Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3314 del 11/02/2020

Cassazione civile sez. III, 11/02/2020, (ud. 16/10/2019, dep. 11/02/2020), n.3314

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4374-2019 proposto da:

REGIONE CAMPANIA, in persona del legale rappresentante Presidente

p.t. della Giunta Regionale D.L.V., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA POLI 29, presso lo studio dell’avvocato

REGIONE CAMPANIA UFFICIO RAPPRESENTANZA, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANNA CARBONE;

– ricorrente –

contro

ABC ACQUA BENE COMUNE NAPOLI AZIENDA SPECIALE, in persona del

Direttore e Legale Rappresentante p.t. P.A.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CALABRIA, N. 56, presso lo

studio dell’avvocato ERNESTO CESARO, che la rappresenta e difende;

R.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAVOUR, N.

71, presso lo studio dell’avvocato LILIANA BELLECCA, che la

rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

COMUNE NAPOLI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 6006/2018 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata

il 18/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/10/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del 1 motivo,

accoglimento per quanto di ragione del 2 motivo, assorbiti i

restanti; cassazione senza rinvio ex art. 382 c.p.c.;

udito l’Avvocato ANNA CARBONE;

udito l’Avvocato MASSIMO CESARO per delega;

udito l’Avvocato LILIANA BELLECCA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Regione Campania ricorre, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 6006/18, del 18 giugno 2018, del Tribunale di Napoli, che – riformando “in parte qua” la sentenza n. 3376/14, del Giudice di Pace di Napoli, in parziale accoglimento del gravame principale esperito dall’Azienda Speciale A.B.C.-Acqua Bene Comune Napoli (d’ora in poi, “ABC”), rigettato, invece, quello incidentale dell’odierna ricorrente – ha, per un verso, confermato la condanna di ABC a restituire a R.S. le somme dalla stessa versate a titolo di corrispettivo per la deputazione acque, in relazione alla fornitura del servizio idrico, condannando, nel contempo, la Regione Campania a tenere indenne ABC da quanto dovuto alla predetta R..

2. Riferisce, in punto di fatto, la ricorrente che la R. ebbe a convenire in giudizio ABC, unitamente al Comune di Napoli, sul presupposto che la Corte costituzionale, con sentenza n. 335 del 10 ottobre 2008, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 14, comma 1, nonchè del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 155, comma 1, nella parte in cui prevedevano che tale quota della tariffa del servizio idrico fosse dovuta anche nel caso in cui “manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi”; declaratoria di illegittimità costituzionale motivata sul rilievo che, nell’ipotesi suddetta, l’obbligo di pagamento risultava non correlato ad alcuna controprestazione.

Su tali basi, nonchè deducendo che l’impianto di depurazione sito a (OMISSIS) era “obsoleto e notoriamente non funzionante”, secondo quanto risultante dalla documentazione prodotta in giudizio, l’attrice domandava la ripetizione dell’indebito, come detto, nei confronti di ABC e del Comune di Napoli.

Costituitisi in giudizio, entrambi i convenuti si opponevano – sulla base di varie difese ed eccezioni – all’accoglimento della domanda attorea, ABC essendo anche autorizzata a chiamare in causa la Regione Campania, la quale, a propria volta, chiedeva (senza, però, che l’adito Giudice di pace provvedesse in tal senso) l’integrazione del contraddittorio nei confronti della società Hydrogest Campania S.p.a., ovvero l’affidataria del servizio Gli depurazione.

Ciò detto, la ricorrente riferisce che l’adito giudicante accoglieva la domanda della R., condannando ABC e la Regione Campania (nei cui confronti la domanda era stata estesa da parte attrice), ma non anche il Comune di Napoli, alla restituzione delle somme suddette. Tale decisione, di seguito, veniva parzialmente riformata dal Tribunale di Napoli che, in funzione di giudice d’appello, accoglieva il gravame principale di ABC (rigettando quello incidentale della Regione Campania), riconoscendo il suo diritto ad essere tenuta indenne, dall’odierna ricorrente, da quanto dovuto alla R..

3. Avverso la sentenza del Tribunale partenopeo ricorre per cassazione la Regione Campania, sulla base – come detto – di cinque motivi.

3.1. Il primo motivo ipotizza – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1), – illegittimità della sentenza per motivi attinenti alla giurisdizione, per violazione e falsa applicazione dei principi espressi dalle sentenze della Corte costituzionale n. 39 del 2010 e n. 335 del 2008, nonchè in relazione alla L. 5 gennaio 1994, n. 36 (sia nel testo originario che in quello modificato dalla L. 31 luglio 2002, n. 179, art. 28) e del D.Lgs. n. 3 aprile 2006, n. 152.

Si censura la sentenza impugnata laddove ha rigettato l’eccezione di difetto di giurisdizione, assumendo la ricorrente che, nel caso che qui occupa, sussisterebbe, invece, difetto assoluto della stessa, per carenza di situazione giuridica azionabile, e/o difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore di quello tributario.

La censura viene svolta sul presupposto che gli interventi della Corte costituzionale abbiano sancito il principio della ripetizione della quota – della complessiva tariffa dovuta per il servizio idrico – riferita, specificamente, al servizio di depurazione, solo nel caso in cui manchino gli impianti O questi siano temporaneamente inattivi, ovvero nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. Viceversa, nel presente caso, si è dedotta una supposta “inefficienza” e/o “insufficienza” dell’impianto di depurazione, sicchè un’eventuale contestazione tariffaria avrebbe dovuto essere proposta non sotto il profilo del cd. “an debeatur”, bensì del solo “quantum”, in ragione della proporzionalità fra qualità del servizio reso e entità della prestazione; questione, pertanto, da devolvere alla conoscenza specializzata del giudice tributario.

