Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3316 del 05/02/2019

Cassazione civile sez. lav., 05/02/2019, (ud. 28/11/2018, dep. 05/02/2019), n.3316

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amalia – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annnalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19999-2013 proposto da:

C.L., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA G.G.BELLI 60, presso lo studio dell’avvocato LUCIANA COLANTONI,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIA EUGENIA

VALAZZI;

– ricorrente –

contro

COMUNE FANO, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO DEL TEATRO VALLE 6, presso

lo studio dell’avvocato LUCIANO FILIPPO BRACCI, rappresentato e

difeso dall’avvocato NICOLO’ MARCELLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 202/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 05/03/2013 R.G.N. 193/2012.

Fatto

RILEVATO

1. all’esito del procedimento disciplinare il Comune di Fano aveva comminato a C.L., agente di polizia municipale, la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per il periodo dall’1 ottobre al 30 novembre 2009, ai sensi dell’art. 3, comma 6, lett. d) del CCNL comparto Enti locali, per avere il C. detenuto nei locali dell’ufficio un bastone estensibile in metallo del peso di gr. 42 e della lunghezza di 52 cm;

2. il Tribunale di Pesaro, adito dal C., dichiarò l’illegittimità di tale sanzione; la Corte di Appello di Ancona, adita dal Comune di Fano, in riforma di tale sentenza, ha rigettato la domanda proposta dall’originario ricorrente;

3. la Corte territoriale ha ritenuto che la differenza che connota le condotte previste e punite dall’art. 3, comma 6, lett. d) del CCNL Comparto Autonomie Locali rispetto a quelle individuate e punite dall’art. 3, comma 5, lett. k) medesimo CCNL è costituita, oltrechè dal riferimento effettuato dall’art. 3, comma 6, lett. d) a “fatti dolosi o colposi”, dal fatto che tale disposizione mira a prevenire la commissione di reati contro l’incolumità individuale, laddove le condotte descritte nella disposizione contenuta nel c. 5 non “vanno oltre l’aggressività o la minaccia”;

4. la Corte territoriale, inoltre, ha affermato che la condotta addebitata al C., costituita dalla violazione della regolamentazione sulla dotazione di ordinanza del personale addetto a servizi di polizia, aveva evidenziato la inidoneità a svolgere tali compiti; tanto sul rilievo che la “grave incapacità” alla quale fa riferimento l’art. 3, comma 6, lett. d) deve essere intesa non solo nel senso di mancanza di attitudini ma anche nella mancanza dell'”autodisciplina necessaria per l’espletamento delle delicate funzioni connesse con il servizio”;

5. la Corte territoriale ai fini della formulazione del giudizio sulla proporzionalità della sanzione adottata, ha richiamato i criteri di graduazione indicati nel CCNL e ha desunto l’intenzionalità della condotta dalla conoscenza della regolamentazione sulla dotazione di ordinanza, osservando che questa era verificabile anche dal semplice raffronto con quella utilizzata dagli altri colleghi, e ha ritenuto che gli obblighi violati attenevano ad aspetti essenziali del servizio; ha evidenziato che il C. rivestiva la qualifica di agente di polizia municipale e ha affermato che il grado di danno o di pericolo di danno causato all’ Ente o agli utenti o a terzi doveva essere apprezzato non solo in termini di probabilità di verificazione degli eventi che la disciplina della dotazione di ordinanza mira a prevenire, ma anche in relazione alla gravità del rischio (sia dei terzi, sia dell’ente che può trovarsi esposto a obblighi risarcitori); ha escluso rilevanza al fatto che non fosse stato accertato l’uso o il porto del bastone durante servizi all’esterno dall’ufficio, osservando che la protezione di beni di primaria importanza deve essere “quanto più possibile anticipata”;

6. avverso questa sentenza Lorenzo C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria, al quale ha resistito con controricorso il Comune di Fano.

Diritto

CONSIDERATO

Sintesi dei motivi.

