Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33145 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 21/12/2018, (ud. 11/12/2018, dep. 21/12/2018), n.33145

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28042-2017 proposto da:

T.T., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 10

B, presso lo studio dell’avvocato MARIA LAVIENSI, rappresentato e

difeso dall’avvocato AMERIGA PETRUCCI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI CROTONE;

avverso la sentenza n. 323/2017 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 20/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’i 1/12/2018 dal Presidente Relatore Dott GENOVESE.

FRANCESCO ANTONIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA e RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte d’appello di Potenza ha confermato la decisione adottata dal Tribunale di quella stessa città che aveva ha accolto il ricorso proposto dal sig. T.T., cittadino del Senegal, avverso il provvedimento negativo del Ministero dell’Interno – Commissione territoriale di Crotone, che aveva respinto sia le richieste di protezione internazionale che il permesso di soggiorno per motivi umanitari, invocati sulla base di una vicenda personale secondo la quale, conviventi con la famiglia dello zio, a seguito di violenti litigi erano stati da quest’ultimo scacciati e minacciati di morte ove trovati sull’intero territorio nazionale, perciò la necessità di abbandonare i luoghi di origine.

Secondo il giudice del gravame, andavano respinte tutte le richieste di protezione (inclusa quella umanitaria), atteso che non sussistevano i presupposti per concedere le protezioni richieste e considerato che il racconto allegava un notorio (il potere di vita e di morte dei capi famiglia) del quale non allegava le fonti e tenuto conto che appariva non credibile il fatto che per un litigio potesse sancirsi la morte di una persona.

Avverso tale provvedimento ricorre il sig. T.T. con tre mezzi, articolati in più profili, con i quali si lamentano violazioni di legge e motivazione apparente.

Il Ministero non ha svolto difese.

Il Collegio NON condivide la proposta di definizione della controversia notificata alla parte costituita nel presente procedimento, alla quale non sono state mosse osservazioni critiche.

I tre mezzi di ricorso, con riferimento alle censure motivazionali (che sono preliminari e rendono impregiudicati e perciò assorbiti i profili in diritto) devono essere esaminati congiuntamente, perchè connessi.

Infatti, la sentenza ha negato ogni sorta di protezione del richiedente asilo sulla base di due passaggi della motivazione che, per quanto non del tutto correttamente svolti, pur tuttavia non si rivelano come solo apparenti, esigendo la motivazione soltanto una correzione, ai sensi dell’art. 384 c.p.c.. Infatti, quanto al mancato disvelamento delle fonti dell’allegato notorio (il potere di vita e di morte dei capi famiglia) da parte del dichiarante, che apparentemente si mostra come un vero e proprio ossimoro, perciò non idoneo a dare consistenza al ragionamento posto a base della decisione, in realtà va inteso come affermativo della impossibile dimostrazione della veridicità della affermazione tout court del narrante e, quindi, nella sostanza come un narrazione paradossale e non veridica. Posta in questi corretti termini, la motivazione si rivela come esistente e non censurabile, anche alla luce del nuovo tenore dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Quanto alla mancanza di credibilità del dichiarante, che ha allegato di aver subito una seria minaccia di morte per il litigio familiare, l’affermazione per quanto non particolarmente motivata, non appare in contrasto con il principio affermato da questa Corte (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 26921 del 2017), secondo cui “In tema di protezione internazionale e umanitaria, la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui del D.Lgs. cit. art. 5, comma 3, lett. c)), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicchè è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorandosi dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, mediante l’esercizio di poteri-doveri d’indagine officiosi e l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, al fine di accertarne la situazione reale.”.

Infatti, l’affermazione di non credibilità della narrazione, per quanto assai coincisa, pone a raffronto, secondo l’id quod plerumque accidit, una relazione da qualificare come non ragionevole tra un mero screzio (del narrante) e una reazione (svolta in termini di decretazione di morte) da parte dell’offeso (lo zio).

Nè miglior sorte compete alle doglianze relative alla mancata concessione del permesso umanitario poichè finalizzate al riesame del merito della ampia motivazione esistente nel provvedimento impugnato.

Il ricorso è, pertanto, manifestamente inammissibile. L’ordinanza impugnata va, pertanto, confermata, senza che sia necessario provvedere sulle spese di questa fase, non avendo l’intimato Ministero svolto difese.

Al sostanziale reiezione del ricorso non segue l’affermazione dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato avendo il ricorrente conseguito l’ammissione al PASS.

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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