D’altra parte, sempre sulla scorta della giurisprudenza costituzionale sopra richiamata, deve ritenersi che, in assenza totale del servizio idrico, risulta interdetto all’utente qualsiasi tipo di azione ordinaria, dal momento che, come chiarito proprio dalla sentenza n. 335 del 2008 della Corte costituzionale, l’utente può agire contro l’inerzia dell’amministrazione nella realizzazione di depuratori, non già in forza del rapporto contrattuale, ma solo esercitando il generale poteri di denuncia attribuitogli dall’ordinamento “uti civis”.

3.2. Il secondo motivo ipotizza – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in particolare “riguardo la rilevanza probatoria degli elementi relativi all’allaccio dell’utenza al sistema di depurazione rispetto al cattivo funzionamento dello stesso”, nonchè violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 155 e del D.L. 30 dicembre 2008, n. 208, art. 8-sexies convertito in L. 27 febbraio 2009, n. 13, nonchè del D.M. 30 settembre 2009, art. 2 del Ministero dell’Ambiente.

Si torna a sottolineare come la sentenza impugnata abbia accolto la domanda attorea di ripetizione dell’indebito sul presupposto della accertata inefficienza dell’impianto di depurazione di (OMISSIS), laddove il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 155 così come risultante all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 335 del 2008, esclude la debenza della quota tariffaria riferita al servizio di depurazione quando manchino i relativi impianti o essi siano temporaneamente inattivi.

Di conseguenza, la sentenza impugnata, oltre a violare la norma suddetta, avrebbe omesso di valutare fatto decisivo per giudizio rappresentato, per l’appunto, della distinzione fra inadeguato svolgimento della funzione (vale a dire l’ipotesi, al più, sussistente nel caso in esame) e inesistenza del servizio, da ritenersi integrata solo quando il sistema depurazione manchi del tutto o nessuna utenza sia allacciata ad esso.

D’altra parte, poichè la sentenza impugnata ha fondato la conclusione relativa alla inefficienza del servizio di depurazione sulla base di quella che definisce “idonea documentazione” presente agli atti del giudizio, la ricorrente rileva come tale documentazione attesti, al limite, solo la necessità di adeguamento dell’impianto di (OMISSIS) alla normativa vigente, e quindi l’impossibilità di ricondurlo a quelli “temporaneamente inattivi” ai quali fa riferimento il D.M. 30 settembre 2009, art. 2 del Ministero dell’Ambiente.

3.3. Il terzo motivo ipotizza – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), – violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c. e delle norme di diritto relative alla legittimazione passiva di essa Regione Campania, nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Si censura la sentenza impugnata laddove ha affermato la legittimazione passiva della odierna ricorrente sul presupposto che essa “è titolare degli impianti di depurazione e del sistema di collettamento, dal che deriva la sua responsabilità per l’espletamento del servizio, ancorchè svolto da società privata in regime di concessione”.

In particolare, si lamenta che il giudice di appello, pur inquadrando l’oggetto della domanda nella fattispecie dell’indebito oggettivo, sarebbe pervenuta ad una decisione contraria alle norme che lo regolano. Innanzitutto, perchè essa Regione versa nell’impossibilità di restituire ciò che non gli è mai stato corrisposto, avendo il giudice omesso di esaminare, pure a fronte delle contestazioni ed eccezioni da essa ricorrente avanzate, gli elementi probatori che attesterebbero la mancata ricezione della quota tariffaria asseritamente erogatale da ABC. Del resto, la documentazione da quest’ultima versata in atti, ovvero un asserito atto di ricognizione di debito, dimostrerebbe esattamente il contrario di quanto sostenuto da ABC, ovvero l’esistenza di una sua morosità nel riversamento, alla Regione, di quanto riscosso.

D’altra parte, la violazione dell’art. 2033 c.c. sarebbe vieppiù evidente ove si consideri i carattere personale della azione di ripetizione, esperibile solo nei confronti del destinatario del pagamento che abbia ricevuto la somma (o la cosa) che si assume non dovuta. Difatti, come costantemente suole dirsi, l’azione restitutoria è circoscritta ai rapporti fra “solvens” e “accipiens”, non potendo porsi come legittimato passivo chi abbia tratto vantaggio dalla destinazione che il cd. “accipiens” abbia eventualmente dato alla somma ricevuta.

Il tutto, infine, non senza notare come l’azione di ripetizione dell’indebito, quale azione di nullità per difetto di causa, deve essere esclusa nella presente ipotesi, giacchè le somme versate, per le ragioni già in precedenza illustrate, non possono ritenersi indebite, visto che l’esistenza del depuratore non è mai stata messa in discussione, ma solo il suo efficiente funzionamento.

3.4. Il quarto motivo ipotizza – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), ovvero, subordinatamente, n. 4), violazione e falsa applicazione degli artt. 2033 e 2697 c.c., nonchè degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., per illogica e illegittima inversione dell’onere probatorio e per l’errato utilizzo di presunzioni quali mezzi di prova, nonchè per omesso esame di fatti e documenti, da essa ricorrente forniti, sul regolare funzionamento dell’impianto di depurazione.

Si censura la sentenza impugnata per aver posto a carico della Regione (e di ABC) l’onere di dimostrare l’avvenuto espletamento del servizio di depurazione. Per contro, l’azione di ripetizione dell’indebito presuppone la prova non solo dell’avvenuto pagamento, ma pure della inesistenza (o del venir meno) della “causa debendi”, ponendosi entrambi alla stregua di fatti costitutivi della pretesa restitutoria.

