Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3312 del 03/02/2022

Cassazione civile sez. trib., 03/02/2022, (ud. 25/06/2021, dep. 03/02/2022), n.3312

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24394-2015 proposto da:

FONDAZIONE TEATRO NAPOLI, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE B. BUOZZI 77,

presso lo studio dell’avvocato ENZO MARIA SERRELLI, rappresentata e

difesa dagli avvocati GIUSEPPE FIMIANI e GIOVANNI PALMA;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI NAPOLI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO DENZA 50-A, presso lo studio

dell’avvocato NICOLA LAURENTI, rappresentato e difeso dall’avvocato

FABIO MARIA FERRARI;

AGENZIA DELLE ENTRATE DI NAPOLI, DIREZIONE PROVINCIALE, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

EQUITALIA SUD SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NOMENTANA 91, presso lo

studio dell’avvocato GIOVANNI BEATRICE, rappresentata e difesa

dall’avvocato FRANCESCO AMODIO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2560/2015 della COMM. TRIB. REG. CAMPANIA,

depositata il 16/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/06/2021 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FANTICINI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con atto notificato all’Agenzia delle Entrate, all’agente della riscossione Equitalia Sud e al Comune di Napoli, la Fondazione Teatro di Napoli impugnava, allegando estratti di ruolo, 45 cartelle di pagamento eccependone l’inesistenza (o comunque la nullità) per difetto di notifica e sostenendo altresì la prescrizione della pretesa tributaria e l’invalidità degli atti impositivi presupposti;

– la C.T.P. di Napoli respingeva integralmente il ricorso della Fondazione;

– la C.T.R. della Campania – con la sentenza n. 2560 del 16/3/2015 – respingeva l’appello avanzato dalla medesima Fondazione;

– avverso tale decisione la Fondazione Teatro di Napoli ha proposto ricorso per cassazione basato su due motivi;

– resistono con controricorso l’Agenzia delle Entrate, il Comune di Napoli ed Equitalia Sud, il cui difensore ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Preliminarmente, si deve esaminare l’ammissibilità della memoria depositata dal difensore di Equitalia Sud S.p.A. in data 15/6/2021.

La questione – che travalica il caso concreto (per il quale vale, comunque, il principio di insensibilità del giudizio di cassazione agli eventi occorsi successivamente al suo inizio) e attiene, più in generale, allo svolgimento di attività difensive compiute nell’interesse di Equitalia dopo l’1/7/2017 – riguarda un ulteriore profilo della controversa successione ai sensi del D.L. n. 193 del 2016, ex art. 1, secondo cui Agenzia delle Entrate – Riscossione “subentra, a titolo universale, nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, delle società del Gruppo Equitalia” (comma 3), le quali “sono sciolte,… cancellate d’ufficio dal registro delle imprese ed estinte, senza che sia esperita alcuna procedura di liquidazione” (comma 1).

La vicenda successoria ha trovato un univoco inquadramento nella recente decisione di Cass., Sez. U, Sentenza n. 15911 dell’8/6/2021: “La successione “a titolo universale, nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali”, di Agenzia delle Entrate-Riscossione alle società del gruppo Equitalia, prevista dal D.L. n. 193 del 2016, art. 1, comma 3, conv. dalla L. n. 225 del 2016, pur costituendo una fattispecie estintiva riconducibile al subentro in universum ius, riguarda il trasferimento tra enti pubblici, senza soluzione di continuità, del munus publicum riferito all’attività della riscossione, con la conseguenza che il fenomeno non comporta la necessità d’interruzione del processo in relazione a quanto disposto dagli artt. 299 e 300 c.p.c.”.

Già in precedenza le Sezioni Unite di questa Corte avevano statuito che – “dinanzi alla notorietà del fatto dell’estinzione del mandante”, essendo Equitalia “un soggetto pacificamente non più esistente per disposizione di legge necessariamente conosciuta dalla generalità dei consociati” – deve escludersi nella fattispecie l’operatività del principio di ultrattività del mandato (legittimato da Cass., Sez. U, Sentenza n. 15295 del 4/7/2014) e, dunque, la validità della notifica dell’impugnazione eseguita presso il difensore nominato dal precedente agente della riscossione (Cass., Sez. U, Ordinanza interlocutoria n. 2087 del 30/1/2020; Cass., Sez. U, Sentenza n. 4845 del 23/2/2021).

