Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3314 del 05/02/2019

Cassazione civile sez. lav., 05/02/2019, (ud. 28/11/2018, dep. 05/02/2019), n.3314

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18386/2013 proposto da:

PROVINCIA DI SASSARI, P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEI GRACCHI 56, presso lo studio dell’avvocato MARIO CERVONE,

rappresentata e difesa dagli avvocati MARCELLO BAZZONI, PINA

ZAPPETTO;

– ricorrente –

contro

G.M.R., PROVINCIA TEMPIO OLBIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 144/2013 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI

SEZIONE DISTACCATA di SASSARI, depositata il 16/04/2013 r.g.n.

276/2012.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. la Corte di Appello di Cagliari, in parziale accoglimento dell’appello proposto da G.M.R. nei confronti della sentenza del Tribunale di Tempio Pausania e in parziale riforma di quest’ultima, ha condannato in solido la Provincia di Olbia-Tempio e la Provincia di Sassari al versamento dei contributi previdenziali “da determinarsi sulle somme corrisposte in favore dell’appellante”;

2. la Corte territoriale, per quanto oggi rileva, ha ritenuto che l’attività lavorativa svolta dalla appellante presso il Centro dell’impiego di Olbia, prima della Provincia di Sassari, poi della neo istituita Provincia di Olbia, attività qualificata dalla P.A. in termini di lavoro a progetto, si era atteggiata nel concreto secondo lo schema della subordinazione; ha rilevato che dalla istruttoria era emerso che la appellante aveva osservato i medesimi orari di lavoro imposti agli altri lavoratori del Centro, anche quanto al previsto rientro pomeridiano, era stata assoggettata al potere organizzativo del collega anziano “che rappresentava il datore di lavoro ed era organicamente inserito nell’organizzazione aziendale”;

3. la Corte territoriale ha anche accertato che la appellante aveva svolto la medesima attività lavorativa espletata dai dipendenti del Centro, la cui prestazione era interscambiabile con quella svolta dalla appellante, e ha evidenziato che i compiti espletati da quest’ultima, finalizzati alla erogazione dei servizi propri del Centro, non erano diversi per contenuto e per modalità di svolgimento da quelle proprie degli altri lavoratori che prestavano servizio alle dipendenze del Centro e non postulavano competenze e professionalità peculiari e diverse rispetto a quelle esistenti nell’organico;

4. la Corte territoriale, rilevato che la lavoratrice, in sede di gravame, aveva rinunciato alla domanda volta all’accertamento della conversione dei rapporti di lavoro a progetto in un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e richiamato l’art. 2126 c.c., ha accolto la domanda volta alla condanna degli Enti al versamento dei contributi previdenziali nella misura corrispondente ai compensi erogati, sul rilievo che i contributi sono dovuti in ragione dell’accertato svolgimento dell’attività di lavoro subordinato e che mancavano allegazioni idonee a ricostruire l’entità delle retribuzioni rivendicate come spettanti;

5. avverso questa sentenza la Provincia di Sassari ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi; G.M.R. e la Provincia di Tempio-Olbia sono rimaste intimate.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Sintesi dei motivi:

6. Con il primo ed il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione ed errata applicazione “delle norme di diritto” e dell’art. 116, comma 1, e/o dell’art. 132 c.p.c., e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza;

7. la ricorrente imputa alla Corte territoriale di non avere tenuto conto della particolare disciplina del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa e di avere errato nell’applicare al rapporto dedotto in giudizio l’art. 2222 c.c., l’art. 409 c.p.c., n. 3, il D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 7, comma 6, i contratti collettivi, la normativa relativa alla contabilità e alla stipula dei contratti e nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 47, lett. c bis; sostiene che gli elementi indiziari valorizzati dalla Corte territoriale non sono sufficienti a sussumere il rapporto di lavoro dedotto in giudizio entro lo schema della subordinazione, perchè ha rilievo l’elemento dell’assoggettamento del prestatore di lavoro al potere direttivo organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, elementi questi che la Corte territoriale avrebbe trascurato di considerare; la ricorrente assume che tali censure dovrebbero essere apprezzate anche sotto il profilo della violazione dell’art. 116 c.p.c., e dell’art. 132 c.p.c., e assume che la motivazione è inidonea a sorreggere il “decisum”;