Gli attori, dunque, avrebbero dovuto provare la mancanza o il cattivo funzionamento del depuratore di (OMISSIS), non potendo neppure fare riferimento al “fatto notorio”, dovendo esso intendersi in senso rigoroso, come fatto acquisito alla conoscenza della collettività, con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile.

Nè, d’altra parte, a dimostrare l’inesistenza o il malfunzionamento del depuratore potrebbero ritenersi utili i documenti acquisiti agli atti del giudizio ed in particolare la sentenza penale n. 4351, del 19 marzo 2009, pronunciata dal Tribunale di Napoli, sezione di Pozzuoli, nonchè la perizia espletata nell’ambito del giudizio in cui tale decisione venne pronunciata, documenti che effettivamente attestano l’inefficacia dell’impianto, ma con riferimento ad un periodo anteriore ai fatti di causa, mancando, pertanto prova che il funzionamento del depuratore sia stato interrotto o sospeso, vale a dire che esso sia stato “temporaneamente inattivo”, con riferimento all’intero periodo in contestazione.

3.5. Infine, il quinto motivo ipotizza – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), – violazione e falsa applicazione dell’art. 2946 c.c. e art. 2948 c.c., comma 1, n. 4), in merito alla prescrizione del diritto ad ottenere la restituzione delle somme versate.

Secondo la ricorrente, poichè si controverte non in ordine alla ripetizione di un indebito, ma dell’inadempimento di prestazione del contratto di somministrazione, il termine di prescrizione non può essere quello decennale, bensì quello previsto per i crediti relativi a prestazioni periodiche dall’art. 2948 c.c., comma 1, n. 4).

4. Ha proposto controricorso ABC, per resistere unicamente al terzo motivo di ricorso, aderendo, per il resto, all’impugnazione della Regione, insistendo, pertanto, per il rigetto della domanda di restituzione proposta dalla R..

Assume, infatti, ABC di non essere legittimata passivamente in relazione all’azione esperita dalla R., essendosi solo limitata a riscuotere le somme per conto dell’ente erogatore, il Comune di Napoli (e la Regione Campania, quanto alla quota per la depurazione delle acque, che è il tema che qui interessa), sicchè mai potrebbe essere ritenuta responsabile delle disfunzioni dell’impianto di depurazione. Delle stesse, peraltro, dovrebbe rispondere solo la società Hydrogest, gestore dell’impianto, sicchè ABC – nella denegata ipotesi in cui la sentenza dovesse essere cassata in relazione al terzo motivo di ricorso – evidenzia come il giudice del rinvio dovrebbe senz’altro accogliere la domanda di manleva da essa proposta, e mai abbandonata, nei confronti di detta società.

Sotto altro profilo, poi, il proprio difetto di legittimazione passiva discenderebbe dall’applicazione il principio – affermato da questa Corte – secondo cui, “in caso di ripetizione di indebito oggettivo proposto nei confronti del concessionario del servizio di riscossione, legittimato passivo è, in qualità di effettivo “accipiens”, l’ente impositore del credito e non il procedente alla riscossione”, giacchè quest’ultimo ha agito “quale concessionario per la riscossione sulla base di ruoli formati dall’ente impositore che rimane titolare del credito ed al quale le somme riscosse vanno versate dallo stesso concessionario” (è. citata CaSS. Sez.:3, seni. 19 luglio 2007, n. 13357).

In ogni caso, e su un piano preliminare, la controricorrente rileva il difetto dei presupposti perchè la R. possa far valere la propria pretesa restitutoria.

Invero, in relazione a simili pretese occorrerebbe distinguere l’ipotesi della inesistenza dell’impianto di depurazione da quella della temporanea interruzione del servizio, giacchè solo nel primo caso è prospettabile un indebito oggettivo, visto che nel secondo sarebbe, al più, ipotizzabile una responsabilità di natura contrattuale per inadempimento delle prestazioni afferenti la gestione dell’impianto stesso. In altri termini, sebbene l’attrice abbia fatto riferimento all’art. 2033 c.c., avrebbe, nella sostanza, azionato una responsabilità civile per inadempimento, visto che la ripetizione di indebito è prospettabile solo quando il vincolo contrattuale non sia mai sorto, o sia venuto meno (anche per effetto di caducazione), e non quando, come nella specie, si verta in tema di inesatto adempimento di una prestazione ricompresa nel contratto di somministrazione. Di conseguenza, l’accoglimento della domanda avrebbe richiesto, in uno con la prova del contratto di utenza, l’accertamento dell’inadempimento colpevole del debitore, prova, nella specie, mancante, a dispetto della diversa – errata – valutazione operata dal Tribunale di Napoli, che ha impropriamente richiamato il principio della vicinanza della prova e ha omesso di considerare che, dalla documentazione acquisita al giudizio, emergeva, invece, i regolare funzionamento del depuratore di (OMISSIS).

Il tutto, poi, senza tacere del fatto che il D.L. n. 208 del 2008, art. 8-sexies del convertito in L. n. 13 del 2009, ha stabilito che gli oneri relativi alle attività di progettazione e di realizzazione e completamento degli impianti di depurazione, nonchè quelli relativi ai connessi investimenti, come espressamente individuati e programmati dai piani d’ambito, costituiscono una componente vincolata delle tariffe del servizio idrico, che concorre alla fissazione del corrispettivo dovuto dall’utente. Su tali basi, pertanto, il Ministero delle Finanze ha chiarito che la tariffa per il servizio di fognatura e depurazione è dovuta da tutti coloro che risultano allacciati alla pubblica fognatura, indipendentemente dall’effettivo utilizzo. Ciò detto, in attesa del compimento di tutte quelle attività, demandate al gestore e all’Autorità d’ambito, credito restitutorio avanzato dalla R. risulta privo delle caratteristiche della certezza, liquidità ed esigibilità, donde la non fondatezza della sua pretesa.

