Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3316 del 13/02/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 6 Num. 3316 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: CARRATO ALDO

SENTENZA
sul ricorso 2301-2013 proposto da:
IMPRESA SAISEB TOR DI VALLE SPA 00880881008 (già SAISEB
SPA) in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e
legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA G. MERCALLI 13, presso lo studio dell’avvocato
PISELLI PIERLUIGI, che la rappresenta e difende, giusta procura
speciale a margine del ricorso;

– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, in persona del
Ministro pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
A

5.C1

Data pubblicazione: 13/02/2014

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;
– controrkorrente –

avverso il decreto nel procedimento R.G. 302/2012 della CORTE

07/06/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
09/01/2014 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO CARRATO;
udito per la ricorrente l’Avvocato Luca Nicoletti (per delega avv.
Pierluigi Piselli) che si riporta ai motivi del ricorso ed insiste per
raccoglimento.

Ric. 2013 n. 02301 sez. M2 – ud. 09-01-2014
-2-

D’APPELLO di CALTANISSETTA del 14.5.2012, depositato il

Ritenuto in fatto
La s.p.a. SAISEB TOR DI VALLE, in persona del legale rappresentante pro-tempore,
chiedeva alla Corte d’appello di Caltanissetta, con ricorso depositato il 21 ottobre
2010, il riconoscimento dell’equa riparazione, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n.

di una contratto di appalto, devoluto a collegio arbitrale, con successiva
impugnazione del relativo lodo arbitrale dinanzi alla Corte di appello di Palermo, la
cui sentenza veniva, a sua volta, fatta oggetto di ricorso per cassazione definito con
sentenza depositata il 3 maggio 2010. In particolare, con il formulato ricorso, la
suddetta società chiedeva alla Corte nissena sia il riconoscimento del risarcimento
del danno emergente dalla stessa subito, sia la liquidazione del danno patrimoniale
conseguente alla irragionevole durata del giudizio presupposto (ivi compreso
l’intervallo temporale di espletamento del procedimento arbitrale), sia il
riconoscimento del danno non patrimoniale dipendente dalla stessa causa.
Nella costituzione del resistente Ministero della Giustizia, la Corte di appello adita,
con decreto n. 302 del 2012 (depositato il 7 giugno 2012) accoglieva la proposta
domanda limitatamente al riconosciuto danno morale, quantificato in euro 1.100,00,
oltre interesse legali dalla domanda al saldo, con compensazione per la metà delle
spese giudiziali (che per la residua metà venivano poste a carico del predetto
Ministero).
Avverso il suddetto decreto (non notificato) ha proposto ricorso per cassazione la
Saiseb Tor di Valle s.p.a. con atto notificato il il 23 gennaio 2013, sulla base di
quattro motivi. L’intimato Ministero della Giustizia si è costituito in questa sede con
controricorso.
Considerato in diritto

– 3 –

89, per la irragionevole durata di un contenzioso avente ad oggetto l’inadempimento

1. – In via preliminare, il Collegio rileva che non è di ostacolo alla trattazione del
ricorso la mancata presenza, alla odierna pubblica udienza, del rappresentante della
Procura generale presso questa Corte.
Invero, l’art. 70, secondo comma, c.p.c., quale risultante dalle modifiche introdotte

nella legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede che il pubblico ministero «deve intervenire
nelle cause davanti alla Corte di cessazione nei casi stabiliti dalla legge». A sua volta

l’art. 76 del r.d. 10 gennaio 1941, n. 12, come sostituito dall’art. 81 del citato decretolegge n 69, al primo comma dispone che «Il pubblico ministero presso la Corte di
cassazione interviene e conclude: a) in tutte le udienze penali; b) in tutte le udienze
dinanzi alle Sezioni unite civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici
della Corte di cessazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla
sezione di cui all’articolo 376, primo comma, primo periodo, del codice di procedura
civile». L’art. 376, primo comma, c.p.c. stabilisce che «Il primo presidente, tranne
quando ricorrono le condizioni previste dall’articolo 374, assegna i ricorsi ad apposita
sezione che verifica se sussistono i presupposti per la pronunzia in camera di
consiglio».

