Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3312 del 12/02/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 3312 Anno 2018
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: TRICOMI IRENE

ORDINANZA

sul ricorso 20162-2012 proposto da:
ASSESSORATO REGIONALE AI LAVORI PUBBLICI DELLA
REGIONE SICILIANA, in persona del legale
rappresentante pro tempore, in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa
dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui
Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI N.
12;
– ricorrente –

2017
3764

contro

CANDELA CRISTOFORO, ARINI FRANCESCO, MALATO GIUSEPPE,
SARDINA GAETANO, CRUCIATA ANTONINO, RIPARI GIACOMO,
VENTURA GIOVANNI, MIRRIONE PIETRO, PELLEGRINO PIETRO,

Data pubblicazione: 12/02/2018

ROMAGNOLI

MARIA

CONCETTA

PATRIZIA,

tutti

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA COLA DI RIENZO
285, presso lo studio dell’avvocato FABIO BASILI,
rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONINO
GAMBINO, giusta delega in atti;

avverso la sentenza n. 714/2012 della CORTE D’APPELLO
di PALERMO, depositata il 20/06/2012 R.G.N.
1364/2009+ altre.

– controricorrenti

R.G. n. 20162 del 2012

RILEVATO
1. che la Corte d’Appello di Palermo, con la sentenza di cui in epigrafe,
confermava le sentenze emesse dal Tribunale di Palermo con le quali erano
state rigettate le opposizioni proposte dall’Assessorato regionale ai lavori
pubblici della Regione siciliana nei confronti dei controricorrenti in epigrafe,
avverso i decreti ingiuntivi con i quali gli era stato intimato il pagamento in
favore dei suddetti lavoratori, componenti della segreteria

tecnico-

amministrativa della Sezione centrale e delle Se-zioni periferiche dell’Ufficio
regionale pér l’espletamento delle gare di appalto, di importi loro dovuti a
titolo di trattamento retributivo accessorio per il periodo 21 settembre 2005 31 marzo 2007, sulla base della deliberazione n. 178 del 6 aprile 2006 della
Giunta regionale siciliana.
2. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre
l’Assessorato regionale ai lavori pubblici della Regione siciliana.
3. Resistono con controricorso i lavoratori.
CONSIDERATO
1. che con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa
applicazione dell’art. 414, n. 5, cod. proc. civ., e dell’art. 415, primo comma,
cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.
È censurata, in quanto si adduce la tempestività della richiesta, la
statuizione del carattere tardivo della richiesta di produzione da parte
dell’Assessorato della copia dell’Accordo sindacale con il quale si riduceva
sensibilmente il compenso preteso dai lavoratori mediante i ricorsi per decreto
ingiuntivo. La ratifica di tale accolto era intervenuta tra la parte datoriale e
quella sindacale nel corso del giudizio di primo grado in data 25 maggio
2007.
2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa
applicazione dell’art. 437, secondo comma, cod. proc. civ., in relazione all’art.
360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. Nullità della sentenza ex art. 112 cod.
proc. civ., per omessa pronuncia su una questione sollevata dalle parti, in
relazione all’art. 360, primo comma, cod. proc. civ. Omessa motivazione circa
un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 5, cod. proc. civ.
La sentenza di appello ometteva di pronunciarsi sulla istanza, proposta
in via subordinata, di acquisizione del documento ex art. 437 cod. proc. civ.,
in ragione del rilievo dello stesso ai fini della decisione della controversia.
3. I suddetti motivi sono inammissibili.
1

R.G. n. 20162 del 2012

3.1. Il primo motivo,

in ragione della mancata riproduzione nello

stesso del contenuto dell’accordo sindacale della cui mancata acquisizione ci si
duole, con specifico riguardo alla diversa quantificazione che sarebbe stata
prevista dallo stesso, dedotta nel corso del motivo in modo generico, non
evidenzia il carattere decisivo dello stesso (intesa la decisività come idoneità
del vizio denunciato, ove riconosciuto, a determinare senz’altro una diversa
ricostruzione del fatto, non come idoneità a determinare la mera possibilità o

probabilità di una ricostruzione diversa (v. tra le altre Cass. n. 22979 del
2004 e n. 3668 del 2013), e dunque della rilevanza della censura.
3.2. Quanto al secondo, va osservato che il ricorrente non riproduce
l’asserito motivo di appello in ordine al quale deduce il vizio di omessa
pronuncia, limitandosi ad argomentare, in ragione della citazione parziale di
una frase «[…] ricorrendo in alternativa, al disposto dell’art. 437 del codice di
procedura civile, trattandosi di atto palesemente decisivo alla definizione della
controversia» la deduzione in appello della possibilità al ricorso all’art. 437
cod. proc. civ., con consegnate inammissibilità della censura.
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 8077 del 2012, hanno precisato
che, in ogni caso, la proposizione del motivo di censura resta soggetta alle
regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, nel senso
che la parte ha l’onere di rispettare il principio di autosufficienza del ricorso e
le condizioni di procedibilità di esso (in conformità alle prescrizioni dettate
dall’art. 366, comma 1, n. 6 e 369, comma 2, n. 4, cod. proc. civ.), “sicché
l’esame diretto degli atti che la Corte è chiamato a compiere è pur sempre
circoscritto a quegli atti ed a quei documenti che la parte abbia specificamente
indicato ed allegato”; la parte ricorrente è tenuta ad indicare gli elementi
individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame,
affinché il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di
autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a
individuare la dedotta violazione processuale (cfr. Cass. n. 6225 del 2005;
Cass. n. 9734 del 2004).
Tanto non è accaduto nella specie, laddove nel corpo del motivo non
sono indicati gli specifici contenuti dell’atto di appello dell’Assessorato in
modo tale da individuare il dedotto vizio processuale.
4. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
5.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in

dispositivo.
PQM
2

R.G. n. 20162 del 2012

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al
pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 4.000,00 per compensi
professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma , nella adunanza camerale del 28 settembre 2017.

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