5. Ha proposto controricorso anche la R., per resistere all’avversaria impugnazione.

In relazione al supposto difetto di giurisdizione (questione oggetto del primo motivo di ricorso), la controricorrente evidenzia come essa si infranga sulla constatazione che, nel presente caso, è stato ritenuto provata l’inattività dell’impianto, e dunque una delle condizioni individuate dalla giurisprudenza costituzionale per azionare la pretesa alla restituzione.

Inoltre, nessuna inversione dell’onere della prova – come, invece, lamenta il secondo motivo di ricorso – sarebbe stata operata dalla sentenza impugnata, poichè il Tribunale partenopeo ha fatto applicazione del principio della “vicinanza della prova”, enunciato proprio da questa Corte.

Del terzo motivo si deduce, innanzitutto, la inammissibilità quanto al rilievo circa il mancato riversamento, alla Regione, delle somme riscosse da ABC, essendo la controricorrente estranea a loro rapporto e, dunque, impossibilitata a conoscere la circostanza. Per il resto, si evidenzia come la responsabilità di ABC sia stata affermata, correttamente, sulla base del principio secondo cui l’azione ex art. 2033 c.c. va esperita nei confronti del c.d. “accipiens”, mentre il diritto della stessa ad essere manlevata dalla Regione è stato – del pari correttamente – riconosciuto in base alla sua qualità di proprietaria dell’impianto.

Non fondato si presenterebbe, inoltre, il quarto motivo, non solo per le stesse ragioni già evidenziate con riferimento al secondo motivo, ma anche perchè l’inattività del depuratore di (OMISSIS) risulta incontrovertibilmente provata grazie alla documentazione amministrativa, tecnica e penale acquisita agli atti del giudizio.

Nessun dubbio, infine, sussisterebbe in relazione alla disciplina della prescrizione applicabile al diritto azionato, questione oggetto del quinto motivo di ricorso, visto che la domanda attorea concerneva la ripetizione di un indebito, richiamandosi, sul punto, quanto affermato da questa Corte con riferimento all’iniziativa giudiziale tesa a ripristinare l’equilibrio tra le posizioni di due contraenti, in caso di mancato rispetto del vincolo sinallagmatico tra prestazioni, e ciò anche con specifico riferimento ad un contratto di somministrazione.

6. Il Comune di Napoli è rimasto solo intimato.

7. Tutte le parti hanno presentato memoria ex art. 378 c.p.c., insistendo nelle rispettive argomentazioni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

8. Il ricorso va rigettato.

8.1. Il primo motivo non è fondato.

8.1.1. Nessun dubbio sussiste, infatti, in ordine alla giurisdizione del giudice ordinario (e non di quello tributario) in relazione a controversie del tipo di quella oggetto del presente giudizio.

Da tempo, infatti, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che “le controversie relative alla debenza, a partire dal 3 ottobre 2000, del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue spettano alla giurisdizione del giudice ordinario, anche se promosse successivamente al 3 dicembre 2005, data di entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 3-bis, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, art. 1, comma 1, che ha modificato del D.Lgs. n. 31 dicembre 1992, n. 546, l’art. 2, comma 2, secondo periodo, avendo la Corte costituzionale, con sentenza n. 39 del 2010, dichiarato l’illegittimità costituzionale della predetta disposizione, nella parte in cui attribuiva tali controversie alla giurisdizione del giudice tributario, sia in relazione alla disciplina del canone prevista dalla L. 5 gennaio 1994, n. 36, artt. 13 e 14 sia riguardo all’analoga disciplina dettata dal D.Lgs. n. 3 aprile 2006, n. 152, artt. 154 e 155 per le controversie relative alla debenza del canone a partire dal 29 aprile 2006” (così già Cass. Sez. Un., ord. 21 giugno 2010, n. 14902, Rv. 613982-01), e ciò “costituendo i canoni di cui alla L. n. 36 del 1994, art. 14 (abrogato dal D.Lgs. n. 152 del 2006) non un’imposta, ma il corrispettivo di una prestazione commerciale complessa” (Cass. Sez. Un., ord. 7 luglio 2017, n. 16832, Rv. 644916-01). Si è, inoltre, anche precisato che “ai fini del riparto di giurisdizione in materia di servizi pubblici – siano essi dati o meno in concessione – occorre distinguere tra la sfera attinente all’organizzazione del servizio e quella attinente, invece, ai rapporti di utenza”, in relazione alla seconda delle quali la giurisdizione spetta al giudice ordinario (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 19 dicembre 2018, n. 32780, Rv. 652097-01).

8.1.2. Quanto, poi, all’ipotizzato difetto assoluto di giurisdizione, per carenza di situazione soggettiva azionabile, deve rilevarsi come gli utenti del servizio idrico non abbiano dedotto – come assume, invece, la ricorrente – la “insufficienza” dell’impianto di depurazione, bensì la sua “assoluta insufficienza”, ovvero una situazione che è stata ritenuta sovrapponibile a quella della “temporanea inattività”, cui attribuisce rilevo la norma di legge oggetto della declaratoria di illegittimità costituzionale, avanzando, su tale presupposto, la propria pretesa restitutoria.