Infine, l’art. 75 del già citato decreto-legge n. 69 del 2013, quale risultante dalla legge
di conversione n. 98 del 2013, dopo aver disposto, al primo comma, la sostituzione
dell’art. 70, secondo comma, del codice di rito, e la modificazione degli artt. 380-bis,
secondo comma, e 390, primo comma, del medesimo codice, per adeguare la
disciplina del rito camerale alla disposta esclusione della partecipazione del pubblico
ministero alle udienze che si tengono dinnanzi alla sezione di cui all’art. 376, primo
comma, al secondo comma ha stabilito che «Le disposizioni di cui al presente
articolo si applicano ai giudizi dinanzi alla Corte di cassazione nei quali il decreto di

-4-.

dall’art. 75 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni,

fissazione dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio sia adottato a partire
dal giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto», e cioè a far data dal 22 agosto 2013.

Orbene, il Collegio rileva che l’esplicito riferimento contenuto nell’art. 75, comma 2,

376, primo comma, c.p.c.), consenta di ritenere, non solo, che la detta sezione è
abilitata a tenere pubbliche udienze e non solo adunanze camerali, ma anche che
alle udienze che si tengono presso la stessa sezione non è più obbligatoria la
partecipazione del pubblico ministero. Rimane impregiudicata, ovviamente, la facoltà
dell’ufficio del pubblico ministero di intervenire ai sensi dell’art. 70, terzo comma,
c.p.c., e cioè ove ravvisi un pubblico interesse.
Nel caso di specie, il decreto di fissazione dell’udienza odierna è stato adottato in
data 25 settembre 2013, sicché deve concludersi che l’udienza pubblica è stata
ritualmente celebrata senza la partecipazione del rappresentante della Procura
generale presso questa Corte, non avendo il detto ufficio, al quale pure copia
integrale del ruolo di udienza era stata trasmessa, ravvisato un interesse pubblico
che giustificasse la propria partecipazione ai sensi del citato art. 70, terzo comma,
c.p.c. .
2. — Ciò posto, rileva il collegio che, con il primo motivo dedotto, la ricorrente ha
denunciato — con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la supposta
violazione e falsa applicazione degli art6. 6, par. 1, e 13 della C.E.D.U., nonché —
avuto riguardo all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. — l’omessa ed insufficiente
motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio attinente alla
individuazione, da parte della Corte territoriale, del periodo irragionevole del giudizio
presupposto.

_

5

citato, alle udienze che si tengano presso la Sesta sezione (e cioè quella di cui all’art.

3. — Con il secondo motivo la ricorrente ha prospettato la violazione e falsa
applicazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, nonché il vizio di omessa e/o
insufficiente motivazione del decreto impugnato nella parta in cui la Corte territoriale
si era limitata a liquidare in suo favore la sola somma di euro 1.100,00 (oltre interessi

richiamate in narrativa.
4. — Con il terzo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione
dell’art. 5 bis della legge n. 89 del 2001 (così come modificato dal d.P.R. n. 115 del
2002) e dell’art. 6 della C.E.D.U., con riferimento alla ritenuta illegittimità della
disposta compensazione parziale delle spese del giudizio.
5. — Con il quarto ed ultimo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa
applicazione dei principi indicati dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 19499
del 2008, con riguardo alla ridotta misura degli interessi riconosciuti.
6. — Rileva il collegio che il primo motivo è infondato e deve essere, pertantol rigettato
per le ragioni che seguono.
Con tale censura, in effetti, la società ricorrente ha dedotto le richiamate violazioni
sulla base dell’assunta erroneità della statuizione adottata dalla Corte nissena
nell’impugnato decreto nella parte in cui aveva ritenuto che il periodo relativo
all’espletamento del procedimento arbitrale, in quanto esterno all’esercizio della
funzione giurisdizionale in senso proprio, non avrebbe potuto essere computato nella
determinazione della durata complessiva del giudizio presupposto, in ordine alla
quale poi determinare l’intervallo temporale qualificabile come irragionevole.
L’argomentazione della Corte territoriale è condivisibile perché l’arbitrato ha natura
privatistica che rinviene, per l’appunto, il suo fondamento nel potere delle parti di

