Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33173 del 16/12/2019

Cassazione civile sez. I, 16/12/2019, (ud. 24/10/2019, dep. 16/12/2019), n.33173

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15310/2018 proposto da:

O.C.O., domiciliato in Roma, Via P.da Palestrina 19,

presso lo studio dell’avv. Fabio Francesco Franco, difeso dall’avv.

Stefano Morgese di Mesagne (BR) per procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, (CF (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

Roma, Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello

Stato che lo rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE n. 855 depositato il

13/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

24/10/2019 dal consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA.

Fatto

RILEVATO

che:

p. 1. O.C.O., n. a Benin (Nigeria) il 20.2.81, propone tre motivi di ricorso per la cassazione del decreto n. 855 del 13.4.18, con il quale il Tribunale di Lecce – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea – ha respinto, nella contumacia del Ministero dell’Interno, il ricorso da lui proposto avverso la decisione della competente Commissione Territoriale di rigetto della sua istanza di protezione internazionale: status di rifugiato o, in subordine, protezione sussidiaria o permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il Tribunale, in particolare, ha rilevato che:

– l’istante, sentito dalla commissione, aveva dichiarato di essere cittadino nigeriano originario di (OMISSIS) ma trasferitosi, sin da quando aveva cinque anni, nel villaggio di (OMISSIS), di appartenere al gruppo etnico (OMISSIS), di essere di fede (OMISSIS), di avere un basso livello di istruzione, di essere sposato con due figli, di avere lasciato il suo Paese l’11 maggio 2016 per timore di essere ucciso da coloro che avevano assassinato sua madre e sua sorella su un terreno di proprietà familiare;

– infondata era la domanda principale di riconoscimento dello status di rifugiato (art. 10 Cost.; L. n. 722 del 1954 di ratifica della Conv.Ginevra 28.7.51; Dir.CE 2004/83; D.Lgs. n. 251 del 2007), dal momento che i fatti narrati dal richiedente (ancorchè probatoriamente valutati secondo i criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 1 e 2 cit.) non riguardavano persecuzioni per motivi di razza, nazionalità, religione, opinioni politiche o appartenenza ad un gruppo sociale sicchè, quand’anche veritieri, non potevano integrare gli estremi di cui all’art. 1 Conv.cit. ed al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e);

– neppure sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria (D.Lgs. n. 251 del 2007, art.14, lett. c), dal momento che da varie informative (sito ministeriale Viaggiare Sicuri; rapporto annuale Amnesty International ‘16-’17; World Report 2017 Human Rights Watch) risultava che effettivamente sussistessero situazioni generalizzate di violenza non debitamente controllate dall’autorità governativa, ma ciò pur sempre limitatamente alla zona del delta del Niger, mentre nel sud della Nigeria non si riscontravano conflittualità tali da giustificare la concessione della misura: “non si ritiene che il grado di violenza che caratterizza il conflitto armato in corso raggiunga nell’area di provenienza del richiedente un livello così elevato da comportare per i civili, per la sola presenza nell’area in questione, il concreto rischio della vita o di un grave danno alla persona”; inoltre i fatti narrati dal richiedente non integravano il pericolo del grave danno ex art. 14, cit. letta) e b) perchè scarsamente attendibili ed intrisi di contraddizioni e di elementi validi e generici; “pur ritenendo in ipotesi veritiera l’uccisione della madre e della sorella, il ricorrente non ha saputo riferire le motivazioni per le quali queste sono state uccise e non ha ricevuto, peraltro, direttamente alcuna minaccia o aggressione”;

– quanto alla protezione mediante permesso di soggiorno per ragioni umanitarie (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 30 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6), premesso che a tal fine occorreva la presenza di diversi elementi di protezione e non di uno soltanto (quali la situazione del Paese di origine, le condizioni di salute del richiedente, il percorso integrativo), nel caso di specie non erano emersi “fattori soggettivi di vulnerabilità. Nè il richiedente ha fornito elementi utili per ritenere di aver avviato un serio percorso di integrazione in Italia, non avendo dedotto il predetto alcunchè sul punto”.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 in relazione al D.Lgs. n. 150 del 2001, art. 19, comma 8, ed D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

Per avere il tribunale omesso di considerare che: – eventuali lacune probatorie sui fatti posti a fondamento dell’istanza principale e delle istanze subordinate di protezione dovevano essere vagliate D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5; – all’esito del dovere di ampia indagine e di completa acquisizione documentale, anche ufficiosa, circa il Paese di provenienza, il giudice di merito (chiamato a cooperare nell’accertamento dei fatti legittimanti il riconoscimento allo straniero del diritto alla protezione internazionale) avrebbe appurato la gravissima situazione della Nigeria e, segnatamente, le violenze indiscriminate realizzate specificamente in danno dei cittadini di religione (OMISSIS).

p. 2.2 Il motivo è infondato.