Dai menzionati arresti giurisprudenziali sarebbe errato trarre la conclusione che, per effetto dell’entrata in vigore della menzionata disposizione, il difensore di Equitalia perde automaticamente lo ius postulandi e che, quindi, sono inammissibili (o tamquam non essent) gli atti difensivi compiuti successivamente all’estinzione della società (come invece affermato da Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 16803 del 15/6/2021 con decisione che – si rileva – è stata assunta in camera di consiglio anteriore alla pronuncia di Cass., Sez. U, Sentenza n. 15911 dell’8/6/2021 e che, dunque, prospetta una salvaguardia delle esigenze difensive attraverso l’istituto dell’interruzione, inapplicabile, però, nel giudizio di legittimità).

Se è vero, infatti, che l’estinzione del mandante è conosciuta iuris et de iure dalle parti e dal giudice, in quanto disposta ex lege, e riverbera i suoi effetti sul rapporto col difensore (e, infatti, le Sezioni Unite hanno fondato proprio su tale circostanza l’invalidità della notifica dell’impugnazione compiuta nei confronti del precedente procuratore, quale eccezione alla regola di ultrattività del mandato), l’interpretazione del peculiare complesso normativo non può prescindere dall’esigenza di assicurare l’effettività e la pienezza del diritto di difesa (della quale si sono fatte carico, sotto altri aspetti, le Sezioni Unite anche con la recente Sentenza n. 12154 del 7/5/2021).

L’istituto dell’interruzione del processo – non applicabile alla successione a titolo universale di Agenzia delle Entrate – Riscossione ad Equitalia (Cass., Sez. U, Sentenza n. 15911 dell’8/6/2021) – mira ad assicurare l’effettività del contraddittorio tra le parti colpite da eventi incidenti sulla loro partecipazione al processo e, dunque, sulla potestà di compiere atti processuali (Cass., Sez. U, Sentenza n. 15295 del 4/7/2014); la stessa esigenza di evitare una menomazione della possibilità di difendersi adeguatamente in giudizio va salvaguardata anche nel caso in cui gli artt. 299 e 300 c.p.c. non trovano applicazione e si deve, dunque, giocoforza riconoscere la facoltà di svolgere attività difensiva al procuratore della società estinta, fino alla sua sostituzione, a condizione che lo stesso sia già ritualmente costituito nel grado prima dell’1/7/2017.

Al contrario, a sostenere che sia inciso lo ius postulandi e che sia inficiata l’attività difensiva svolta nel medesimo grado dal procuratore di Equitalia (già in precedenza ritualmente costituita) perché il suo mandato si è estinto con effetti dall’1/7/2017, si otterrebbe, in concreto, l’aberrante risultato di un soggetto (il successore di Equitalia, cioè Agenzia delle Entrate – Riscossione) che si troverebbe, da un lato, parte di un processo pendente (in quanto il processo è proseguito in suo confronto ex art. 110 c.p.c.) e non soggetto a interruzioni o rallentamenti in ragione dell’avvicendamento nelle funzioni di agente della riscossione e, dall’altro, privo di difesa tecnica (non potendosi automaticamente avvalere dell’operato del precedente difensore, né essendo ammissibile – come statuito da Cass., Sez. 3, Sentenza n. 1445 del 27/1/2015 – la fungibilità in corso di causa dei soggetti rappresentati) e impossibilitato a esplicare difese fino alla designazione di un proprio procuratore (per giunta, con le difficoltà interpretative del D.L. n. 193 del 2016, art. 1, comma 8, sulla difesa in giudizio di AdER, che hanno richiesto l’intervento di Cass., Sez. U, Sentenza n. 30008 del 19/11/2019).

Al contrario, in ossequio all’art. 24 Cost. sul diritto di difesa (ma anche all’art. 111 Cost., relativo al diritto al contraddittorio), deve ritenersi applicabile alla fattispecie il principio di necessaria continuità dell’attività difensiva, che trova un esplicito riscontro normativo nell’art. 85 c.p.c..

Mentre nella disciplina sostanziale la revoca del conferimento dei poteri ha efficacia immediata, la succitata norma prevede che la revoca del mandato (e, quindi, la sua estinzione per volontà del mandante) non abbia “effetto nei confronti dell’altra parte finché non sia avvenuta la sostituzione del difensore”, posto che al procuratore non sono attribuiti poteri liberamente determinati dal soggetto rappresentato, bensì lo ius postulandi e, cioè, l’insieme dei poteri predeterminato dalla legge processuale, la quale, con l’art. 85 c.p.c., afferma che “ciò che priva il procuratore della capacità di compiere o ricevere atti, non sono dunque la revoca o la rinuncia di per sé sole, bensì il fatto che alla revoca o alla rinuncia si accompagni la sostituzione del difensore” (così, recentemente, Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 12249 del 23/06/2020; nello stesso senso, tra le altre, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 10643 del 29/10/1997, Rv. 509348-01, e Cass., Sez. U, Sentenza n. 3702 del 13/2/2017).