6

legali), malgrado la richiesta separata e specifica delle voci di danno come

disporre dei diritti soggettivi, costituendo, quindi, espressione di autonomia
negoziale, rimanendo irrilevante la distinzione tra arbitrato rituale e irrituale.
Pertanto, deve escludersi che l’arbitrato, pur se rituale, sia riconducibile alla
giurisdizione (in tal senso, ad es., v. Cass., S.U., n. 9839 del 2011; Cass. n. 24866

anche dalla giurisprudenza costituzionale, sull’evidenziato rilievo che il fondamento di
qualsiasi arbitrato è da rinvenirsi nella libera scelta delle parti (Corte cost. sentenze
nn. 127 del 2007; 221 del 2006; 376 del 2001). La conseguenza che ne scaturisce —
alla stregua del pacifico riferimento dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001 al processo
inteso come giudizio svoltosi propriamente dinanzi all’autorità giurisdizionale — è che,
ai fini del computo della durata complessiva del “giudizio presupposto”, non
può tenersi conto anche del segmento temporale relativo all’espletamento
della procedura arbitrale, ancorché, a seguito di successiva impugnazione
dell’inerente lodo, la controversia tra le parti sia sfociata nell’introduzione di un
giudizio civile ordinario (la sola cui durata totale è, invece, computabile a tali
fini in funzione della correlata individuazione del periodo di eventuale
protrazione del giudizio stesso da considerarsi irragionevole e, quindi,
indennizzabile).

7. — Il secondo complesso motivo è, invece, meritevole di accoglimento siccome
fondato.
E’ risaputo (cfr., ad es., Cass., S.U., n. 1338 del 2004 e Cass. n. 24696 del 2011)
che, in tema di equa riparazione ai sensi dell’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89,
il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorché non automatica e
necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui
all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle

– 7 –

del 2008; n. 14972 del 2007; n. 6985 del 2007), risultando tale principio confortato

libertà fondamentali; sicché, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno
non patrimoniale “in re ipsa” – ossia di un danno automaticamente e
necessariamente insito nell’accertamento della violazione -, il giudice, una volta
accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del

sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto,
circostanze particolari le quali facciano positivamente escludere che tale danno sia
stato subito dal ricorrente. E’ altrettanto univoco che, per il mancato rispetto del
termine di ragionevole durata del processo, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n.
89, il danno patrimoniale, diversamente da quello non patrimoniale, deve essere
oggetto di prova piena e rigorosa, occorrendo che ne siano specificati tutti gli
estremi, fra l’altro variabili da caso a caso, ovvero che ne sia possibile
l’individuazione sulla base del contesto complessivo dell’atto (cfr. Cass. n. 14775 del
2013).
Orbene, con riguardo alla fattispecie dedotta in giudizio, pur essendo state dedotte
dalla ricorrente le specifiche voci di danno riconducibili al danno emergente, a quello
patrimoniale e a quello non patrimoniale, la Corte nissena si è limitata a prendere in
considerazione soltanto la richiesta ricollegabile a quest’ultima voce di danno
(qualificata come “danno morale”), omettendo qualsiasi motivazione (e, quindi, ogni
conseguente pronuncia) sulle altre istanze risarcitorie puntualmente dedotte (in
ipotesi accoglibili nei limiti di quanto adeguatamente provato) con la domanda per
equa riparazione (il cui contenuto risulta compiutamente riportato nel ricorso per
cassazione).
Pertanto, sotto tale profilo, il decreto impugnato risulta assolutamente sprovvisto
dello svolgimento del ragionamento logico necessario in ordine alla valutazione —

8

processo secondo le norme della citata legge n. 89 del 2001, deve ritenere

considerata anche la natura giuridica della ricorrente e l’attività dalla stessa espletata
– sull’eventuale fondatezza (totale o parziale) o meno delle altre istanze risarcitorie
(pacificamente deducibili nel giudizio per equa riparazione), ulteriori rispetto a quella
implicante il riconoscimento del danno non patrimoniale, donde il pieno accoglimento

8. In definitiva, previo rigetto del primo motivo, deve pervenirsi all’accoglimento del
secondo, da cui deriva l’assorbimento delle altre due dipendenti censure (afferenti ai
profili accessori relativi alle spese giudiziali e alla misura degli interessi ritenuta come
spettante). Consegue, quindi, la cassazione del decreto impugnato in relazione alla
censura accolta con rinvio della causa alla Corte di appello di Caltanissetta, la quale
nel conformarsi a quanto in precedenza statuito (sia con riguardo all’ammissibilità di
altre istanze risarcitorie nell’ambito del giudizio di equa riparazione che alla necessità
dell’esposizione della motivazione circa la valutazione delle richieste di risarcimento
del danno patrimoniale e di quello emergente formulate dalla ricorrente), provvederà
anche a regolare le spese della presente fase di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il primo motivo del ricorso ed accoglie il secondo motivo, dichiarando
assorbiti il terzo e quarto; cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e
rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di
Caltanissetta, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della
Corte suprema di Cassazione, in data 8 febbraio 2013.

della seconda censura in questione.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA