Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33170 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 21/12/2018, (ud. 20/09/2018, dep. 21/12/2018), n.33170

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19555-2017 proposto da:

P.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL CASALE

STROZZI 31, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE BUONANNO,

rappresentata e difesa dall’avvocato MARCELLO STRANCA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1089/2016 della CORTE D’APPELLO DI FIRENZE,

emessa il 7/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/09/2018 dal Relatore Dott. GABRIELE POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto notificato il 6 marzo 2009, B.M. e P.P. evocavano in giudizio il Ministero della Salute per sentirlo condannare al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti da B., affetto da HCV a seguito di emotrasfusioni somministrate nel 1977 e per il pregiudizio subito dalla P. per le sofferenze parentali collegata alla patologia del marito;

con sentenza del 15 maggio 2013, il Tribunale di Firenze, disposta consulenza medico-legale, dichiarava il Ministero della Salute tenuto a risarcire il danno non patrimoniale sulla base della percentuale di invalidità dell’80% riferibile alla posizione di B., con detrazione di quanto ricevuto a titolo di indennità ai sensi della L. n. 210 del 1990. Riconosceva, altresì, il risarcimento in favore della moglie, oltre al pagamento delle spese del giudizio;

avverso tale decisione proponeva appello il Ministero della Salute, formulando nove censure. Si costituivano in giudizio gli originari attori chiedendo la conferma della sentenza appellata;

con sentenza del 1 luglio 2016, in parziale accoglimento dell’appello proposto dal Ministero, la Corte territoriale di Firenze rigettava la domanda proposta dalla P. e, con separata ordinanza, disponeva la prosecuzione del giudizio nei confronti di B.M. per espletare una nuova consulenza tecnica d’ufficio. La danneggiata, con atto del 26 luglio 2016, aveva formulato dichiarazione di riserva di proposizione di ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Firenze;

contro tale decisione propone ricorso per cassazione P.P., affidandosi a un unico motivo. Resiste in giudizio con controricorso il Ministero della Salute. La ricorrente deposita tardivamente memorie sensi dell’art. 380 bis c.p.c., in data 17 settembre 2018.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo lamenta la violazione degli artt. 1223,1226,2043,2059,2727,2728 e 2729 c.c, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte d’Appello di Firenze violato la normativa generale vigente in tema di risarcimento dei danni, ritenendo non sufficientemente provato quello subito dalla ricorrente a seguito della contrazione della malattia del marito, per responsabilità del Ministero della Salute. La ricorrente censura il passaggio della sentenza in cui il giudice di appello ritiene non idonei a fondare una condanna risarcitoria il disagio psicologico, la mancanza di serenità e le difficoltà di conduzione dell’ordinaria vita di coppia, patite dalla P.. Al contrario, la ricorrente aveva subito danni non patrimoniali consistenti, costituiti dalla consapevolezza di vivere al fianco di una persona il cui sangue “è odiosamente definibile come infetto”. La gravità della patologia del marito, la cui menomazione era stata comunque ridimensionata nella misura del 30% (in luogo della percentuale invalidante dell’80% ritenuta dal giudice di prime cure) aveva prodotto una serie di ripercussioni con riguardo a qualsiasi progetto di vita a lungo termine, come implicitamente ritenuto anche dal consulente di ufficio. Questi pur non rilevando danni di natura psichica apprezzabili da un punto di vista biologico, tuttavia non escludeva la sussistenza di danni di natura morale, dovuti alla percezione della sofferenza del marito. Questi, infatti, dovrà mantenere uno stile di vita che limiti la possibile degenerazione clinica della patologia sottoponendosi a continui monitoraggi e obbligando la moglie ad una serie di rinunzia e sacrifici. In questi termini il consulente osservava che la ricorrente ha visto modificarsi alcune delle abitudini di vita e anche certe aspirazioni di tipo personale e il disagio “consiste nel non poter condurre una vita socio relazionale come le piacerebbe fare”. Tutti questi elementi non sono stati adeguatamente valutate dalla Corte territoriale;

il motivo è destituito di fondamento. La violazione di legge dedotta consiste, in realtà, in una richiesta al giudice di legittimità di un rinnovato esame nel merito delle risultanze processuali, non consentito in questa sede. In ogni caso il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti, è risarcibile anche quando non sussiste un fatto-reato, nè ricorre alcuna delle altre ipotesi in cui la legge consente espressamente il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali, a tre condizioni: (a) che l’interesse leso – e non il pregiudizio sofferto – abbia rilevanza costituzionale; (b) che la lesione dell’interesse sia grave, nel senso che l’offesa superi una soglia minima di tollerabilità; (c) che il danno non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti cui l’ordinamento non riconosca specifica tutela, come quello alla qualità della vita od alla felicità (Cass. 31.5.18.n. 13370). Pertanto, la soglia di risarcibilità del danno esistenziale, non biologico, richiede comunque la verifica della “gravità della lesione” da bilanciare con il principio di solidarietà ai sensi dell’art. 2 Cost., e tale valutazione è rimessa esclusivamente al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità (Cass. 12-10.16 n. 20615- Cass. 15 luglio 2014 n. 16133); in sostanza, la soglia di risarcibilità del danno non patrimoniale, nella specie, danno esistenziale, non biologico, richiede la verifica della “gravità della lesione” da bilanciare con il principio di solidarietà stabilito dall’art. 2 Cost.. Tale accertamento è rimesso esclusivamente alla valutazione del giudice di merito che ha sottolineato che la patologia era nota alla ricorrente e precedente all’unione coniugale, rilevando l’assenza di nesso causale. Tale valutazione, unitamente a quella relativa alla concreta definizione della soglia del danno risarcibile, nei corretti termini indicati in premessa, non è sindacabile in questa sede;

costituisce, infatti, principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 c.p.c., non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile);

ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 2.050,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sesta Sezione-5 della Corte Suprema di Cassazione, il 20 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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