Per quanto concerne l’istanza principale di riconoscimento dello status di rifugiato, è dirimente osservare come la decisione del tribunale si sia basata, non sulla minore o maggiore attendibilità dei fatti narrati dal richiedente, bensì sulla oggettiva natura di questi ultimi e sulla loro irrilevanza ai fini della protezione richiesta; legittimata, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 2 da cause (timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica) qui neppure dedotte, e comunque inesistenti.

Per quanto concerne le istanze subordinate di protezione, il giudice di merito ha fatto applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, infine concludendo, come detto, per la non rimediabile vaghezza e genericità del racconto. Ciò all’esito di una argomentazione di tipo fattuale e valutativo, di certo non rivedibile nella presente sede di legittimità.

Sul piano normativo va poi qui riaffermato che dalla nozione di ‘danno gravè esulano le vicende avulse da un vero e proprio fumus persecutionis, in quanto ascrivibili a liti familiari o tra privati, quali sono quelle narrate dal richiedente (così come ricostruite anche nel ricorso: pag. 5) secondo cui l’origine della minaccia personale (mai concretizzatasi) andrebbe individuata nella pretesa, da parte di abitanti del villaggio confinante, di acquisire un terreno rinveniente dall’eredità paterna (tra le più recenti: Cass. n. 9043/19).

Circa l’ulteriore profilo della “violenza indiscriminata” in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, si richiama l’indirizzo (tra le molte: Cass.n. 9090/2019, n. 11103/2019, n. 13858/2018) secondo cui il grado di tale violenza deve aver raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, “per la sua sola presenza sul territorio”, un rischio effettivo di subire detta minaccia, situazione qui non riscontrata dal giudice di merito.

p. 2.2 Con il secondo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione “del D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 3, comma 5” in relazione all’art. 115 c.p.c.. Per avere il tribunale fondato il proprio convincimento su informazioni derivanti da fonti esterne autonomamente acquisite (su citate) e non da COI (Country of Origin Information) trasmesse dalla commissione territoriale e comunque formalmente acquisite e sottoposte al contraddittorio delle parti.

Con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 30 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, “con relativo vizio di motivazione”, con riferimento all’insussistenza delle condizioni per il riconoscimento subordinato del diritto alla protezione sussidiaria o al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Per avere il tribunale omesso di considerare che, ai fini di queste forme di protezione sussidiaria, non occorreva la prova della incidenza specifica sulla persona del richiedente delle condizioni di “minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14), essendo sufficiente una situazione di violenza diffusa ed indiscriminata non contrapposta ad alcuna concreta reazione e possibilità di controllo da parte delle autorità statali, così come in effetti accadeva in Nigeria.

p. 2.3 Questi due motivi, suscettibili di trattazione unitaria per la stretta connessione delle questioni giuridiche poste, sono infondati.

Il giudice di merito – ad esclusione del dedotto omesso esame di fatto decisivo – ha infatti esercitato il potere/dovere di accertamento, anche ufficioso, della situazione esistente nel Paese di origine, puntualmente indicando (come richiesto da Cass.n. ord.11312/19) le fonti informative (su citate) da lui utilizzate, e costituite da risultanze ufficiali di generale conoscibilità in quanto provenienti da dipartimenti ministeriali ed organismi internazionali.

L’esito di questo accertamento fattuale, adeguatamente motivato dal giudice di merito, non è censurabile in cassazione.

L’insindacabilità dell’accertamento fattuale svolto dal giudice di merito va infatti estesa non solo alla valutazione della credibilità (qui esclusa) del racconto personale del richiedente ed alla valutazione oggettiva dei motivi di timore da lui palesati (Cass.n. 3340/19), ma anche all’apprezzamento della situazione di fatto oggettivamente esistente nel Paese (distretto) di provenienza (Cass.n. 32064/18; 30105/18).

Il ricorso va dunque respinto, con regolamento delle spese secondo soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE

rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2100,00, oltre spese prenotate a debito.

v.to il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019

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