Tanto basta, dunque, per poter affermare l’esistenza del potere di “ius dicere”, diversamente da quanto assunto dalla ricorrente, e ciò alla stregua del principio secondo cui la “giurisdizione si determina in base alla domanda”, sicchè a tal fine “rileva non già la prospettazione delle parti, bensì i “petitum” sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della “causa petendi”, ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione” (Cass. Sez. Un., ord. 31 luglio 2018, n. 20350, Rv. 650270-01).

8.2. Quanto al secondo motivo, lo stesso risulta in parte non fondato e in parte inammissibile.

8.2.1. Non fondata, per le ragioni già illustrate nello scrutinare il primo motivo di ricorso, è la censura tesa a stigmatizzare il fatto che, nel caso di specie, sarebbe stata dedotta un’evenienza – la “insufficienza” dell’impianto di depurazione – non idonea a legittimare la pretesa restitutoria.

8.2.1.1. Come già rilevato, parte attrice ha dedotto (e il Tribunale ha riscontrato), non la mera “insufficienza”, bensì la “assoluta inefficienza” dell’impianto di depurazione, ovvero una situazione che è stata ritenuta, dal giudice di merito, sovrapponibile a quella della “temporanea inattività”, cui attribuisce rilevi la, norma di legge oggetto della declaratoria di illegittimità costituzionale.

Orbene, fermo quanto si dirà in relazione all’impossibilità ldi sindacare l’apprezzamento delle risultanze istruttorie, in forza del quale il Tribunale partenopeo ha ritenuto provata tale “assoluta inefficienza”, deve osservarsi come, in punto di diritto, la conclusione da esso raggiunta appaia corretta, ciò che esclude la ricorrenza del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Invero, all’esito dell’intervento “caducatorio” della Corte costituzionale, ciò che ha reso indebita la richiesta di pagamento della tariffa per depurazione acque, nell’ambito del contratto di utenza relativo alla fruizione del servizio idrico, è, indifferentemente, la “mancanza” degli impianti di depurazione, ovvero la loro “temporanea inattività”. Un’evenienza, quest’ultima, che nella sua ampia accezione include, evidentemente, non il solo “fermo” volontariamente disposto (qualunque ne sia la ragione), ma, appunto, l’assoluta inefficienza dell’impianto, e quindi la sua inidoneità al funzionamento.

Diversamente opinando, infatti, si perverrebbe ad una conclusione in contrasto con la “ratio” stessa della pronuncia del giudice delle leggi, come già individuata da questa Corte, che è quella di rimarcare il carattere indebito del pagamento “in caso di mancata fruizione, da parte dell’utente, del servizio di depurazione, per fatto a lui non imputabile”, qualunque esso sia, essendo, in tal caso “irragionevole, per mancanza della controprestazione, l’imposizione dell’obbligo del pagamento della quota riferita a detto servizio” (così, in motivazione, Cass. Sez. 5, sent. 18 aprile 2018, n. 9500, Rv. 647829-01).

8.2.1.2. Nè, d’altra parte, il vizio di violazione di legge può ritenersi sussistente con riferimento al D.L. n. 208 del 2008, art. 8-sexies convertito in L. n. 13 del 2009.

Sul punto, occorre muovere dalla constatazione che il suddetto art. 8-sexies (introdotto proprio per disciplinare le conseguenze della sentenza n. 335 del 2008 della Corte costituzionale) reca due diverse disposizioni: al comma 1, stabilisce che, nei casi in cui manchino gli impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi, siano comunque dovuti dall’utente gli oneri relativi alle attività di progettazione e di realizzazione o completamento degli impianti “de quibus”, nonchè quelli relativi ai connessi investimenti, e ciò a partire dall’avvio delle procedure di affidamento delle prestazioni di progettazione o di completamento delle suddette opere; al comma 2, prevede che i gestori del servizio idrico integrato provvedano, a decorrere dal 1 ottobre 2009, ed entro il termine massimo di cinque anni, alla restituzione – anche rateale – della quota di tariffa non dovuta riferita all’esercizio del servizio di depurazione, fatta salva la deduzione degli oneri derivati dalle attività di progettazione, di realizzazione o di completamento già avviate.

Orbene, delle due disposizioni va data un’interpretazione coordinata, e soprattutto conforme a Costituzione, che porta ad escludere – per le ragioni di cui si dirà appena di seguito – che il decorso del quinquennio, a far data dal 1 ottobre 2009, si ponga come condizione di procedibilità della domanda restitutoria, secondo un’opzione ermeneutica fatta propria da una parte della giurisprudenza di merito (e condivisa dal sostituto Procuratore Generale, nelle conclusioni rassegnate in udienza in relazione al presente ricorso), ma, per vero, mai esaminata “ex professo” da questa Corte, pur pronunciatasi su censure che concernevano la questione dell’applicazione intertemporale delle predette disposizioni, ma non anche la loro esatta interpretazione (si vedano, sul punto, Cass. Sez. 3, sent. 4 aprile 2019, n. 9323, Rv. 653274-01; Cass. Sez. 3, sent. 31 marzo 2017, n. 8334, Rv. 643835-01; Cass. Sez. 3, sent. 6 ottobre 2015, n. 19887).

In particolare, assume il Procuratore Generale – eccependo un profilo di improcedibilità della domanda attorea che questa Corte, astrattamente, sarebbe tenuta a rilevare d’ufficio – che l’iniziativa giudiziaria intrapresa dalla R. sarebbe improcedibile, visto che la pretesa restitutoria risulta azionata prima della scadenza del quinquennio, decorrente dal 1 ottobre 2009, entro il quale – a norma del D.L. n. 208 del 2008, suddetto art. 8-sexies, comma 2 convertito in L. n. 13 del 2009 – i gestori del servizio idrico risultano tenuti a provvedervi, anche in forma rateizzata, (eventualmente deducendo gli oneri derivati dalle attività, già avviate, di progettazione, di realizzazione o di completamento delle opere necessarie alla attivazione del servizio di depurazione).

