Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33152 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 21/12/2018, (ud. 18/07/2018, dep. 21/12/2018), n.33152

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12710-2017 proposto da:

S.A., in proprio e nella qualità di erede di

C.T., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO ARGENTINA 11,

presso lo studio dell’avvocato AUGUSTO VITO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

ASL DI VITERBO, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVUOR 19, presso lo studio

dell’avvocato MICHELE ROMA, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

contro

CI.GI., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVUOR

19, presso lo studio dell’avvocato MICHELE ROMA, che lo rappresenta

e difende;

– controricorrente –

contro

CE.AN., G.A., REGIONE LAZIO, D.A.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 6518/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 02/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 18/07/2018 dal Consigliere Dott. CIGNA MARIO.

Fatto

RILEVATO

che:

S.A., in proprio e quale erede della moglie C.T., propone ricorso per Cassazione avverso la sentenza 6518/2016 del 2-11-2016 con la quale la Corte d’Appello di Roma, con riferimento alle domande rivolte nei confronti della ASL di Viterbo e della Regione Lazio, gli ha dichiarato inammissibile il gravame e, con riferimento alle altre domande, glielo ha rigettato, così confermando la sentenza 246/2010, con la quale il Tribunale di Viterbo aveva respinto le domande risarcitorie avanzate nei confronti dei sanitari G.A., Ce.An. e Ci.Gi. per errata prestazione medico-sanitaria in favore di C.T. ed aveva dichiarato il difetto di legittimazione della Regione; in particolare la Corte, decidendo su specifica doglianza al proposito, ha innanzitutto evidenziato che, in mancanza (come nella specie) di istanza di ricusazione, il vizio relativo alla costituzione del giudice per la violazione dell’obbligo di astensione, non poteva essere dedotto quale motivo di nullità della sentenza ex art. 158 c.p.c.; nel merito, poi, premesso che ai detti professionisti era stata addebitata la “mancata o comunque ritardata diagnosi della rara neoplasia che ha condotto a morte la C.T., già affetta da cecità bilaterale e scadimento complessivo delle condizioni generali per sindrome di (OMISSIS)”, ha confermato, sulla base delle risultanze della CTU (di cui non era stata dedotta l’inutilizzabilità nè dimostrata l’erroneità), la statuizione di primo grado in ordine all’esclusione di responsabilità dei sanitari; nello specifico, infatti, i dottori Ce. e Ci. si erano basati sul referto negativo dell’ecografia del giugno 2001 (che non era stata da loro effettuata), mentre il dott. G. aveva optato per una terapia chemioterapica (anzichè per un intervento chirurgico) sulla base di motivazioni oggettive (scadenti condizioni generali della paziente, notevolmente sottopeso, e rifiuto della stessa, per motivi ideologici, alla trasfusione).

Ci.Gi. e la Asl di Viterbo resistono con controricorso.

Il relatore ha proposto l’inammissibilità/rigetto del ricorso (proposta comunicata in via telematica il 25-6-2018).

Giuseppe Ci. e la Asl di Viterbo hanno presentato anche memoria difensiva ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

RILEVATO

che:

Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto da S.A., in proprio e nella sua qualità, nei confronti di Ci.Gi., atteso che lo stesso è stato notificato a quest’ultimo in data 2/3 maggio 2017, e quindi oltre il termine breve di cui all’art. 325 cpc, decorrente dalla notifica della sentenza della Corte d’Appello, avvenuta da parte del Ci. in data 12-12-2016.

Non risultando una situazione di litisconsorzio necessario tra i coobbligati, o comunque non essendo questa Corte in condizione di accertare, in base alla formulazione delle domande, se si verta in una situazione di litisconsorzio necessario o facoltativo, siffatta notifica della sentenza da parte del Ci. determina il decorso del detto termine breve solo a suo favore, e non può invece valere anche per le altre parti.

Come già precisato da questa S.C. invero, “in tema di impugnazioni, il principio per il quale, nel processo con pluralità di parti, stante l’unitarietà del termine per l’impugnazione, la notifica della sentenza eseguita ad istanza di una sola delle parti segna, nei confronti della stessa e della parte destinataria della notificazione, l’inizio del termine per la proposizione dell’impugnazione contro tutte le altre parti, trova applicazione soltanto quando si tratti di cause inscindibili o tra loro dipendenti, ovvero nel caso in cui la controversia concerna un unico rapporto sostanziale o processuale, e non anche quando si versi nella distinta ipotesi di plurime cause che avrebbero potuto essere trattate separatamente e, solo per motivi contingenti, sono state trattate in un solo processo, per le quali, in applicazione del combinato disposto degli artt. 326 e 332 c.p.c., è esclusa la necessità del litisconsorzio. Ricorrendo questa eventualità, poichè all’interesse di ciascuna parte corrisponde un interesse autonomo di impugnazione, il termine per impugnare non è più unitario, ma decorre dalla data delle singole notificazioni a ciascuno dei titolari dei diversi rapporti definiti con l’unica sentenza, mentre per le parti tra le quali non c’è stata notificazione si applica la norma di cui all’art. 327 c.p.c., che prevede l’impugnabilità entro l’anno dal deposito della sentenza” (Cass. 1825/2007; conformi, da ultimo, Cass. 986/2016e 14722/2018).

Venendo, quindi, all’esame del ricorso nei confronti delle altre parti, ivi compresa la Asl (v. punto 10 delle conclusioni, ove si chiede la cassazione della sentenza nei confronti di tutte le parti), con il primo motivo il ricorrente deduce nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 5, artt. 118 e 119 disp. att. c.p.c. e carenza di specifica e congrua motivazione, evidenziando in particolare la mancata enunciazione del petitum e della causa petendi e la sottoscrizione del solo Presidente del Collegio.