Proprio dall’art. 85 c.p.c. e dall’intento di evitare una vacatio di ius postulandi, potenzialmente nociva sia per la parte del cui patrocinio si tratta, sia della controparte, si ricava il principio della cosiddetta “perpetuatio dell’ufficio di difensore” – più volte ribadito in giurisprudenza con riguardo alla rinuncia e alla revoca del mandato (ex multis, Cass., Sez. L, Sentenza n. 26614 del 18/10/2019, Cass., Sez. U, Sentenza n. 3702 del 13/2/2017, Cass., Sez. U, Sentenza n. 11303 del 28/10/1995), ma applicabile anche al caso di sua estinzione ex art. 1722 c.c., n. 4 (come nella fattispecie di estinzione del “mandante” Equitalia) – secondo cui il procuratore già ritualmente costituito in giudizio conserva, nel medesimo grado e fino alla sostituzione, le sue funzioni con riguardo alle vicende del processo obiettivamente considerate, sia per quanto concerne la legittimazione a ricevere atti destinati al mandante, sia per quanto riguarda la legittimazione a compiere attività difensiva nel suo interesse.

In conclusione, in applicazione del seguente principio di diritto “Per effetto del principio della cosiddetta perpetuatio dell’ufficio di difensore (di cui è espressione l’art. 85 c.p.c.), l’estinzione dell’agente della riscossione Equitalia e l’automatico subentro del successore Agenzia delle Entrate Riscossione, disposti dal D.L. n. 193 del 2016, art. 1, non privano il procuratore della società estinta, che sia già ritualmente costituito nel processo anteriormente alla data della predetta successione, dello ius postulandi e, quindi, della capacità di svolgere attività difensiva nel medesimo grado di giudizio sino alla sua sostituzione”, deve dunque affermarsi l’ammissibilità della memoria depositata in data 15/6/2021 dal difensore della estinta Equitalia Sud S.p.A. (alla quale è succeduta ex lege Agenzia delle Entrate – Riscossione, parte nei cui confronti, ex art. 2909 c.c. ed ex art. 110 c.p.c. prosegue il giudizio e si producono gli effetti del giudicato), in quanto lo stesso era rappresentante e procuratore di soggetto già ritualmente costituito in questo grado di giudizio anteriormente all’1/7/2017 (infatti, il controricorso, notificato il 3/11/2015, è stato depositato il 5/11/2015).

Giova precisare che la presente decisione non si pone in alcun modo in contrasto con le statuizioni delle Sezioni Unite (Cass., Sez. U, Ordinanza interlocutoria n. 2087 del 30/1/2020; Cass., Sez. U, Sentenza n. 4845 del 23/2/2021; Cass., Sez. U, Sentenza n. 15911 dell’8/6/2021) che hanno escluso l’operatività del principio di ultrattività del mandato in origine conferito al difensore dell’agente della riscossione poiché la cessazione di questo e l’automatico subentro del successore sono disposti da una norma di legge: quel principio, difatti, è stato affermato con specifico riferimento alla ritualità della notifica dell’impugnazione avverso la sentenza pronunciata nel grado, già concluso, in cui il procuratore era stato nominato e si era costituito. In altre parole, le pronunce menzionate attengono propriamente al principio di ultrattività del mandato, che assume rilievo nel passaggio da un grado di giudizio all’altro, ma non al principio di perpetuatio dell’ufficio di difensore nel medesimo grado del processo.

2. Col primo motivo di ricorso si denuncia (richiamando l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la “nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione di norme di diritto e per carenza di motivazione. Nullità delle cartelle… per inesistenza degli originali e per intervenuta confessione giudiziale (art. 2733 c.c.) circa l’inesistenza degli originali nella disponibilità di essa Equitalia”.

Col secondo motivo si denuncia (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) la “nullità della sentenza per errore di diritto, sentenza Corte Costituzionale 37/2015, per violazione del principio dell’onere della prova”, contestando la ricorrente l’esistenza dell’atto impositivo “per carenza del potere dirigenziale del delegante o di chi ha sottoscritto l’avviso di accertamento in mancanza della sua qualifica di dirigente”.

