Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33163 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 21/12/2018, (ud. 20/09/2018, dep. 21/12/2018), n.33163

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18173-2017 proposto da:

M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LAURA

MANTEGAZZA 24, il Sig. MARCO GARIAN, rappresentata e difesa

dall’avvocato NICOLA FLASCASSOVITTI;

– ricorrente –

contro

P.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAOCAPOSILE,

10, presso lo studio dell’avvocato MARINA ALTOBELLI, rappresentato e

difeso dagli avvocati ALESSANDRO BILETTA, LUCIO MAZZOTTI, GIULIO

CERIOLE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2024/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 10/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/09/2018 dal Consigliere Relatore Dott. POSITANO

GABRIELE.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione notificato il 15 maggio 2012 M.C. evocava in giudizio l’architetto P.E. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell’inesatto adempimento degli obblighi professionali derivanti dal disciplinare di incarico del 3 marzo 2010, con cui aveva conferito l’incarico professionale al convenuto per il recupero del sottotetto di un immobile sito in Bu.. Il contratto prevedeva che il professionista svolgesse rilievi sullo stato di fatto, verifiche progettuali e l’attività di responsabile dei lavori, coordinatore della sicurezza in fase di progettazione e in sede di esecuzione. Lamentava che il Comune di (OMISSIS), a seguito della presentazione della DIA, aveva avviato delle verifiche per carenze progettuali cui era conseguito l’ordine di non esecuzione dei lavori. Si costituiva il professionista eccependo il difetto di giurisdizione derivante dalla clausola arbitrale contenuta nel contratto e rilevando, nel merito, di avere correttamente eseguito la prestazione in relazione ad un incarico che era risultato più complesso del previsto. In via riconvenzionale, chiedeva la condanna al pagamento del saldo dell’onorario convenuto;

il Tribunale respingeva l’eccezione di difetto di sussistenza della competenza arbitrale, rilevando che la clausola arbitrale non escludeva espressamente la possibilità di ricorrere all’autorità giudiziaria ordinaria. Nel merito, sulla base delle risultanze della consulenza d’ufficio e della prova testimoniale, dava atto della sussistenza di omissioni relative all’attività di elaborazione del progetto e all’incarico di responsabile dei lavori, riconoscendo la sussistenza di una serie di danni. Escludeva il pregiudizio da ritardo, il danno da mancato pieno godimento dell’immobile, quello relativo ad una canna fumaria non a norma e la ripetizione dell’acconto del compenso corrisposto ritenuto, al contrario, elemento corrispettivo di una prestazione sinallagmatica, in parte svolta e non più ripetibile;

avverso tale decisione proponeva appello P.E., insistendo per l’eccezione fondata sulla clausola arbitrale. Si costituiva M.C. proponendo appello incidentale per il riconoscimento dei danni esclusi dal primo giudice;