Il rilievo, tuttavia, non è fondato.

Infatti, nel procedere all’ermeneusi di tale norma si deve muovere dalla premessa che, ponendosi l’improcedibilità della domanda “quale conseguenza sanzionatoria di un comportamento procedurale omissivo, derivante dal mancato compimento di un atto espressamente configurato come necessario nella sequenza procedimentale”, la stessa “dev’essere espressamente prevista” (così, in motivazione, Cass. Sez. 2, sent. 8 settembre 2017, n. 20975, Rv. 645551-01). Se è vero, infatti, che “l’art. 24 Cost., laddove tutela il diritto di azione, non comporta l’assoluta immediatezza del suo esperimento, ben potendo la legge imporre oneri finalizzati a salvaguardare “interessi generali”, con le dilazioni conseguenti” (così Corte Cost. n. 276 del 2000), resta, nondimeno, inteso che il rispetto del diritto costituzionale di azione non solo esige che la cd. “giurisdizione condizionata” sia oggetto di un’espressa previsione di legge, ma anche “che le condizioni di procedibilità stabilite dalla legge non possono esser aggravate da una interpretazione che conduca ad estenderne la portata” (così, in motivazione, Cass. Sez. Lav., sent. 21 gennaio 2004, n. 967, Rv. 569540-01).

Tanto premesso, deve, dunque, escludersi la possibilità di interpretare come introduzione di una condizione di procedibilità della domanda restitutoria la previsione (di cui al D.L. n. 208 del 2008, art. 8-sexies, comma 2 convertito in L. n. 13 del 2009) secondo cui i “gestori del servizio idrico integrato provvedono anche in forma rateizzata, entro il termine massimo di cinque anni, a decorrere dal 1 ottobre 2009, alla restituzione della quota di tariffa non dovuta riferita all’esercizio del servizio di depurazione”. La norma va piuttosto interpretata nel senso che i gestori possono dilazionare fino a cinque anni la restituzione, non solo erogando l’importo in forma rateale, ma eventualmente – come è tipico dei contratti di fornitura – “sub specie” di parziale compensazione con l’importo, comunque, dovuto per il complessivo servizio assicurato.

Per contro, ove tale riconosciuta possibilità di dilazione di pagamento tragga origine dalla necessità di dedurre, dal “quantum” del credito restitutorio spettante all’utente, gli oneri – a suo carico derivanti dalle attività, peraltro già avviate, di progettazione, di realizzazione o di completamento dell’impianto (secondo la previsione di cui al precedente comma 1 medesimo art. 8-sexies), si è al cospetto di un’evenienza che, rendendo illiquido tale credito, si pone alla stregua di un fatto impeditivo del diritto azionato dall’utente, fatto, ovviamente, la cui prova è a carico del convenuto, secondo la regola di cui all’art. 2697 c.c., comma 2.

Nella specie, dunque, affinchè la Regione Campania – e con essa, eventualmente, anche l’odierna ricorrente incidentale ABC potessero giovarsi dell’operatività della disposizione summenzionata (applicabile, come già chiarito da questa Corte, anche con effetto “ex tunc”), avrebbero dovuto fornire la prova della ricorrenza dei suoi presupposti.

8.2.2. Ciò detto, inammissibile è, invece, il secondo motivo di ricorso laddove censura la sentenza impugnata perchè avrebbe omesso di valutare “il fatto” decisivo per il giudizio rappresentato, per l’appunto, della distinzione fra inadeguato svolgimento della funzione e inesistenza del servizio. A prescindere, infatti, dal rilievo che la questione è stata esaminata, dirimente – su un piano preliminare – è la constatazione che il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) è ipotizzabile quando l’omissione investa un “fatto vero e proprio” (non una “questione” o un “punto” della sentenza, come nell’ipotesi che occupa) e, quindi, “un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo” (così, in motivazione, Cass. Sez. 5, sent. 8 settembre 2016, n. 17761, Rv. 641174-01; nello stesso senso Cass. Sez. 6-5, ord. 4 ottobre 2017, n. 23238, Rv. 646308-01), vale a dire “un preciso accadimento, ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico” (Cass. Sez. 5, sent. 8 ottobre 2014, n. 21152, Rv. 632989-01; Cass. Sez. Un., sent. 23 marzo 2015, n. 5745, non massimata), “un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto” (cfr. Cass. Sez. 1, ord. 5 marzo 2014, n. 5133, Rv. 62964701).

Infine, nuovamente inammissibile è il presente motivo, laddove risulta teso pure a stigmatizzare l’apprezzamento del materiale istruttorio, essenzialmente di natura documentale, in base al quale il Tribunale di Napoli ha ravvisato, appunto, la assoluta inefficienza del depuratore di (OMISSIS).

Opera, infatti, sul punto il principio secondo cui l’eventuale “cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640194-01; in senso conforme, tra le altre, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 644001-01; Cass. Sez. 3, ord. 30 ottobre 2018, n. 27458).

8.3. Il terzo motivo di ricorso – che censura la decisione del giudice di appello di accogliere la domanda con cui ABC chiedeva Gli essere tenuta indenne dalla pretesa restitutoria azionata dalla R. – non è fondato, anche se la motivazione della sentenza impugnata va corretta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c..

