Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33163 del 16/12/2019

Cassazione civile sez. II, 16/12/2019, (ud. 07/11/2019, dep. 16/12/2019), n.33163

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23906-2015 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 55,

presso lo studio dell’avvocato SALVATORE COLETTA, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

I.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PAOLO MERCURI

8, presso lo studio dell’avvocato EMANUELE SQUARCIA, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

CU.GI., + ALTRI OMESSI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1554/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 06/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/11/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Sgroi Carmelo, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi gli Avvocati Coletta e Squarcia.

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.M. ha proposto ricorso articolato in tre motivi avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 1554/2015 del 6 marzo 2015.

Resiste con controricorso I.G., mentre gli altri intimati non hanno svolto attività difensive.

C.M., + ALTRI OMESSI, tutti condomini del Condominio di via (OMISSIS), convennero I.G., proprietario di un appartamento sito al piano terra della palazzina (OMISSIS), per sentir accertare la proprietà del locale di circa mq. 23, ricavato all’interno del terrapieno ed accorpato alla cantina sottostante alla proprietà I., con conseguente condanna alla riduzione in pristino; ovvero, in subordine, per ottenere il rilascio della porzione immobiliare, previa corresponsione al convenuto I. dell’indennità spettantegli. I.G. domandò in via riconvenzionale che venisse accertata la sua proprietà esclusiva del locale in contesa. Ordinata l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condomini, il Tribunale di Roma, con sentenza del 23 aprile 2009, rigettò la domanda degli attori. Proposto gravame da C.M., lo stesso venne respinto dalla Corte d’appello di Roma, la quale evidenziò come I.G. avesse dimostrato documentalmente che l’appartamento assegnato dalla Cooperativa edilizia Lieto Colle ad Ca.An. (madre e dante causa dello I.) comprendeva il locale di sgombero sottostante al giardino, già concesso in uso nel 1967 dalla Cooperativa a L.G. (che aveva poi ceduto le sue quote alla Ca.). Il L., in base all’autorizzazione ottenuta, aveva così ampliato il vano ricavato nel terrapieno nel corso dei lavori di edificazione del fabbricato, sicchè esso preesisteva all’assegnazione dell’alloggio alla Ca. avvenuta nel 1971. L’epoca di realizzazione del locale annesso alla cantina n. (OMISSIS), risalente almeno al 1970, era stata confermata anche dall’espletata CTU.

Il controricorrente I.G. ha presentato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Vanno disattese le eccezioni di inammissibilità sollevate dal controricorrente, atteso che l’accertamento dell’osservanza di quanto prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4) e 6), deve necessariamente compiersi con riferimento a ciascun singolo motivo di impugnazione, verificandone in modo distinto specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, nonchè l’analitica indicazione degli atti e dei documenti sui quali ognuno si fondi, il che esclude che il ricorso possa essere dichiarato per intero inammissibile, ove tale situazione sia propria solo di uno o di alcuno dei motivi proposti (cfr. Cass. Sez. U, 05/07/2013, n. 16887). Il ricorso denuncia, peraltro, essenzialmente la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, e ciò fa indicando le argomentazioni contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le medesime o con l’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza di legittimità.

Il primo motivo di ricorso di C.M. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 840,922,934,939 e 1117 c.c., sostenendo che “indipendentemente… dal momento in cui il locale di che trattasi è venuto ad esistenza lo stesso era comunque della cooperativa”, originaria proprietaria del fabbricato. Trovandosi il vano in questione al di sotto del terrapieno condominiale, esso doveva essere riconosciuto di proprietà del condominio per accessione.

Il secondo motivo di ricorso di C.M. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nonchè dell’art. 115 c.p.c., ovvero la “mancanza di prova sul punto decisivo della controversia” e la “omessa o carente motivazione”, in quanto, attesa l’incertezza sulla reale estensione del bene assegnato dalla Cooperativa, doveva essere lo I. a dimostrare che il piccolo locale di sgombero contemplato nella delibera di assegnazione corrispondesse al vanno attualmente occupato.

Il terzo motivo di ricorso concerne la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. quanto alla condanna delle spese statuita in danno dello I. pure nei rapporti con gli altri condomini intervenuti, portatori di interessi difensivi convergenti con quelli dell’appellante.

II. Il primo motivo di ricorso è fondato, nei termini di seguito specificati, e l’accoglimento della prima censura comporta l’assorbimento dei restanti motivi, i quali perdono di immediata rilevanza decisoria, in quanto involgono questioni che potranno essere nuovamente esaminate in sede di rinvio.

La Corte d’appello di Roma ha ritenuto accertata la proprietà esclusiva del locale sottostante all’appartamento (OMISSIS), ricavato mediante scavo nel terrapieno dell’edificio condominiale, sulla base delle risultanze della delibera di assegnazione adottata dalla cooperativa in favore di Ca.An., dante causa di I.G., nonchè della scrittura privata intercorsa tra la Ca. e L.G..

In tal modo, la sentenza impugnata non si è uniformata al costante orientamento giurisprudenziale di questa Corte.