la Corte d’Appello di Milano dichiarava la nullità della sentenza del 18 aprile 2016 del Tribunale per difetto di “giurisdizione” con condanna dell’appellata, M.C., al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio. La Corte territoriale riteneva non condivisibile l’orientamento giurisprudenziale restrittivo richiamato dal Tribunale, secondo cui la domanda in contestazione non rientrava nell’ambito della materia rimessa agli arbitri. Al contrario, il tenore letterale della clausola riferita ad “ogni controversia tra le parti” (“in caso di divergenze che dovessero insorgere tra i contraenti, circa la interpretazione e applicazione del presente contratto, viene di comune accordo stabilito che ogni controversia sarà deferita al giudizio arbitrale”) esclude siffatta impostazione. L’art. 808 quater c.p.c. ha introdotto uno specifico criterio interpretativo della convenzione arbitrale stabilendo che, nel dubbio, si applica l’effetto estensivo a tutte le controversie che derivano dal contratto. Nel caso di specie ricorre il riferimento ampio ad “ogni controversia”, relativa alla “interpretazione e applicazione del presente contratto” con conseguente espressione della volontà delle parti di risolvere qualunque controversia attraverso il giudizio degli arbitri. Ciò rende irrilevante l’assenza di una espressa previsione di esclusività del deferimento al giudizio arbitrale della specifica questione. In secondo luogo, riguardo alla eventuale vessatorietà della clausola, la stessa richiede la specifica approvazione, solo nell’ipotesi in cui sia inserita in condizioni generali di contratto o moduli o formulari predisposti da una parte per regolare una serie indefinita di rapporti negoziali. Tale ipotesi non ricorre per le clausole elaborate da uno dei contraenti con riferimento a un singolo specifico negozio, come nel caso di specie;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione M.C. affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso P.E. che illustra con memoria ex art. 380 bis c.p.c.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 1362 c.c. e s.s. e art. 808 quater c.p.c. per avere la Corte d’Appello affermato la giurisdizione arbitrale per la controversia sorta tra le parti, applicando gli ordinari criteri ermeneutici codicistici per interpretare la volontà delle parti espressa nella clausola e, quindi, per avere escluso la giurisdizione dell’AGO. Poichè il deferimento agli arbitri comporta una deroga alla giurisdizione ordinaria, nel caso di dubbio deve preferirsi l’interpretazione restrittiva (Cass. 26 aprile 2005, n. 8575 ed altre). Il primo giudice aveva correttamente osservato che la clausola non conteneva alcun espressione chiara tesa ad escludere la giurisdizione ordinaria. Pertanto, è errato il riferimento operato dalla Corte territoriale all’art. 808 quater c.p.c, il quale fornisce una chiave di lettura relativa all’ambito oggettivo di applicazione, mentre nulla dice riguardo alla necessità che la clausola contenga un’espressa rinuncia alla competenza del giudice ordinario. Sotto altro profilo non è esatto il richiamo della Corte territoriale al passaggio della clausola nella quale i contraenti si impegnano ad accettare il lodo arbitrale “con esplicita rinuncia ad ogni impugnativa in sede legale”. Tale dizione va correttamente intesa come riferita, comunque, al lodo arbitrale. In terzo luogo la decisione è viziata nella parte in cui si afferma che ricorre una volontà univoca delle parti di risolvere qualunque controversia inerente la applicazione del contratto. Al contrario, la clausola prevede di deferire al collegio arbitrale non ogni controversia, ma solo quelle relative all’interpretazione e applicazione del contratto, non anche quelle differenti, come, nel caso di specie, quelle inerenti l’invalidità del contratto, la responsabilità del professionista o del committente. Infine, la circostanza che il collegio arbitrale deciderà, dopo avere sentito eventualmente un parere della commissione competente sulle parcelle dell’Ordine degli architetti dimostrerebbe la volontà delle parti di non deferire ogni questione al collegio arbitrale, ma solo alcune di esse;

il secondo motivo deduce la violazione del D.Lgs. n. 206 del 2005 (Codice del consumo) ed in particolare degli artt. 3, 33 e ss., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella parte in cui il giudice non ha ritenuto sussistente i presupposti per l’applicazione della normativa a tutela del consumatore. Non è contestabile la qualità di consumatore di M.C. e di professionista dell’architetto P.. La giurisprudenza di legittimità ha affermato che la disciplina di tutela del consumatore prescindete dal tipo contrattuale e si applica anche nel caso di contratto predisposto singolarmente per uno specifico affare. Pertanto, la disciplina avrebbe dovuto trovare applicazione ed, in particolare, l’art. 33 secondo cui si presumono vessatorie le clausole che introducono “deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria”. Mentre sono valide quelle che sono state oggetto di trattativa. In questo caso è il professionista che deve dare la prova del fatto positivo dello svolgimento della trattativa. Nel caso di specie, al contrario, non vi è stata alcuna trattativa sulla clausola arbitrale e il professionista non ha fornito tale prova. La clausola è stata sostanzialmente imposta dall’architetto perchè il contratto è un modulo predisposto dall’ordine professionale. Pertanto, la clausola vessatoria deve ritenersi nulla;

con il terzo motivo deduce la violazione l’art. 808 ter c.p.c. e art. 1341 c.c. e art. 1362 c.c, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 nella parte in cui il giudice ha interpretato la clausola compromissoria quale arbitrato irrituale e non rituale e nella parte in cui ha escluso che il contratto sottoscritto dalle parti debba qualificarsi come modulo o formulario. La Corte territoriale ha ritenuto che i contraenti avessero previsto un arbitrato irrituale, perchè la controversia “sarà deferita al collegio arbitrale irrituale” (si legge in sentenza). Al contrario, l’espressione giudizio arbitrale meglio si attaglia all’attività di arbitri rituali, poichè il contratto prevede l’uso ripetuto di espressioni quali “giudizio” e “lodo arbitrale” che va correttamente riferito ad un lodo “rituale”. E l’utilizzo di termini quali, equità e “amichevoli compositori”, non esclude la ritualità del lodo. In ogni caso nell’ipotesi di espressioni non decisive, l’eventuale dubbio deve essere risolto a favore della ritualità dell’arbitrato (Cass, n. 6909/2015). In secondo luogo, la decisione è viziata nella parte in cui la Corte ha ritenuto che la clausola non dovesse essere approvata specificamente, non trovando applicazione l’art. 1341 c.c. e non ricorrendo l’ipotesi di clausola inserita nelle condizioni generali di contratti predisposti da una parte per regolare una serie indefinita di rapporti negoziali. Al contrario, nel caso di specie, si trattava di un contratto predisposto dal professionista, sulla base di condizioni generali fornite dall’ordine degli architetti e, quindi, indirizzate ad una serie indefinita di rapporti negoziali;

rileva la Corte che la Corte d’Appello ha erroneamente dichiarato il difetto di giurisdizione pur avendo espressamente qualificato la clausola in oggetto come arbitrato irrituale (pag. 7 della decisione impugnata);

appare prioritario l’esame delle doglianze oggetto del secondo motivo dovendosi privilegiare il profilo relativo all’invalidità della clausola rispetto a quello riguardante l’oggetto e la sua estensione. La censura è fondata. Dal contenuto della sentenza di appello emerge che la questione della vessatorietà è stata dedotta dalla M. ed è stata esaminata dalla Corte territoriale: pertanto, non costituisce un profilo nuovo. La circostanza relativa alla qualità di consumatore della M. e di professionista del P. non è contestata;

la disciplina di tutela del consumatore posta dal D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, artt. 33 e ss. (c.d. Codice del consumo) prescinde dal tipo contrattuale prescelto dalle parti e dalla natura della prestazione oggetto del contratto, trovando applicazione, sia in caso di predisposizione di moduli o formulari in vista dell’utilizzazione per una serie indefinita di rapporti, che di contratto singolarmente predisposto per lo specifico affare (Cass, ord, 20/03/2010, n. 6802; Cass, ord, 18/10/2010, n. 21379 e Cass. 25794/2016).

Del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 33, lett. t), nello stabilire che si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto il sancire a carico del consumatore deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria, trova applicazione anche con riferimento alla clausola compromissoria. Mentre spetta al consumatore, ex art. 34, comma 5, Codice del Consumo, che agisca in giudizio, di allegare e provare che il contratto è stato predisposto dal professionista e che le clausole costituenti il contratto corrispondono a quelle vessatorie di cui al citato D.Lgs. all’art. 33, comma 2, spetta, invece, al professionista superare tale presunzione, dando prova che la sottoscrizione della clausola derogatrice della competenza ha costituito l’esito di una trattativa individuale, seria ed effettiva, essendo a tal fine insufficiente la mera aggiunta a penna della clausola, nell’ambito di un testo contrattuale dattiloscritto, o la mera approvazione per iscritto della clausola medesima (Cass, ord, 26/09/2008, n. 24262; Cass, ord, 10/07/2013, n. 17083).

Nella specie tale prova non è stata indagata. Quanto sopra evidenziato assorbe l’esame del primo e terzo motivo;

ne consegue che il ricorso per cassazione deve essere accolto; la sentenza va cassata con rinvio, atteso che, in forza della decisione preliminare relativa alla clausola arbitrale, non sono stati esaminati i presupposti fondamentali e decisivi dell’azione. Il giudice del rinvio provvederà a valutare l’eventuale fondatezza della domanda principale e di quella riconvenzionale prescindendo dalla clausola in oggetto, contenuta nel disciplinare di incarico del 3 marzo 2010;

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo e dichiara assorbiti gli altri;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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