8.3.1. Sul punto, per vero, occorre muovere dalla constatazione che “la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione, in quanto componente della complessiva tariffa del servizio idrico integrato, ne ripete necessariamente la natura di corrispettivo contrattuale, il cui ammontare è inserito automaticamente nel contratto”, di talchè, ove il servizio di depurazione non sia stato fornito, ma quella quota di tariffa sia stata versata, è nei confronti della controparte del contratto di utenza che la pretesa restitutoria va azionata, in quanto è alla “effettiva fruizione del servizio di depurazione” che, “per la rilevata natura sinallagmatica del rapporto”, risulta “condizionato l’accoglimento della pretesa di pagamento” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 4 giugno 2013, n. 14042, Rv. 626790-01).

Da ciò deriva che la titolarità di ABC – dal lato passivo – del rapporto controverso, in relazione alla pretesa restitutoria avanzata dalla R., trova il suo fondamento nella posizione di parte negoziale del contratto di utenza, ciò che, peraltro, fino al riconoscimento della non debenza della quota della tariffa relativa alla depurazione acque (per effetto dell’intervento caducatorio del Giudice delle leggi), aveva legittimato la predetta azienda del Comune di Napoli a pretendere la riscossione dell’intero corrispettivo per il servizio complessivamente erogato.

Tale rilievo, tuttavia, non giova alla ricorrente Regione Campania, visto che l’impugnata sentenza del Tribunale di Napoli individua nella stessa la “proprietaria dell’impianto”, nonchè il soggetto deputato “a svolgere il servizio di depurazione” (sebbene la sua gestione, in concreto, fosse stata affidata alla società Hydrogest). Di conseguenza, la concorrente responsabilità della Regione si giustifica, ai sensi dell’art. 2043 c.c., nella forma – non sconosciuta al nostro ordinamento, nè alla giurisprudenza di questa Corte – della “cooperazione del terzo nell’inadempimento” realizzato da ABC (per un’applicazione recente, sebbene con riferimento a tutt’altra fattispecie, cfr. Cass. Sez. 2, sent. 7 ottobre 2016, n. 20251, Rv. 641719-01).

Di qui, pertanto, il rigetto del terzo motivo di ricorso, attesa anche l’impossibilità di sindacare in questa sede – trattandosi di profilo di merito, il cui esame è precluso a questa Corte – la circostanza fattuale relativa all’impossibilità per la Regione, come essa assume, di “restituire quanto non ricevuto”.

8.4. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.

8.4.1. Al riguardo, va premesso che la sola censura astrattamente rilevante – per le ragioni di seguito meglio illustrate – è quella relativa alla violazione dell’art. 2697 c.c., ovvero all’inversione dell’onere della prova, sebbene la censura risulti, comunque, inammissibile.

Sul punto, deve muoversi dalla constatazione che, configurandosi “la tariffa del servizio idrico integrato, in tutte e sue componenti, come il corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, è il soggetto esercente detto servizio, il quale pretenda il pagamento anche degli oneri relativi al servizio di depurazione delle acque reflue domestiche, ad essere tenuto a dimostrare l’esistenza di un impianto di depurazione funzionante nel periodo oggetto della fatturazione, in relazione al quale esso pretenda la riscossione” (Cass. Sez. 3, sent. n. 14042 del 2013, cit.).

Tuttavia, tale rilievo, se appare idoneo a regolare la distribuzione dell’onere della prova con riferimento alla pretesa azionata dalla R. nei confronti della “parte” – inadempiente – del contratto di utenza (nella specie ABC), non risulta, invece, adeguata al medesimo scopo, in relazione all’iniziativa assunta nei confronti della Regione, una volta che se ne affermi la responsabilità ex art. 2043 c.c. pure nella forma della “cooperazione nell’inadempimento”.

Infatti, ipotizzando la responsabilità della Regione in termini aquiliani (in quanto titolare dell’impianto), l’onere di dimostrare il fatto costitutivo della pretesa – il non funzionamento dello stesso grava su chi azioni la pretesa, e ciò anche nell’ipotesi in cui tale responsabilità ex art. 2043 c.c. venga “declinata” in chiave di cooperazione nell’inadempimento.

Nondimeno, poichè il Tribunale di Napoli, a prescindere dall’individuazione del soggetto onerato dal provarlo, ha ritenuto, comunque, dimostrato il non funzionamento – nel senso sopra chiarito di “assoluta inefficienza” dello stesso – dell’impianto di depurazione (come conferma, del resto, il fatto che il presente motivo censura anche la valutazione della documentazione in atti, dalla quale è stata tratta siffatta conclusione), la questione della violazione dell’art. 2697 c.c. resta, per così dire, su un piano astratto, donde la sua inammissibilità.

8.4.1.2. Il medesimo esito si impone con riferimento alle restanti censure formulate con il presente motivo.

La sentenza impugnata non reca alcun riferimento all’istituto del “fatto notorio”, donde l’applicazione, nel presente giudizio, del principio secondo cui la “proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al “decisum” della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4), con conseguente inammissibilità del ricorso”, sul punto, “rilevabile anche d’ufficio” (Cass. Sez. 6-1., ord. 7 settembre 2017, n. 20910, Rv. 645744-01).

Quanto, poi, al lamentato erroneo apprezzamento della documentazione in atti, va qui dato ulteriore seguito al principio già richiamato (cfr. p. 8.2.2.) e secondo cui l’eventuale cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione.

8.5. Infine, il sesto motivo di ricorso principale non è fondato.

8.5.1. Esso, come visto, attiene al termine di prescrizione (o meglio, alla disciplina della prescrizione) applicabile al caso di specie.