L’art. 1117 c.c. ricomprende fra le parti comuni del condominio “il suolo su cui sorge l’edificio”. Oggetto di proprietà comune, agli effetti dell’art. 1117 c.c., è, quindi, non solo la superficie a livello del piano di campagna, bensì tutta quella porzione del terreno su cui viene a poggiare l’intero fabbricato e dunque immediatamente pure la parte sottostante di esso. Il termine “suolo”, adoperato dall’art. 1117 citato, assume, invero, un significato diverso e più ampio di quello supposto dall’art. 840 c.c., dove esso indica soltanto la superficie esposta all’aria. Piuttosto, l’art. 1117 c.c., letto sistematicamente con l’art. 840 cit. codice, implica che il sottosuolo, costituito dalla zona esistente in profondità al di sotto dell’area superficiaria che è alla base dell’edificio (seppure non menzionato espressamente dall’elencazione esemplificativa fatta dalla prima di tali disposizioni), va considerato di proprietà condominiale, in mancanza di un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condomini. Pertanto, nessun condomino può, senza il consenso degli altri partecipanti alla comunione, procedere all’escavazione in profondità del sottosuolo per ricavarne nuovi locali o per ingrandire quelli preesistenti, in quanto, attraendo la cosa comune nell’orbita della sua disponibilità esclusiva, verrebbe a ledere il diritto di proprietà degli altri partecipanti su una parte comune dell’edificio, privandoli dell’uso e del godimento ad essa pertinenti (Cass. 30 marzo 2016, n. 6154; Cass. 13 luglio 2011, n. 15383; Cass. 2 marzo 2010, n. 4965; Cass. 24 ottobre 2006, n. 22835; Cass. 27 luglio 2006, n. 17141; Cass. 9 marzo 2006, n. 5085; Cass. 28 aprile 2004, n. 8119; Cass. 18 marzo 1996, n. 2295; Cass. 23 dicembre 1994, n. 11138; Cass. 11 novembre 1986, n. 6587).

L’errore della Corte d’appello di Roma è consistito nel non aver accertato quando fosse sorto il Condominio di (OMISSIS), momento che, in ipotesi di edificio costruito da un solo soggetto, coincide con quello in cui l’originario unico proprietario ne operi il frazionamento, alienando ad un terzo la prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione, mentre, ove si tratti di edificio costruito da più soggetti su suolo comune, coincide con l’assegnazione in proprietà esclusiva dei singoli appartamenti.

L’edificio condominiale comprende, invero, l’intero manufatto che va dalle fondamenta al tetto e, quindi, anche i vani scantinati compresi tra le fondamenta stesse ed il suolo su cui sorge l’edificio costituiscono, di regola, oggetto di proprietà comune, ai sensi dell’art. 1117 c.c., salvo che non sussista un titolo contrario alla “presunzione” di condominialità sancita da tale norma, occorrendo a tal fine fare riferimento all’atto costitutivo del condominio, cioè, come detto, al primo atto di trasferimento di una unità immobiliare dall’originario unico proprietario ad altro soggetto.

In particolare, in ipotesi di controversia circa la titolarità di un locale, come nella specie, posto nel sottosuolo del fabbricato, ricavato mediante scavo nell’area sottostante ad un appartamento, attuato con svuotamento di volume ed asportazione di terreno, deve gradatamente accertarsi innanzitutto se la proprietà di tale locale, preesistente al frazionamento, sia attribuita dal titolo costitutivo del condominio, ovvero sia altrimenti da riconoscersi acquisita per usucapione, o, infine, se esso, per la sua struttura, debba considerarsi non tra le parti comuni dell’edificio di cui all’art. 1117 c.c., quanto, piuttosto, destinato ad uso esclusivo, potendosi, del resto, estendere la disciplina prevista dagli artt. 840 e 934 c.c. anche ai vani sottostanti al pianterreno dell’edificio condominiale sempre che dal titolo non risulti il contrario (Cass. 24 marzo 2015, n. 5895; Cass. 23 luglio 1994, n. 6884; Cass. 4 marzo 1983, n. 1632).

Allorchè, invece, in occasione del primo atto di frazionamento della proprietà di un edificio, la proprietà comune del sottosuolo non è contrastata dal titolo, tale bene nasce di proprietà comune, e la comunione del suolo non può più venire meno per effetto di un successivo negozio di alienazione compiuto dall’originario unico titolare dell’immobile, nè il nuovo manufatto di seguito ivi realizzato mediante escavazione in profondità, seppure posto al servizio della unità immobiliare al piano terreno, può farsi rientrare nella titolarità esclusiva del proprietario di quest’ultima. Una volta, infatti, sorti i presupposti per l’operatività della presunzione di proprietà comune al momento della nascita del condominio, la costruzione realizzata su area condominiale non determina l’attribuzione della proprietà dello spazio occupato all”autore dell’opera, giacchè trovano piuttosto applicazione – in difetto di apposita convenzione scritta, o di maturata usucapione – le norme relative all’accessione e alla forma richiesta ad substantiam per il trasferimento dei diritti reali immobiliari (arg. da Cass. 25 giugno 2019, n. 17022; Cass. 14 giugno 2019, n. 16070).

III. Il primo motivo di ricorso deve dunque essere accolto, rimanendo assorbiti i restanti motivi, e va cassata la sentenza impugnata, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma, la quale procederà a nuovo esame uniformandosi all’enunciato principio, provvedendo anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019

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