Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3316 del 11/02/2020

Cassazione civile sez. III, 11/02/2020, (ud. 24/10/2019, dep. 11/02/2020), n.3316

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24471/2018 proposto da:

C.I., V.A., elettivamente domiciliati in Roma

alla via S. Maria Mediatrice, n. 1, presso lo studio dell’AVVOCATO

MARIO ARPINO che li rappresenta e difende unitamente agli AVVOCATI

GIOVANNI MARIA BUCCI, CESIDIO E CLAUDIA D’ALOISIO;

– ricorrente –

contro

T.A., elettivamente domiciliato in Roma alla via

Stesicoro, n. 126, presso lo studio dell’AVVOCATO ISABELLA TRICANICO

che lo rappresenta e difende unitamente all’AVVOCATO CARLO FLACCO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 837/2018 della CORTE d’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 10/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/10/2019 da Dott. Cristiano Valle, osserva quanto segue.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di L’Aquila, con sentenza n. 00837 del 10/05/2018, ha, per quanto ancora in questa sede rileva, confermato la sentenza del Tribunale Chieti, Sezione staccata di Ortona, di rigetto di domanda di riscatto agrario proposta da V.A. e C.T., proprietari confinanti di un terreno agricolo sito in agro del Comune di (OMISSIS), alienato da P.T. ad T.A., con atto pubblico del 13/06/2003, senza che fossero allegati i certificati di destinazione urbanistica, pur trattandosi di appezzamenti accatastati quali pertinenze di immobili urbani ma comunque di estensione superiore ai cinquemila metri quadrati, con conseguente violazione del disposto del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 30, commi 1 e 2.

I confinanti retraenti ricorrono con tre motivi ed hanno depositato memoria per l’adunanza camerale.

Resiste con controricorso, T.A., acquirente del fondo.

Il P.G. non ha depositato conclusioni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso deduce violazione e (o) falsa applicazione di norme di diritto e segnatamente del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 30, commi 1 e 2. Il mezzo afferma che all’atto di compravendita, del 13/06/2003 per notaio C. di (OMISSIS), non era stato allegato il certificato di destinazione urbanistica delle particelle n. (OMISSIS) (di mq. 4.482) e n. (OMISSIS) (di mq. 1.019), aventi superficie complessiva di metri quadrati cinquemila e, quindi, superiore all’estensione che avrebbe consentito, sulla base del richiamato testo normativo, l’esenzione dall’allegazione della detta certificazione.

Il secondo mezzo deduce violazione e comunque falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, per la mancata acquisizione, da parte della Corte territoriale, di un consulenza tecnica di parte, sulla base della motivazione che si trattava di atto non acquisibile in fase di appello in base a specifica pronuncia nomofilattica.

Il terzo motivo, infine, deduce violazione e (o) falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., commi 1 e 2, in relazione agli artt. 2699 e 2700 c.c., ed agli artt. 115 e 345 c.p.c., nonchè della L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8 e della L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7.

La questione posta dal primo motivo di ricorso afferma la nullità dell’atto di vendita dei terreni, in quanto frazionati per renderli “enti urbani” ed allegando un certificato di destinazione urbanistica di due sole delle risultanti particelle, e non anche di quella maggiore.

La Corte territoriale ha affermato, a pag. 8 della sentenza in esame, che l’allegazione del certificato di destinazione urbanistica non è necessaria, e quindi l’operazione negoziale di compravendita immobiliare è legittimamente stipulata, allorquando la superficie complessiva dell’area pertinenziale agli immobili urbani sia inferiore ai cinquemila metri quadrati. La Corte di Appello di L’Aquila ha, quindi, ritenuto che il disposto del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, commi 1 e 2, dovesse essere riferito ai singoli appezzamenti di terreno, costituenti pertinenze di immobili urbani, compravenduti, in quanto uno era di poco superiore ai quattromila metri quadrati (la particella n. (OMISSIS) di mq. 4.482) e l’altro di poco superiore ai mille metri quadrati (la particella n. (OMISSIS) di mq. 1.019).

L’interpretazione fornita dalla sentenza della Corte di Appello non è condivisibile.

Le due particelle suddette rivengono, infatti, dal frazionamento di un appezzamento di terreno la cui estensione complessiva era superiore a cinquemila metri quadrati.

I primi due commi dell’art. 30 del più volte richiamato D.P.R. n. 380 del 2001, sono così testualmente formulati:

“1. Si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; nonchè quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio.

2. Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica sia in forma privata, aventi ad oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni sono nulli e non possono essere stipulati nè trascritti nei pubblici registri immobiliari ove agli atti stessi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti l’area interessata. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano quando i terreni costituiscano pertinenze di edifici censiti nel nuovo catasto edilizio urbano, purchè la superficie complessiva dell’area di pertinenza medesima sia inferiore a 5.000 metri quadrati”.

La sentenza della Corte di Appello di L’Aquila, aderendo acriticamente a quella del giudice di primo grado, ha affermato che andava presa in considerazione l’estensione di ciascuna delle due singole particelle, che singolarmente considerate non superavano l’estensione di cinquemila metri quadrati. La lettera della legge appare, viceversa, chiara nel considerare, ai fini dell’esenzione dalla allegazione del certificato di destinazione urbanistica, l’estensione complessiva dell’area di pertinenza degli immobili urbani, che non deve essere superiore alla detta misura e ciò al fine di evitare la realizzazione di abusi edilizi.

La mancata allegazione della certificazione urbanistica integra ipotesi di nullità del contratto, per contrarietà a norma imperativa, ai sensi dell’art. 1418 c.c..

La motivazione della sentenza d’appello non appare coerente con il disposto normativo sopra richiamato – del D.P.R. n. 380 dl 2001, art. 30, commi 1 e 2 – ed incorre, pertanto, nel denunciato vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, quale vizio di sussunzione.

Deve, pertanto, affermarsi che l’atto di compravendita di terreni costituenti pertinenze di immobili urbani la cui superficie complessiva è superiore a cinquemila metri quadrati non è escluso dall’obbligo di allegazione del certificato di destinazione urbanistica secondo quanto prevedeva dapprima la L. n. 47 del 1985, art. 18, comma 2, ed ora prescrive il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, commi 1 e 2.

Il primo motivo di ricorso è pertanto, accolto.

I restanti due motivi restano assorbiti, rilevandosi, per mera completezza espositiva, che il richiamo alla pronuncia di questa Corte nella sua massima espressione nomofilattica (Sez. U n. 13902 del 03/06/2013) non è stato correttamente effettuato dai giudici di appello al fine di escludere la produzione nella fase d’impugnazione della consulenza tecnica di parte. L’arresto di questa Corte, compulsato pur nella sola massima, è di segno esattamente contrario.

La sentenza impugnata è cassata e la causa è rinviata, per nuovo esame, alla Corte di Appello di L’Aquila, in diversa composizione, che nel deciderla si atterà a quanto in questa sede affermato.

Al giudice del rinvio è demandato di provvedere anche sulle spese di questo giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, deve darsi atto dell’insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

accoglie il primo motivo, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese di legittimità, alla Corte di Appello di L’Aquila, in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2020

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