Orbene, se – come si è detto – la pretesa restitutoria azionata trova titolo nella mancata esecuzione di una prestazione nascente dal contratto di utenza, con tale rilievo non è in contrasto l’applicazione de termine prescrizionale (decennale) previsto per la ripetizione dell’indebito, in luogo di quello – più breve – fissato per i crediti relativi a prestazioni periodiche dall’art. 2948 c.c., comma 1, n. 4).

Si consideri, infatti, che questa Corte ha più volte affermato che “l’indebito oggettivo si verifica o perchè manca la causa originaria giustificativa del pagamento (“conditio indebiti sine causa”) o perchè la causa del rapporto originariamente esistente è poi venuta meno in virtù di eventi successivi che hanno messo nel nulla o reso inefficace il rapporto medesimo (“conditio ob causam finitam”)”, e ciò secondo una “distinzione che risale al diritto romano”, e che “è ripresa dalla dottrina italiana, sulla base del nuovo testo dell’art. 2033 c.c. nel quale è stato trasfuso l’art. 1327 codice abrogato (1865) che stabiliva il principio della inefficacia degli atti privi di una “causa solvendi”” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 1 luglio 2005, n. 14084, Rv. 582690-01; in senso analogo già Cass. Sez. 3, sent. 20 dicembre 1974, n. 4378, Rv. 373059-01 e Cass. Sez. 3, sent. 22 settembre 1979, n. 4889, Rv. 401528-01).

Nondimeno, se l’ipotesi della “conditio ob causam finitam” è ravvisabile, di regola, quando il credito risulti “venuto meno successivamente a seguito di annullamento, rescissione o inefficacia connessa ad una condizione risolutiva avveratasi” (Cass. Sez. 3, sent. 28 maggio 2013, n. 13207, Rv. 626695), a tali evenienze va equiparata quella verificatasi nel caso che occupa, ovvero la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma disciplinante la quota di tariffa, del corrispettivo previsto per il servizio idrico, destinata a remunerare il servizio di depurazione, giacchè è essa ad aver reso “indebito”, addirittura con effetto “ex tunc”, tale pagamento.

Il tutto, peraltro, senza tacere del fatto che la prescrizione breve di cui all’art. 2948 c.c., comma 1, n. 4), si applica solo alle azioni volte ad ottenere il pagamento, in esecuzione di contratti di durata, di somme che presentino il carattere della periodicità, e non – come nella specie – di un importo dovuta a titolo di restituzione in Unica soluzione. La previsione suddetta, infatti, “riguarda prestazioni che maturano con il decorso del tempo e che, pertanto, divengono esigibili solo alle scadenze convenute, giacchè costituiscono il corrispettivo della controprestazione resa per i periodi ai quali i singoli pagamenti si riferiscono”, con la conseguenza che “detta prescrizione si giustifica, quindi, sia in ragione della continuità del rapporto che richiede e consente un accertamento in tempi relativamente brevi dell’avvenuta esecuzione delle singole prestazioni, sia perchè l’eventuale prescrizione di una singola prestazione non pregiudica il diritto all’adempimento delle rimanenti, per le quali la prescrizione non sia compiuta” (Cass. Sez. 3, sent. 30 gennaio 2008, n. 2086, Rv. 601285-01).

Nè, d’altra parte, l’esito del rigetto del motivo è contraddetto dalla ricostruzione della responsabilità della Regione in termini di cooperazione nell’inadempimento, e dunque fondata sull’art. 2043 c.c.

Sul punto vale il rilievo che la ricorrente avrebbe dovuto lamentare, in questa sede, la violazione dell’art. 2947 c.c., comma 1, nonchè, soprattutto, dedurre, nel giudizio di merito (accertamento precluso in questa sede), quale sia stato il momento in cui la prescrizione ha incominciato a decorrere con la prima manifestazione del danno, essendo quello ipotizzabile nel presente caso un illecito istantaneo con effetti permanenti, come tale “caratterizzato da un’azione che si esaurisce in un lasso di tempo definito, lasciando permanere i suoi effetti”. Di conseguenza, “la prescrizione incomincia a decorrere con la prima manifestazione del danno, mentre, nel caso di illecito permanente, protraendosi la verificazione dell’evento in ogni momento della durata del danno e della condotta che lo produce, la prescrizione ricomincia a decorrere ogni giorno successivo a quello in cui i danno si è manifestato per la prima volta, fino alla cessazione della predetta condotta dannosa, sicchè il diritto al risarcimento sorge in modo continuo via via che il danno si produce, ed in modo continuo si prescrive se non esercitato entro cinque anni dal momento in cui si verifica” (così Cass. Sez. Un., sent. 24 novembre 2011, n. 23763, Rv. 619392-01; in senso conforme Cass. Sez. 3, sent. 28 maggio 2013, n. 13201, Rv. 62669601; Cass. Sez. Lav., sent. 16 aprile 2018, n. 9318, P.v. 64872.5-01).

8.6. In conclusione, il ricorso va rigettato.

9. Quanto alle spese del presente giudizio, le stesse seguono la soccombenza – da ipotizzarsi sia verso la R. che ABC (in particolare, in relazione a quest’ultima, in ragione del rigetto del terzo motivo di ricorso) – e vanno liquidate come da dispositivo.

10. A carico della ricorrente, stante il rigetto dell’impugnazione, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso è, per l’effetto, condanna la Regione Campania a rifondere le spese del presente giudizio all’Azienda Speciale A.B.C.-Acqua Bene Comune Napoli e a R.S., liquidandole, per ciascuna di esse, in complessivi Euro 2.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, più spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, all’esito di pubblica udienza della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 16 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2020

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