Con il secondo motivo deduce nullità delle sentenze di primo e secondo grado per mancata escussione delle prove e per mancata ammissione del richiesto tentativo di conciliazione, con violazione del diritto alla prova ed al giusto processo e, in particolare, dell’art. 350 c.p.c., comma 2, e art. 117 c.p.c..

Con il terzo motivo deduce nullità del procedimento di primo e secondo grado per la “mancata ammissione di tutte le prove attrici e delle sentenze”, con omessa pronuncia sulla consulenza di parte ed erronea valutazione della CTU.

Con il quarto motivo deduce nullità della sentenza per avere la Corte (così come il Tribunale) erroneamente posto a fondamento della decisione solo l’ecografia negativa, e non l’esame obiettivo, la CTU (nel suo complesso) e la consulenza di parte.

Con il quinto motivo deduce violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, e art. 101 c.p.c., evidenziando in particolare che la prova della legittimazione sostanziale e processuale era costituita anche dalle “leggi del Servizio Sanitario Nazionale Regionale e delle ASL”.

Con il sesto motivo deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 345,111,112,113,115 e 116 c.p.c. nonchè art. 2043 c.c. e art. 590 c.p., sostenendo in particolare che i fatti esposti dall’attrice avevano “avuto riscontro nelle prove in atti e nei motivi specifici di gravame”.

Con il settimo motivo deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 24 Cost., comma 2 e art. 111 Cost., in quanto il giudice aveva deciso il giudizio, senza invece sospenderlo, come invece previsto, in caso di ricusazione, dall’art. 52 c.p.c., comma 3.

Con l’ottavo motivo deduce nullità della sentenza per violazione del diritto alla difesa ed ammissione delle prove, lamentandosi in particolare della mancata ammissione delle prove.

Con il nono motivo deduce l’omesso esame di punti decisivi controversi e discussi e l’inesistenza della motivazione lamentando, in particolare, la mancata indicazione di riscontri obiettivi e la genericità dei rigetti.

Il primo motivo, quanto alla sottoscrizione del solo Presidente, è infondato.

Questa Corte, invero, ha già precisato che, a norma dell’ultimo comma dell’art. 132 c.p.c., come modificato della L. 8 agosto 1977, n 532, art. 6, secondo cui la sentenza emessa dal giudice collegiale deve essere sottoscritta dal Presidente e dal giudice estensore, è sufficiente la sola sottoscrizione del Presidente del collegio, qualora tale magistrato abbia anche la qualifica di estensore del provvedimento (Conf., tra le tante, Cass. 22705/2010, 11739/2004, 1972/85 e 3373/1980); al riguardo va anche rilevato che la sentenza sottoscritta dal presidente, che sia stato anche relatore della causa, non è inficiata da alcuna nullità per il fatto che tale magistrato non abbia espressamente aggiunto l’indicazione della propria qualità di estensore della sentenza stessa, atteso che la qualità di relatore lascia presumere anche quella di estensore (conf. Cass. 12392/1992 e 2406/1994).

Il motivo è infondato anche con riferimento alla mancata specificazione nella sentenza impugnata del petitum e della causa petendi, atteso che, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, la sentenza nel suo complesso (come appare evidente dalla su riportata sintesi) indica chiaramente i su citati elementi.

I residui motivi sono tutti inammissibili in quanto, in primo luogo, non rispettano il precetto di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, atteso che con gli stessi vengono evocate risultanze processuali, senza fornirne l’indicazione specifica (v. Cass. S.U. 22726/2011).

I motivi, inoltre, sono inammissibili in quanto, anche se in alcuni casi formulati sub specie di violazione di legge, denunciano vizi motivazionali non rispettando l’art. 360 c.p.c., n. 5, nuova formulazione, applicabile al presente giudizio ratione temporis, che ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, (fatto da intendersi come un “preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni”), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora

il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.; conf. Cass. S.U. 8053 e 8054 del 2014; v. anche Cass. 21152/2014 e Cass. 17761/2016, che ha precisato che per “fatto” deve intendersi non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo (conf. Cass. 29883/2017); nel caso di specie il ricorrente non ha indicato alcun “fatto storico” (nel senso su precisato) omesso, ma si è limitato (inammissibilmente, per quanto detto) a contestare la conclusione cui era giunta la Corte in relazione all’esclusione di responsabilità dei sanitari.

Nè la motivazione può ritenersi solo apparente ed in violazione del “minimo costituzionale” di esternazione dei motivi.

Costituisce consolidato principio di questa Corte che la mancanza di motivazione, quale causa di nullità per mancanza di un requisito indispensabile della sentenza, si configura “nei casi di radicale carenza di essa, ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la “ratio decidendi” (cosiddetta motivazione apparente), o fra di loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente incomprensibili (Cass. sez unite 8053 e 8054/2014); nella specie la Corte di appello, come agevolmente desumibile anche in tal caso dalla su esposta sintesi dell’impugnata sentenza, ha espresso le ragioni della adottata decisione, con argomentazioni logicamente conciliabili, non perplesse ed obiettivamente comprensibili.

Alla luce di tali considerazioni, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile nei confronti di Ci.Gi. e va rigettato nei confronti delle altre parti.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Agli atti è stata rinvenuta solo istanza di ammissione al gratuito patrocinio mentre non risulta depositata la relativa delibera; di conseguenza, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato rigettato, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di Ci.Gi. e lo rigetta nei confronti delle altre parti; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in favore di Ci.Gi. ed ASL di Viterbo, per ciascuna delle dette parti, in Euro 5.600,00,oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, il 18 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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