Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33167 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 21/12/2018, (ud. 20/09/2018, dep. 21/12/2018), n.33167

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23290-2017 proposto da:

P.N., N.N., nella qualità di genitrice

esercente la patria potestà sul minore P.M.,

elettivamente domiciliate in ROMA, MAZZINI, 6, presso lo studio

dell’avvocato DOMENICO PATERNOSTRO, che le appresenta e difende

unitamente all’avvocato FERNANDO VALERI;

– ricorrente –

contro

G.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. NICOTERA

29, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MAGNO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4809/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/09/2018 dal Consigliere Relatore Dott. POSITANO

GABRIELE.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 28 gennaio 2009, P.F. e P.N. evocavano in giudizio, davanti al Tribunale di Viterbo, G.F. deducendo di essere proprietari di un appartamento sito in (OMISSIS) che sovrastava, in parte, altro immobile di proprietà del convenuto, nel quale nei mesi di febbraio e marzo 2007 erano stati eseguiti lavori di ristrutturazione, lamentando che successivamente a tali lavori erano comparse delle lesioni in vari punti dell’immobile e l’allargamento di quelle preesistenti. Ritenevano, pertanto, necessario espletare accertamento tecnico preventivo all’esito del quale era risultato che i lavori eseguiti nella proprietà del convenuto erano in rapporto di causa-effetto con alcune lesioni riscontrate nella proprietà degli attori. Sulla base di tali elementi chiedevano al Tribunale di accertare la causa delle lesioni e condannare il convenuto al risarcimento dei danni e alle spese necessarie per il procedimento di ATP. Si costituiva G. contestando la riferibilità delle lesioni ai lavori eseguiti;

il Tribunale di Viterbo, con sentenza n. 682 del 2013, riteneva condivisibili le conclusioni oggetto del primo ATP che, rispetto alle altre due relazioni espletate, appariva, secondo il Tribunale, più approfondito e maggiormente motivato. Pertanto, sul presupposto di una condotta colposa del convenuto, in parziale accoglimento della domanda, limitava il danno all’importo di euro 7.242. Avverso tale sentenza proponeva appello G.F., lamentando l’erroneità della decisione che ha rilevato l’esistenza del nesso di causalità tra i lavori eseguiti e i danni subiti; si costituivano gli appellati. La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 17 luglio 2017, rigettava la domanda proposta da P.F. e P.N., compensando le spese di entrambi i gradi di giudizio. La Corte territoriale rileva che la responsabilità del convenuto era stata accertata ai sensi dell’art. 2043 c.c. per cui incombeva sul danneggiato la prova del nesso causale che, sulla base dell’esito incerto delle consulenze espletate, non poteva ritenersi raggiunta;

avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione P.N. e N.N. (quale esercente la responsabilità genitoriale sul minore P.M., figlio del defunto P.F.) affidandosi a un motivo, che illustrano con memoria. Resiste con controricorso G.F..

Diritto

CONSIDERATO

che:

le ricorrenti lamentano l’illegittimità della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. In particolare, il giudice di appello non avrebbe contrastato i singoli elementi presi in esame dal Tribunale, limitandosi ad affermare che non risultava provato il nesso di causalità estrapolando alcune frasi dalle consulenze espletate;

al riguardo, va rilevato che la notifica della gravata sentenza ha avuto luogo a mezzo posta elettronica certificata, come dichiarato dai ricorrenti e secondo quanto risulta dagli atti a disposizione di questa Corte; deve allora farsi applicazione al caso di specie del principio di diritto elaborato da questa Corte con la sentenza 14/07/2017, n. 17450, come sostanzialmente confermato da numerosa giurisprudenza successiva (da ultimo Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 13227 del 2018) e soprattutto da Cass. ord. 22/12/2017, n. 30765, a mente della quale, “ai fini del rispetto di quanto imposto, a pena d’improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, il difensore che propone ricorso per cassazione contro un provvedimento che gli è stato notificato con modalità telematiche deve depositare nella cancelleria della Corte di cassazione copia analogica, con attestazione di conformità ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1-bis e 1-ter, del messaggio di posta elettronica certificata ricevuto, nonchè della relazione di notifica e del provvedimento impugnato, allegati al messaggio” (solo precisando che non è “necessario anche il deposito di copia autenticata del provvedimento impugnato estratta direttamente dal fascicolo informatico”);

nella specie, manca l’attestazione di conformità della sentenza impugnata del difensore del ricorrente e, comunque, la copia autentica della sentenza. Tali atti non sono neppure esibiti dal controricorrente: sicchè difettano i requisiti del deposito di tali atti, come muniti della necessaria attestazione, oltretutto entro il termine perentorio previsto dall’art. 369 c.p.c.;

in particolare, dall’esame degli atti emerge che parte ricorrente ha depositato il ricorso, l’atto di notifica dello stesso e la attestazione di conformità, mentre non è in atti l’attestazione di conformità della sentenza impugnata;

nè soccorre parte ricorrente il principio di cui a Cass. Sez. U. 10648/17, dell’esenzione dall’improcedibilità in caso di presenza aliunde o in altri atti della attestazione di conformità della decisione impugnata; così, in applicazione dei visti principi di diritto di cui alle richiamate Cass. 17450/17 e Cass. ord. 30765/17, alla cui ampia motivazione (come ripresa anche da Cass. ord. 20/12/2017, n. 30622, con adeguata – se non altro per implicito – considerazione degli argomenti in contrario addotti, cui accenna il ricorrente nella sua memoria) può qui bastare un mero rinvio, deve dichiararsi l’improcedibilità del ricorso;

il ricorso, in ogni caso, è inammissibile perchè le censure esulano dal perimetro dell’art. 360 c.p.c., n. 5 in quanto l’omessa valutazione di un fatto storico decisivo per il giudizio non sussiste in quanto i rilievi riguardano tutti le valutazioni del giudice di appello che hanno determinato il rigetto della domanda dell’attore per insussistenza di una prova idonea del nesso di causalità e, pertanto, riguardano un giudizio in fatto sottratto al sindacato di legittimità;

parte ricorrente, nella specie, sollecita a questa Corte una nuova inammissibile valutazione di risultanze di fatto (ormai definitivamente cristallizzate sul piano processuale) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così strutturando il giudizio di cassazione in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai consolidatosi, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione probatoria, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata – quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità;

in realtà il giudice di appello ha dimostrato di avere considerato ogni elemento fattuale evidenziando il contrasto tra le due consulenze tecniche, atteso che un consulente, esclude del tutto la sussistenza del nesso causale e il consulente incaricato di espletare l’accertamento tecnico, ha ritenuto soltanto probabile o anche possibile tale nesso. La Corte ha anche valorizzato ulteriori circostanze, come l’esecuzione dei lavori espletati, in passato, sul fabbricato da altri soggetti, i pareri rilasciati dalle autorità pubbliche e le opere eseguite dal convenuto in conformità alla DIA oltre, da ultimo, gli effetti di un sisma verificatosi nel periodo di riferimento;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato improcedibile; le spese del presente giudizio di cassazione liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

PQM

dichiara improcedibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidandole in Euro 2.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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