7. con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione “degli dell’art. 3, comma 6, lett. d) e art. 5, lett. k) del CCNL di settore”, per avere la Corte territoriale, partendo da una erronea ricostruzione del fatto, ritenuto sussumibile la condotta addebitata e sanzionata nella fattispecie descritta dall’art. 3, comma 6, lett. d) del CCNL relativa a “fatti colposi o dolosi che dimostrino grave incapacità ad adempiere adeguatamente agli obblighi di servizio”; asserisce che, poichè il bastone non era stato portato all’esterno del locale posto di Polizia Municipale, la condotta oggetto di contestazione disciplinare, è riconducibile alla disposizione contenuta nell’art. 3, comma 5, lett. k), che punisce la “violazione di obblighi di comportamento non ricompresi specificatamente nelle lettere precedenti, da cui sia derivato disservizio ovvero danno o pericolo all’ente, agli utenti o ai terzi”;

8. con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio; ribadendo quanto già dedotto nel primo motivo, assume che il bastone estensibile non era mai stato portato all’esterno della caserma dei vigili urbani, nè sul luogo di lavoro, nè presso la stazione ferroviaria di (OMISSIS), nè altrove;

9. con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 3, comma 5, lett. k) del CCNL, per avere la Corte territoriale ricondotto la condotta addebitata in sede disciplinare entro la previsione di cui alla disposizione di cui all’art. 3, comma 6, lett. d) del CCNL; sostiene che la condotta oggetto di contestazione disciplinare non può essere ricondotta alla “grave incapacità ad adempiere adeguatamente gli obblighi di servizio” in quanto l’assolvimento delle sue funzioni era avvenuta in assenza del bastone estensibile;

Esame dei motivi.

10. i motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente, in ragione della connessione logica e giuridica delle censure formulate, sono infondati;

11. la censura (secondo motivo) che addebita alla Corte territoriale la non corretta ricostruzione della condotta addebitata in sede disciplinare presenta profili di infondatezza e di inammissibilità;

12. essa è infondata perchè nella sentenza impugnata non risulta affermato affatto che era stato dimostrato che il C. avesse portato con sè il bastone estensibile durante lo svolgimento delle mansioni a contatto con il pubblico di Fano, tant’è che nella sussunzione della condotta contestata entro la fattispecie descritta e punita nell’art. 3, comma 6, lett. d) e nella formulazione del giudizio di gravità la Corte territoriale ha affermato la irrilevanza di tale circostanza ed ha osservato che la protezione di beni di primaria importanza deve essere “quanto più possibile anticipata”;

13. la censura è anche inammissibile perchè essa, in assenza della indicazione del fatto storico decisivo non esaminato dalla Corte territoriale, resta estranea al perimetro del mezzo impugnatorio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che nel testo applicabile “ratione temporis” (la sentenza impugnata è stata pubblicata il 5.3.2013) prevede che la sentenza può essere impugnata per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” (cass. SSUU nn. 8053 e 8054 del 2014);

14. va precisato che alla fattispecie dedotta in giudizio trova applicazione l’art. 25 del CCNL compatto Regioni ed Autonomie Locali stipulato il 22.1.2204 in quanto la condotta oggetto di addebito disciplinare risale al 18.1.2008, e non il CCNL stipulato il 11.4.2008, al quale hanno fatto riferimento la Corte territoriale e il ricorrente;

15. l’errore relativo alla individuazione del CCNL applicabile “ratione temporis” non comporta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 3, la cassazione della sentenza impugnata, perchè è privo di rilievo e non inficia la conformità a diritto del dispositivo sulla base della diversa motivazione enunciata in questa sentenza;

16. va al riguardo rilevato che le disposizioni contenute nell’art. 3 del CCNL dell’11.4.2008 sono sovrapponibili a quelle contenute nell’art. 25 del CCNL del 22.1.2004;

17. tanto precisato, sono infondate le censure (primo e terzo motivo) che, attraverso la dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 5, lett. k) e dell’art. 3, comma 6, lett. d), addebitano alla sentenza l’erronea sussunzione della condotta addebitata entro la fattispecie disciplinare punita con la (più grave) sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da 11 giorni fino ad un massimo di 6 mesi e non entro la fattispecie punita con la (meno grave) sanzione della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino ad un massimo di 10 giorni;

18. il richiamato art. 25 del CCNL 22.1.2004, dopo avere affermato al comma 1 il principio di gradualità e di proporzionalità delle sanzioni in relazione alla gravità della mancanza e in conformità a quanto previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 e successive modificazioni ed integrazioni, detta (lett. da a ad f) i criteri generali per la determinazione del tipo e dell’entità di ciascuna delle sanzioni (intenzionalità del comportamento, grado di negligenza, imprudenza o imperizia dimostrate, tenuto conto anche della prevedibilità dell’evento; rilevanza degli obblighi violati; responsabilità connesse alla posizione di lavoro occupata dal dipendente; grado di danno o di pericolo causato all’ente, agli utenti o a terzi ovvero al disservizio determinatosi; sussistenza di circostanze aggravanti o attenuanti, con particolare riguardo al comportamento del lavoratore, ai precedenti disciplinari nell’ambito del biennio previsto dalla legge, al comportamento verso gli utenti; concorso nella mancanza di più lavoratori in accordo tra di loro);

