Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33135 del 16/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 16/12/2019, (ud. 26/09/2019, dep. 16/12/2019), n.33135

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11146-2014 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

CHERUBINA CIRIELLO, ELISABETTA LANZETTA, FRANCESCA FERRAZZOLI,

GIUSEPPINA GIANNICO, SEBASTIANO CARUSO;

– ricorrente –

contro

A.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SALLUZZO 36,

presso lo studio dell’avvocato MARIANNA CONTALDO, rappresentata e

difesa dall’avvocato ALFREDO CAGGIULA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3782/2013 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 29/10/2013 R.C.N. 2247/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/09/2019 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato SEBASTIANO CARUSO;

udito l’Avvocato MARIA LAVIENZI per delega verbale Avvocato MARIANNA

CONTALDO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di Lecce, con la sentenza n. 3732 del 2013, ha rigettato l’impugnazione proposta dall’INPS nei confronti di A.A. avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Lecce.

La A. aveva adito il Tribunale premettendo dl essere dipendente dell’INPS dal 26 novembre 2002 con inquadramento nell’area amministrativa B, posizione economica B1, in servizio presso la sede di (OMISSIS); di aver svolto sempre incarichi e/o mansioni corrispondenti alla superiore area funzionale posizione economica C1, in particolare assegnata all’Area Direzione-Risorse Umane per svolgere adempimenti relativi alla gestione del rapporto di lavoro del personale addetto alla sede di (OMISSIS).

Chiedeva, pertanto, il riconoscimento in proprio favore delle differenze economiche tra quanto percepito e quanto spettante in conseguenza dello svolgimento delle mansioni superiori riconducibili all’area funzionale C, posizione economica C1, con decorrenza dal 26 novembre 2001, con la conseguente condanna dell’INPS al pagamento di quanto così dovuto.

2. Il Tribunale accoglieva la domanda per quanto di ragione, dichiarando che la lavoratrice era stata adibita a mansioni corrispondenti all’area C, posizione economica C1, per il periodo 16 settembre 2004 -31 dicembre 2009, con condanna dell’INPS al pagamento delle relative differenze retributive, oltre interessi legali e rivalutazione.

3. La Corte d’Appello confermava l’intervenuto svolgimento delle mansioni superiori area C, ponendo in evidenza come il discrimine tra la posizione di appartenenza e quella rivendicata risiede nella competenza, di base o acquisita, nell’occuparsi rispettivamente di una fase o dell’intero processo produttivo.

Affermava, altresì, che alla lavoratrice era dovuta anche l’indennità di ente relativa alla posizione economica C1.

4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre l’INPS prospettando due motivi di impugnazione.

5. Resiste con controricorso la lavoratrice.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 26 del CCNL 2002-2005; violazione e falsa applicazione dell’art. 6 dell’Accordo quadro in materia di mansioni superiori del 22 ottobre 2001; violazione e falsa applicazione dell’art. 24 del CCNL 1998-2001; violazione e falsa applicazione dell’art. 36 Cost.. Tutte le censure in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

E’ censurata la statuizione che ha riconosciuto alla lavoratrice anche l’indennità di ente relativa allo svolgimento di manzioni afferenti al superiore profilo C1.

Il ricorrente richiama l’art. 26 del CCNL enti pubblici non economici 2002- 2005, che disciplina l’indennità di ente.

Ripercorre, quindi, il contenuto dell’art. 24 del CCNL 1998-2001 e dell’art. 6 dell’Accordo quadro in materia di mansioni superiori del 22 ottobre 2001, da cui emergerebbe che alla lavoratrice andava attribuita la differenza delle sole voci retributive “stipendio tabellare” e “indennità integrativa specialè, ma non anche l’indennità di ente, che costituisce trattamento meramente accessorio, connesso al formale inquadramento del dipendente.

Rileva, altresì, che il principio d adeguatezza della retribuzione di cui all’art. 36 Cost., deve essere bilanciato con quelli espressi dagli artt. 97 e 98 Cost., secondo cui il rapporto di pubblico impiego deve rispettare l’esigenza di conservare un assetto della pubblica amministrazione rigido e trasparente.

1.1. Il motivo non è fondato.

L’indennità di Ente della quale si controverte è stata introdotta con l’art. 26 del CCNL per il personale del comparto enti pubblici non economici, per il quadriennio normativo 2002-2005 e il biennio economico 2002-2003, sottoscritto il 9 ottobre 2003 (Cass., n. 16019 del 2018).

Il suddetto art. 26, al comma 2, sancisce: “L’indennità di ente ha carattere di generalità e natura fissa e ricorrente. Essa viene corrisposta per dodici mensilità”.

Tale indennità, quindi, secondo la previsione con:rat:uale costituisce compenso retributivo fisso e continuativo nell’erogazione.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare (v. Cass., n. 6768 del 2016), non osta al carattere fisso e continuativo che l’elemento retributivo sia attribuito in relazione allo svolgimento di determinate funzioni o mansioni, anche se queste, e la relativa indennità, possano in futuro venire meno, mentre non può ritenersi fisso e continuativo un compenso la cui erogazione sia collegata ad eventi specifici di durata predeterminata oppure sia condizionata al raggiungimento di taluni risultati e quindi sia intrinsecamente incerto.

Tale ultima evenienza non si rinviene nella fattispecie in esame, in cui correttamente, in ragione del carattere fisso e continuativo dell’indennità di ente quale elemento della retribuzione, la Corte d’Appello ne ha riconosciuto l’attribuzione alla lavoratrice nel computo delle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori.

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 del CCNL 1998/2001, e dell’art. 9 del CCNL 2006/2009. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., con riferimento alla interpretazione delle declaratorie contrattuali delle Aree. Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56 come succ. n-iod., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 Omesso esame circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Espone il ricorrente che la fattispecie in esame era disciplinata da due contratti collettivi, come succedutisi nel tempo.

Per il periodo dal settembre 2004 al settembre 2007, doveva trovare applicazione l’art. 24 del CCNL 1998/2001; per il periodo dall’ottobre 2007 al dicembre 2009 doveva trovare applicazione l’art. 9 de CCNL 2006/2009.

Dall’esame delle suddette declaratorie, emergeva che per il periodo 2004/2007 vi era stata violazione del quadro negoziale di riferimento atteso che si era riconosciuto lo svolgimento delle mansioni superiori Cl senza tener conto che la lavoratrice apparteneva all’area B, e pertanto in base all’art. 24 del CCNL di riferimento, poteva aspirare solo alle differenze retributive in ragione del passaggio da un profilo all’altro nell’Area di appartenenza.

2.2. Il motivo non è fondato.

Con giurisprudenza consolidata (Cass., n. 28112 del 2019, n. 12193 del 2011, n. 18808 del 2013, 24266 del 2016, 2102 del 2019), dalla quale non vi è ragione di discostarsi, non fornendo il ricorrente elementi per mutare orientamento, questa Corte ha affermato che in materia di pubblico impiego contrattualizzato, lo svolgimento di fatto di mansioni proprie di una qualifica – anche non immediatamente – superiore a quella di inquadramento formale comporta in ogni caso, in forza del disposto del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 52, comma 5, il diritto alla retribuzione propria di detta qualifica superiore – e tale diritto non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, nè all’operativa del nuovo sistema di classificazione del personale introdotto dalla contrattazione collettiva, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 Cost.

Pertanto, deve essere disattesa la deduzione del ricorrente che sollecita una interpretazione della disciplina delle mansioni superiori di fatte (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 5) che limiti il riconoscimento delle differenze retributive al solo svolgimento delle mansioni immediatamente superiori, facendo riferimento alla relativa nozione introdotta dall’art. 24 del CCNL enti pubblic non economici 1998/2001, in quanto ciò contrasterebbe, anche nell’ambito de rapporto di impiego pubblico privatizzato e nel rispetto dei principi di cui agli artt. 97 e 98 Cost. che lo sottendono, con l’art. 36 Cost.

3. Il ricorso deve essere rigettato.

4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 4.500,00, per compensi professionali, Euro 200,00, per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019

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