Entrambe le censure sono formulate con modalità irrispettose dell’art. 366 c.p.c., posto che la ricorrente ha omesso di esporre in maniera sintetica e intelligibile il fatto processuale e, cioè, il contenuto della sentenza impugnata (al contrario, il giudice di legittimità deve essere messo in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa; v., ex multis, Cass., Sez. L, Ordinanza n. 31082 del 28/12/2017, Rv. 646554-01): la Fondazione, difatti, si è limitata a trascrivere integralmente il proprio atto d’appello che non rende, però, meno oscura l’esposizione dei fatti di causa o più chiare le confuse contestazioni mosse alla sentenza gravata.

Il primo motivo, poi, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, fa riferimento ad atti processuali (nei quali sarebbe contenuta persino una presunta “confessione” dell’agente della riscossione) e a documenti (cartelle di pagamento, relate, copie, ecc.) il cui contenuto non è riportato, né trascritto nell’atto introduttivo.

Inoltre, la ricorrente, non assolve all’onere di specificità del motivo (il primo) per il quale, a pena d’inammissibilità della censura, la parte deve indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, esaminarne il contenuto precettivo e raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuta espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass., Sez. U, Sentenza n. 23745 del 28/10/2020, Rv, 659448-01); al contrario, la Fondazione non sviluppa una comprensibile argomentazione volta a censurare la decisione della C.T.R., né spiega quale sarebbe l’oggetto della confessione giudiziale asseritamente resa dall’agente della riscossione (anche a voler ipotizzare che la circostanza “ammessa” consista nell’assenza degli originali delle cartelle notificate, la stessa come spiega il giudice d’appello – è del tutto irrilevante, atteso che l’unico originale della cartella di pagamento è quello spedito al contribuente).

La prima censura è inammissibile anche nella parte in cui la ricorrente deduce un vizio della motivazione, che, oltre a non essere riconducibile alla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non può formare oggetto di ricorso per cassazione a norma dell’art. 348-ter c.p.c., u.c..

Riguardo alla seconda censura, oltre alle già rilevate lacune nell’esposizione, si osserva che la C.T.R. ha ritenuto inammissibile il quarto motivo d’appello (“nullità assoluta delle cartelle e di ogni atto conseguente e/o collegato per carenza di qualifica dirigenziale dei soggetti firmatari degli atti impugnati per violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 19 e 52”) in quanto volta a denunciare con l’impugnazione un vizio che non era stato dedotto nel primo grado.

La medesima questione è riproposta col ricorso per cassazione sotto forma di vizio determinante l’inesistenza giuridica degli atti dell’Amministrazione tributaria sottoscritti da soggetti privi di qualifica e poteri e in riferimento alle statuizioni di Corte Cost. n. 37 del 2015.

Come più volte affermato da questa Corte, “In tema di contenzioso tributario, è inammissibile il motivo del ricorso per cassazione con cui si denunci un vizio dell’atto impugnato diverso da quelli originariamente allegati, censurando, altresì, l’omesso rilievo d’ufficio della nullità, atteso che nel giudizio tributario, in conseguenza della sua struttura impugnatoria, opera il principio generale di conversione dei motivi di nullità dell’atto tributario in motivi di gravame, sicché l’invalidità non può essere rilevata d’ufficio, né può essere fatta valere per la prima volta in sede di legittimità” (così, Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 19929 del 23/09/2020, Rv. 659043-01, che, in fattispecie del tutto analoga, ha dichiarato inammissibile il ricorso con cui si era dedotta la nullità della sentenza e dell’intero processo per essere stati gli atti di contestazione di sanzioni sottoscritti da un funzionario incaricato e non da un dirigente munito del richiesto potere di firma, non avendo tale profilo mai costituito oggetto del thema decidendum; nello stesso senso, Cass., Sez. 5, Sentenza n. 22810 del 9/11/2015, Rv. 637348-01).

3. In conclusione, il ricorso è inammissibile.

Alla decisione fa seguito la condanna della ricorrente alla rifusione, in favore delle controricorrenti, delle spese di questo giudizio di cassazione, le quali sono liquidate nella misura indicata nel dispositivo secondo i vigenti parametri.

4. Stante il rigetto dell’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto (se dovuto) a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna la Fondazione Teatro di Napoli a rifondere ad Agenzia delle Entrate le spese di questo giudizio, che liquida in Euro 11.000,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito;

condanna la Fondazione Teatro di Napoli a rifondere ad Equitalia Sud S.p.A. (oggi Agenzia delle Entrate-Riscossione) le spese di questo giudizio, che liquida in Euro 11.000,00 per compensi, oltre a Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie ed accessori di legge;

condanna la Fondazione Teatro di Napoli a rifondere al Comune di Napoli le spese di questo giudizio, che liquida in Euro 11.000,00 per compensi, oltre a Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie ed accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della Fondazione Teatro di Napoli, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 25 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2022

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