8. Con il terzo e il quarto motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, artt. 112 e 115 c.p.c., e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza; sostiene che la sentenza è contraddittoria nella parte in cui, a fronte della accertata infondatezza della domanda volta alla condanna al pagamento delle differenze retributive, la Corte territoriale ha, nondimeno, condannato essa ricorrente al versamento dei contributi previdenziali; imputa alla Corte territoriale di avere sopperito alle lacunose allegazioni della lavoratrice e di avere violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato nella parte in cui ha pronunciato la condanna al versamento dei contributi previdenziali da determinarsi sulle somme corrisposte all’appellante; deduce che i vizi denunciati integrano anche il vizio di nullità della sentenza; asserisce che la Corte territoriale avrebbe dovuto tenere conto che nel caso di collaborazione coordinata è sempre presente e connaturata una forma di contribuzione da parte del committente, nella specie pacificamente versata;

Esame dei motivi.

9. sono infondate le censure (primo motivo) che, addebitando alla sentenza la violazione delle disposizioni nell’art. 2222 c.c. e sgg., l’art. 409 c.p.c., n. 3, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 7, il D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 110, comma 6, e le disposizioni contenute nella contrattazione collettiva e quelle relative alla contabilità ed alla stipulazione dei contratti e il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 47, lett. c bis, deducono in sostanza l’erronea sussunzione entro lo schema della subordinazione della prestazione dedotta in giudizio e definita nel contratto come collaborazione autonoma;

10. questa Corte ha reiteratamente affermato che “ai fini della qualificabilità come rapporto di pubblico impiego di un rapporto di lavoro prestato alle dipendenze di un ente pubblico non economico, rileva che il dipendente risulti effettivamente inserito nella organizzazione pubblicistica ed adibito ad un servizio rientrante nei fini istituzionali dell’ente pubblico, non rilevando in senso contrario l’assenza di un atto formale di nomina, nè che si tratti di un rapporto a termine, e neppure che il rapporto sia affetto da nullità per violazione delle norme imperative sul divieto di nuove assunzioni” (Cass. 28161/2018, 17101/2017, 1639/2012, 12749/2008, 20009/2005);

11. è stato anche affermato che la sussistenza dell’elemento della subordinazione nell’ambito di un contratto di lavoro va correttamente individuata sulla base di una serie di indici sintomatici, comprovati dalle risultanze istruttorie, quali la collaborazione, la continuità della prestazione lavorativa e l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale, da valutarsi criticamente e complessivamente, con un accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità (Cass. 28162/2018, 14434/2015);

12. ai principi di diritto innanzi richiamati, condivisi dal Collegio, si è correttamente attenuta la Corte territoriale la quale, oltre a valorizzare l’assenza dei presupposti richiesti dall’art. 7 del d.lgs. n. 165/2001 (professionalità e competenze non esistenti in organico, cfr. punto 3 di questa sentenza), ha affermato la natura subordinata del rapporto dopo avere esaminato le modalità di svolgimento dello stesso e avere escluso qualsiasi margine di autonomia del prestatore;

13. il giudice d’appello ha evidenziato che le risultanze di causa consentivano di ritenere provati: l’inserimento della lavoratrice nell’organizzazione del Centro e la soggezione della medesima al potere organizzativo del collega “anziano” dipendente del Centro stesso, l’adibizione della appellante a mansioni rientranti nei compiti istituzionali del Centro, la predeterminazione dell’orario di lavoro, il vincolo di soggezione al potere organizzativo e gerarchico e che l’attività qualificata “a progetto” per la realizzazione di “attività innovative” era stata eterodiretta nei tempi e nei modi e aveva avuto ad oggetto prestazioni lavorative non diverse per contenuto e modalità di svolgimento da quelle proprie degli altri lavoratori che prestavano servizio presso il Centro;

14. il giudizio di merito compiutamente espresso dalla Corte territoriale non è sindacabile in questa sede attesa l’infondatezza delle censure con le quali è dedotta la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.;

15. l’art. 116 c.p.c. (la cui violazione è dedotta nel primo motivo) lascia il giudice del merito libero di scegliere le risultanze istruttorie ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti in discussione, e di dare liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla (ex plurimis Cass. SS.UU. 5802 /1998 e 24148/2013; Cass. 1892/2002, 15355/2004, 1014/2006, 18119/2008);

16. nel caso in esame la ricorrente non ha chiarito a quale risultanza probatoria la Corte territoriale abbia attribuito valore diverso da quello attribuito dall’ordinamento, e in quali termini e perchè la regola del prudente apprezzamento sia stata violata;

