paese d’origine legittimante lo status di rifugiato sia, in subordine, del danno grave per il riconoscimento della protezione internazionale sussidiaria. Ciò perchè i fatti riferiti integravano la persecuzione da parte di soggetti non statuali in danno dell’appartenente ad un gruppo sociale (sunniti); e ciò in un contesto nel quale le autorità statali non erano in condizione di fornire adeguata protezione.

p. 2.2 Il motivo è infondato.

Il tribunale non ha fatto erronea applicazione della norma di cui si assume la violazione, nè è incorso in omesso esame dell’indicato fatto decisivo.

Per quanto concerne l’istanza principale di riconoscimento dello status di rifugiato, è dirimente osservare come la decisione del tribunale si sia basata, non sulla minore o maggiore attendibilità dei fatti narrati dal richiedente, bensì sulla oggettiva natura di questi ultimi e sulla loro irrilevanza ai fini della protezione richiesta; legittimata, D.Lgs. n. 251 del 2007, da cause (timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica) qui ritenute inesistenti. Il giudice di merito ha esaminato la fattispecie, concludendo nel senso che la vicenda di contrasto narrata dal richiedente atteneva in sostanza alla sfera privata e familiare, dal momento che nessun motivo di reale contrasto persecutorio derivava in capo al medesimo (o alla sua famiglia) dalla sua appartenenza alla comunità sunnita (tanto che le minacce subite non derivavano dalla sua fede musulmana sunnita in sè, quanto dall’intenzione di sposare una donna sciita; nozze che, tuttavia, non vennero mai realizzate così da far venir meno in radice l’occasione ed il pretesto di ogni eventuale conflitto o persecuzione personale).

Quanto così affermato dal giudice di merito vale anche a legittimamente escludere la fondatezza della domanda subordinata di protezione sussidiaria, stante l’assenza di pericolo di danno grave ex art. 14 cit.; e ciò proprio per l’effetto dell’avvenuta composizione, per giunta in epoca ormai risalente, del possibile contrasto originato dalla palesata intenzione (non attuata) di sposare la donna di religione sciita.

Sotto altro e concorrente aspetto il giudice di merito – adeguatamente motivando sul punto – ha preso in esame anche la situazione generale del Pakistan, argomentando un recupero delle condizioni di sicurezza e l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato tale da porre in pericolo la persona del richiedente per il solo fatto della sua presenza in quel Paese (tra le molte: Cass. n. 9090/2019, n. 11103/2019, n. 13858/2018).

p. 3.1 Con il secondo motivo di ricorso si lamenta motivazione apparente e violazione o falsa applicazione dell’art. 1 Conv. Ginevra 28 luglio 1951, art. 10 Cost., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 7 e 14 D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Per avere il tribunale respinto l’istanza subordinata di rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie senza alcuna indagine sui relativi presupposti, e quale “frutto di un automatismo conseguente al rigetto delle due domande principali”; ciò nonostante che la mancata conclusione delle nozze non dimostrasse, di per sè, il venir meno di un pericolo di danno grave e di persecuzioni non controllabili dalle autorità istituzionali.

p. 3.2 I motivo è infondato.

Il giudizio del tribunale non risulta affetto da alcun automatismo, ma caratterizzato da una argomentata valutazione di merito circa gli elementi costitutivi della protezione internazionale richiesta. Così quanto all’inattendibilità ed inconsistenza delle ragioni di timore palesate dal richiedente per la sua vicenda personale; alla insussistenza di effettive ragioni di contrasto persecutorio per effetto della sua appartenenza al gruppo sunnita; alla insussistenza nel paese di una situazione generale di violenza indiscriminata da conflitto armato tale da porre in pericolo il prevenuto per la sua sola presenza sul territorio (con speciale riferimento alla provincia del (OMISSIS), distretto del (OMISSIS)); alla insussistenza di qualsivoglia elemento di riscontro di un effettivo percorso di inserimento sociale in Italia.

Ciò posto, va osservato come il giudice di merito abbia esercitato il potere/dovere di accertamento, anche ufficioso, della situazione esistente nel paese di origine, puntualmente indicando (Cass.n. ord.11312/19) le fonti informative da lui utilizzate, e costituite da risultanze ufficiali di generale conoscibilità in quanto provenienti da dipartimenti ministeriali ed organismi internazionali.

Questo accertamento fattuale, adeguatamente motivato dal giudice di merito, non è censurabile in cassazione.

L’insindacabilità dell’accertamento fattuale svolto dal giudice di merito va infatti estesa non solo alla valutazione della credibilità del racconto personale del richiedente ed alla valutazione oggettiva dei motivi di timore da lui palesati (Cass. n. 3340/19), ma anche all’apprezzamento della situazione di fatto oggettivamente esistente nel paese (distretto) di provenienza (Cass. n. 32064/18; 30105/18).

Il ricorso va dunque rigettato, con regolazione delle spese secondo soccombenza.

Trattandosi di ricorrente ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non sussistono i presupposti per il versamento di un’ulteriore somma a titolo di contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater. (Cass. n. 6624/18 ed altre).

P.Q.M.

LA CORTE

rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2100,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019

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