19. l’art. 25, al comma 5 (con formulazione sovrapponibile alla clausola contenuta nell’art. 3, comma 5, lett. k) del CCNL del 11.4.2008) punisce con la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino ad un massimo di 10 giorni, tra le altre violazioni, la “violazione di obblighi di comportamento non ricompresi specificatamente nelle lettere precedenti, da cui sia derivato disservizio ovvero danno o pericolo all’ente, agli utenti o ai terzi” (lett. k);

20. l’art. 25, comma 6 (con formulazione sovrapponibile alla clausola contenuta nell’art. 3, comma 6, lett. d) del CCNL dell’114.4.2008) sanziona con la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da 11 giorni fino ad un massimo di 6 mesi, tra le altre violazioni, il “persistente insufficiente rendimento o fatti, colposi o dolosi, che dimostrino grave incapacità ad adempiere adeguatamente agli obblighi di servizio” (lett. d);

21. è corretta la statuizione della Corte territoriale che ha sussunto la condotta addebitata all’odierno ricorrente, nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 3, comma 6, lett. d), coincidente, come innanzi osservato a quella descritta nell’art. 25, comma 6, lett. d) CCNL del 2004, in quanto tali disposizioni, nel fare riferimento alla specifica incapacità ad adempiere adeguatamente agli obblighi di servizio, evocano non solo le abilità tecnico- professionali connesse alle modalità di svolgimento del lavoro, ma anche, e prima ancora, la consapevolezza della pregnanza e della rilevanza dei doveri e delle ragioni per le quali essi sono imposti e devono essere rispettati;

22. nell’ambito della capacità di adempiere adeguatamente agli obblighi di servizio, nei termini innanzi precisati, va ricompresa quella correlata al rispetto delle prescrizioni impartite agli agenti della Polizia Municipale in ordine alla cd. dotazione di ordinanza, trattandosi di regole intimamente connesse allo svolgimento delle delicate funzioni di polizia municipale (L. 7 marzo 1986, n. 65, art. 5, comma 5 e art. 6) e, ad un tempo, alla esigenza di prevenire, attraverso la regolamentazione della dotazione di ordinanza, la commissione da parte degli agenti di polizia Municipale dei reati contro la incolumità individuale;

23. deve ritenersi irrilevante, ai fini del giudizio di sussumibilità della condotta contestata a quella descritta nell’art. 25, comma 6, lett. d) la circostanza che il ricorrente non avesse portato con sè il bastone estensibile all’esterno degli Uffici della Polizia Municipale in quanto l’incapacità di adempiere adeguatamente agli obblighi di servizio non riguarda solo le funzioni espletate in servizio esterno ma anche il servizio e le attività prestate all’interno della Caserma, da considerarsi luogo di lavoro a tutti gli effetti;

24. l’inadempimento dell’obbligo di rispettare le prescrizioni sulla dotazione di ordinanza non è riferibile alla violazione degli obblighi di comportamento da cui sia derivato disservizio ovvero danno o pericolo all’ente, agli utenti o ai terzi, descritta e sanzionata dall’art. 25, comma 5, lett. k), atteso che tale disposizione sanziona la violazione di obblighi di contenuto generico, laddove l’art. 25, comma 6, lett. d) punisce la ben più grave condotta che si manifesti e si compendi nella inidoneità all’adempimento degli obblighi di servizio, tra i quali vanno considerati, come innanzi rilevato, quelli che attengono al rispetto delle prescrizioni sulla dotazione di ordinanza della Polizia Municipale;

25. sulla scorta delle considerazioni svolte, che sostituiscono, quanto al CCNL applicabile “ratione temporis” le motivazioni poste a fondamento del “decisum” della sentenza impugnata, il ricorso va respinto;

26. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza;

27. sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1.

PQM

LA CORTE

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 6.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali forfetarie, oltre IVA e CPA.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 28 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2019

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