Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3317 del 13/02/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 3317 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: CARRATO ALDO

SENTENZA
sul ricorso 2658-2013 proposto da:
DE PAOLIS GIUSEPPINA DPLGPP27L51F839P, elettivamente
domiciliata in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentata e difesa dagli avvocati NIOTTOLA SERGIO,
GIOVANNA ANTIDA VITAGLIANO MOCCIA, giusta procura a
margine del ricorso;
– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587;
– intimato –

A

Data pubblicazione: 13/02/2014

avverso il decreto nel procedimento R.G. 4598/08 della CORTE
D’APPELLO di ROMA del 26.4.2010, depositato 11 06/12/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/01/2014 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO CARRATO.

Ric. 2013 n. 02658 sez. M2 – ud. 09-01-2014
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Ritenuto in fatto
La sig.ra De Paolis Giuseppina chiedeva alla Corte d’appello di Roma, con ricorso
ritualmente e tempestivamente depositato, il riconoscimento dell’equa riparazione, ai
sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, per la irragionevole durata di un giudizio

con sentenza depositata il 12 ottobre 2007, invocando, la condanna del Ministero
della Giustizia al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti per la irragionevole
durata del predetto giudizio.
Nella costituzione del resistente Ministero, l’adita Corte di appello, con decreto
depositato il 6 gennaio 2011, rigettava il ricorso e condannava la ricorrente alla
rifusione delle spese giudiziali, rilevando che, nella fattispecie, la durata complessiva
del giudizio (avente ad oggetto l’impugnativa di delibera di assemblea condominiale)
protrattasi, con riferimento al primo grado, per 4 anni e mezzo, fosse ragionevole.
Avverso il suddetto decreto (non notificato) ha proposto ricorso per cassazione la De
Paolis Giuseppina con atto notificato il 16 gennaio 2013, sulla base di tre motivi.
L’intimato Ministero non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Considerato in diritto
1. — In via preliminare, il Collegio rileva che non è di ostacolo alla trattazione del
ricorso la mancata presenza, alla odierna pubblica udienza, del rappresentante della
Procura generale presso questa Corte.
Invero, l’art. 70, secondo comma, c.p.c., quale risultante dalle modifiche introdotte
dall’art. 75 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni,
nella legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede che il pubblico ministero «deve intervenire
nelle cause davanti alla Corte di cassazione nei casi stabiliti dalla legge». A sua volta
l’art. 76 del r.d. 10 gennaio 1941, n. 12, come sostituito dall’art. 81 del citato decreto-

civile iniziato dinanzi al Tribunale di Napoli il 30 giugno 2003 e definito in primo grado

legge n 69, al primo comma dispone che «Il pubblico ministero presso la Corte di
cassazione interviene e conclude: a) in tutte le udienze penali; b) in tutte le udienze
dinanzi alle Sezioni unite civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici
della Corte di cassazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla

civile». L’art. 376, primo comma, c.p.c. stabilisce che «Il primo presidente, tranne
quando ricorrono le condizioni previste dall’articolo 374, assegna i ricorsi ad apposita
sezione che verifica se sussistono i presupposti per la pronunzia in camera di
consiglio».

Infine, l’art. 75 del già citato decreto-legge n. 69 del 2013, quale risultante dalla legge
di conversione n. 98 del 2013, dopo aver disposto, al primo comma, la sostituzione
dell’art. 70, secondo comma, del codice di rito, e la modificazione degli artt. 380-bis,
secondo comma, e 390, primo comma, del medesimo codice, per adeguare la
disciplina del rito camerale alla disposta esclusione della partecipazione del pubblico
ministero alle udienze che si tengono dinnanzi alla sezione di cui all’art. 376, primo
comma, al secondo comma ha stabilito che «Le disposizioni di cui al presente
articolo si applicano ai giudizi dinanzi alla Corte di cassazione nei quali il decreto di
fissazione dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio sia adottato a partire
dal giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto», e cioè a far data dal 22 agosto 2013.

Orbene, il Collegio rileva che l’esplicito riferimento contenuto nell’art. 75, comma 2,
citato, alle udienze che si tengano presso la Sesta sezione (e cioè quella di cui all’art.
376, primo comma, c.p.c.), consenta di ritenere, non solo, che la detta sezione è
abilitata a tenere pubbliche udienze e non solo adunanze camerali, ma anche che
alle udienze che si tengono presso la stessa sezione non è più obbligatoria la
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sezione di cui all’articolo 376, primo comma, primo periodo, del codice di procedura

partecipazione del pubblico ministero. Rimane impregiudicata, ovviamente, la facoltà
dell’ufficio del pubblico ministero di intervenire ai sensi dell’art. 70, terzo comma,
c.p.c., e cioè ove ravvisi un pubblico interesse.
Nel caso di specie, il decreto di fissazione dell’udienza odierna è stato adottato in

ritualmente celebrata senza la partecipazione del rappresentante della Procura
generale presso questa Corte, non avendo il detto ufficio, al quale pure copia
integrale del ruolo di udienza era stata trasmessa, ravvisato un interesse pubblico
che giustificasse la propria partecipazione ai sensi del citato art. 70, terzo comma,
c.p.c. .
2. — Ciò posto, rileva il collegio che, con il primo motivo dedotto, la ricorrente ha
denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001,
sulla base della considerazione della ritenuta erroneità — con il decreto impugnato del computo della durata ragionevole del giudizio presupposto che non presentava
alcuna complessità specifica, non essendo stati esperiti mezzi di prova costituendi,
con la conseguenza che, nel caso di specie, per la definizione ordinaria dello stesso
giudizio non avrebbe potuto essere superato il limite standard di tre anni.
3. — Con il secondo motivo la ricorrente ha prospettato il vizio di carente e
contraddittoria motivazione sullo stesso fatto decisivo per la controversia, non
avendo la Corte territoriale specificato per quali ragioni era stata ritenuta legittima e
congrua l’eccedenza di circa 15 mesi della durata del giudizio presupposto rispetto
agli standard indicati dalla C.E.D.U. .
4. — Con il terzo motivo la ricorrente ha inteso far valere l’illegittimità e l’ingiustizia
della condanna alle spese di lite, dovendo, di contro, la domanda essere accolta, con

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data 25 settembre 2013, sicché deve concludersi che l’udienza pubblica è stata

l’accollo dei conseguente onere delle spese processuali in danno della resistente
Amministrazione.
5. – I primi due motivi – esaminabili congiuntamente, siccome strettamente connessi
e riferiti alla stessa questione riguardata sotto il profilo della violazione di legge e del

La Corte di appello di Roma ha apoditticamente ritenuto che la durata di 4 anni e
mezzo (per il solo svolgimento del primo grado) del giudizio presupposto (avente ad
oggetto la mera impugnativa di una delibera assembleare condominiale) fosse da
ritenersi ragionevole, in tal senso pervenendo al rigetto della domanda di equo
indennizzo, così discostandosi dai parametri di riferimento della giurisprudenza della
C.E.D.U. e di quella di questa Corte che individuano in tre anni il termine di durata
ragionevole del primo grado di un ordinario giudizio civile.
Ragionando in tal senso, quindi, la Corte territoriale non si è conformata
all’orientamento costante di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 23047 del 2009),
secondo cui, in tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n.
89, ai fini della determinazione del termine di ragionevole durata del processo,
alle cause civili ordinarie (non caratterizzate da particolare complessità, come
quella del caso di specie, alla stregua dell’evidenziato oggetto che l’aveva
connotata) si applicano gli “standard” comuni fissati dalla Corte EDU (con
conseguente legittimità della valutazione di tale durata in tre anni per il primo
grado di giudizio, come confermato anche dal nuovo comma 2 bis dell’art. 2
della legge n. 89 del 2001, come introdotto dall’art. 55, comma 1, del d.l. n. 83
del 2012, conv., con modif., nella legge n. 134 del 2012).

Del resto, se è vero che, in materia di equa riparazione ai sensi dell’art. 2 della legge
24 marzo 2001, n. 89, la determinazione della durata ragionevole del giudizio

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vizio motivazionale – sono fondati per le ragioni che seguono.

presupposto, onde verificare la sussistenza della violazione del diritto azionato,
costituisce oggetto di una valutazione che il giudice di merito deve compiere caso per
caso, tenendo presenti gli elementi indicati dalla norma richiamata, anche alla luce
dei criteri applicati dalla Corte europea e da questa Corte di legittimità, è altrettanto

dando conto delle ragioni che lo giustifichino (onere al quale la Corte territoriale non
ha adeguatamente assolto nella fattispecie, non valorizzando, peraltro, che trattavasi
di una causa di ordinario impegno, nella quale, oltretutto, non erano stati esperiti
mezzi istruttori e non risultavano intervenuti dei differimenti imputabili alle parti
private, non potendosi ritenere legittimo il superamento del limite temporale triennale
per la sola presenza di una pluralità di parti, elemento, peraltro, da considerarsi
connaturale al tipo di controversia in questione, involgendo una collettività
condominiale).
Pertanto, va ritenuta la sussistenza delle violazioni dedotte con le due censure,
poiché la Corte territoriale, sul presupposto della quantificazione in anni tre della
durata irragionevole (in primo grado) del giudizio civile presupposto (alla stregua dei
parametri “standard” ordinari individuati dalla giurisprudenza della C.E.D.U. e di
questa Corte), avrebbe dovuto valutare nel residuo periodo di anni uno e mesi sei la
protrazione irragionevole del predetto giudizio, così giungendo a liquidare, in favore
della De Paolis, il corrispondente indennizzo (applicando i parametri individuati dalla
predetta giurisprudenza)
Al riguardo è pacifico (v. Cass. n. 8471 del 2012 e, già prima, Cass. n. 21840 del
2009) che, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole
durata del processo, i criteri di liquidazione applicati dalla Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo non possono essere ignorati dal giudice nazionale, il quale può tuttavia

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vero che da tali parametri è consentito discostarsi, purché in misura ragionevole e

apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda,
purché motivate e non irragionevoli. Pertanto, la quantificazione del danno non
patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a euro 750,00 per ogni anno di
ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a

periodo comporta un evidente aggravamento del danno.
Pertanto, nella fattispecie, la Corte capitolina avrebbe dovuto liquidare in favore della
ricorrente, a titolo di equa riparazione, l’importo di euro 1.125,00 (euro 750,00 per un
anno + euro 375,00 per i residui sei mesi), oltre interessi legali dalla domanda al
soddisfo.
6. In conseguenza della predetta statuizione concernente le prime due doglianze,
deriva, sul piano logico-giuridico, anche l’accoglimento della terza censura poiché il
giudice del merito, in applicazione del principio della soccombenza in dipendenza
della fondatezza della domanda proposta dalla ricorrente, avrebbe dovuto accollare
al Ministero resistente le spese giudiziali.
7. In definitiva, in accoglimento dei formulati motivi (nel mentre non risulta
ammissibile la proposta istanza di correzione, da formulare al giudice competente ai
sensi dell’art. 287 c.p.c., come inciso dalla sentenza della Corte costituzionale n. 335
del 2004), può, previa cassazione del decreto impugnato e non essendo necessari
ulteriori accertamenti di fatto (ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c.), provvedersi a
decidere direttamente la causa nel merito in questa sede, con il riconoscimento della
fondatezza della domanda proposta nell’interesse della ricorrente dinanzi alla Corte
di appello di Roma e con la conseguente condanna del Ministero della Giustizia al
pagamento, a titolo di indennizzo per la causale dedotta in giudizio, della somma di
euro 1.125,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo.

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euro 1.000,00 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente tale

8. Alla suddetta pronuncia consegue, altresì, la condanna dello stesso soccombente
Ministero al pagamento delle spese dell’intero giudizio in favore della ricorrente, che
si liquidano come in dispositivo, con distrazione in favore dei difensori della stessa,
per dichiarato anticipo.

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito,
accoglie la domanda proposta nell’interesse di DE PAOLIS GIUSEPPINA e, per
l’effetto, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento, in favore della ricorrente,
della somma di euro 1.125,00 a titolo di equa riparazione, oltre interessi legali dalla
domanda al saldo; condanna, altresì, lo stesso Ministero al pagamento delle spese
dell’intero giudizio, che liquida, quanto al grado di merito, in euro 775,00, di cui euro
50,00 per esborsi, euro 280,00 per diritti ed euro 445,00 per onorari, oltre alle spese
generali e agli accessori di legge, e, quanto al giudizio di cassazione, in euro 392,50,
di cui euro 292,50 per compensi, oltre accessori di legge. Dispone la distrazione
delle spese, come liquidate, in favore dei difensori antistatari della predetta
ricorrente.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile della Corte
suprema di Cassazione, in data 9 gennaio 2014.

PER QUESTI MOTIVI

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