17. quanto alla dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c. (terzo motivo), va osservato che non è risultato in alcun modo contestato che la Corte territoriale abbia fondato la sua decisione sul materiale probatorio acquisito nel corso del giudizio, nei termini offerti dalle parti;

18. le censure che denunciano nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (secondo e quarto motivo) sono infondate;

19. le Sezioni unite di questa Corte nelle sentenze n. 8053 e n.8054 del 2014, hanno affermato che l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un “error in procedendo” che comporta la nullità della sentenza solo nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”;

20. questa Corte ha anche precisato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass. SS.UU. n. 22232 del 2016);

21. queste evenienze non si riscontrano nella sentenza impugnata perchè, come già innanzi evidenziato (punti 2, 3, 4, 12 e 13 di questa sentenza), la Corte territoriale ha spiegato, in maniera niente affatto perplessa e apparente le ragioni per le quali l’attività demandata alla lavoratrice doveva essere qualificata come subordinata;

22. la Corte territoriale ha, in maniera altrettanto chiara e lineare, spiegato che l’obbligo di versamento della contribuzione previdenziale ed assistenziale discende dall’art. 2126 c.c., in conseguenza dell’avvenuto svolgimento alle dipendenze della PA di un rapporto di lavoro che si era connotato di fatto in termini di subordinazione e non di autonomia;

23. la statuizione di condanna della odierna ricorrente al versamento dei contributi previdenziali, parametrati ai compensi percepiti dalla lavoratrice, non è in contraddizione con la affermata infondatezza della pretesa relativa alle differenze retributive, posto che l’assenza di allegazioni idonee a ricostruire le retribuzioni spettanti in ragione dello svolgimento di attività di lavoro subordinato alle dipendenze della P.A., non esclude affatto che la contribuzione doveva essere corrisposta, quanto meno, in relazione alla entità dei compensi effettivamente percepiti;

24. è infondata la censura (secondo motivo) che addebita alla sentenza vizio di nullità per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato atteso che non è in discussione che la domanda di versamento dei contributi previdenziali, correlata allo svolgimento del rapporto di lavoro subordinato, fosse stata azionata dalla lavoratrice, come si desume dallo stesso ricorso (pg. 8), senza che rilevi che, per la quantificazione, la Corte territoriale, respinta la domanda al pagamento delle differenze retributive, come già detto, abbia parametrato detta domanda ai compensi effettivamente percepiti dalla lavoratrice;

25. è, in conseguenza, infondata anche la censura che addebita alla sentenza la violazione della regola del contraddittorio, nemmeno chiarita nella sua portata, perchè, come innanzi evidenziato, la Corte territoriale ha pronunziato su domanda che apparteneva al “thema decidendum”;

26. sono infondate le censure che addebitano alla sentenza la violazione delle disposizioni che disciplinano il regime contributivo previdenziale ed assistenziale proprio delle collaborazioni autonome (terzo motivo);

27. la ricorrente non si confronta con la “ratio” che sorregge la sentenza impugnata la quale, come già evidenziato, ha fondato il “decisum” della statuizione condanna al pagamento delle contribuzioni previdenziali, sul fatto che il rapporto di lavoro dedotto in giudizio, al di là della sua formale qualificazione, si era atteggiato in termini di subordinazione;

28. va osservato che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi ripetutamente affermati da questa Corte con riguardo all’art. 2126 c.c., e alle ipotesi di nullità di rapporto di lavoro costituito in violazione delle disposizioni che regolano le assunzioni alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni (Cass. SSUU 8519/2012, 26829/2009; Cass. 22669/2016, 22485/2016, 24120/2016, 7680/2014, 1639/2012, 12749/2008, 18276/2006,20009/2005, 10376/2001);

29. sono inammissibili le deduzioni (secondo motivo) correlate all’asserito adempimento dell’obbligo di versamento della contribuzione, trattandosi di questione nuova – involgente anche nuovi accertamenti di fatto – sulla quale manca in ricorso qualsiasi indicazione specifica in ordine all’avvenuta deduzione davanti ai giudici di merito (Cass. 167/2017, 22934/2016, 23045/2015, 5070/2009, 20518/2008, 4391/2007, 25546/2006, 14599/2005);

30. sulla scorta delle considerazioni svolte il ricorso va respinto;

31. non occorre pronunciare sulle spese del giudizio di legittimità in quanto tutte le parti resistenti sono rimaste intimate;

32. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 28 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2019

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