Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33118 del 16/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 16/12/2019, (ud. 11/07/2019, dep. 16/12/2019), n.33118

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. TINARELLI FUOCHI Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 27413 del ruolo generale dell’anno 2016

proposto da:

Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello

Stato, presso i cui uffici ha domicilio in Roma, Via dei Portoghesi,

n. 12;

– ricorrente –

contro

S.L., rappresentato e difeso, per procura speciale a margine

del ricorso, dagli Avv.ti Turci Marco e Fruscione Alessandro,

elettivamente domiciliata in Roma, via Giambattista Vico, n. 22,

presso lo studio di quest’ultimo difensore;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Liguria, n. 1162/2/2015, depositata il giorno 4

novembre 2015;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 luglio

2019 dal Consigliere Triscari Giancarlo.

Fatto

RILEVATO

Che:

la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: S.L. aveva proposto ricorso avverso gli avvisi di irrogazione delle sanzioni notificati dall’Agenzia delle dogane a seguito della verifica che le merci importate non erano state introdotte nei magazzini di deposito ed iscritte nei registri contabili Iva della ditta Franco Vago s.p.a., nonostante il fatto che era stato dichiarato il transito al momento dello sdoganamento delle merci da parte del rappresentante doganale; la Commissione tributaria provinciale di La Spezia aveva accolto il ricorso limitatamente alla misura della sanzione, ritenendo applicabile la percentuale del 3 per cento di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 9; avverso la pronuncia del giudice di primo grado aveva proposto appello principale l’Agenzia delle dogane e appello incidentale S.L.;

la Commissione tributaria regionale della Liguria ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle dogane, in particolare ha ritenuto che: poichè nel caso di specie, in cui era stata contestata la mancata introduzione della merce importata nel deposito Iva, si era provveduto a regolarizza l’Iva mediante reverse charge, sussisteva solo una irregolarità formale da sanzionare secondo il principio della proporzionalità; a tal proposito, non era corretto applicare la sanzione in base al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, dovendosi invece tenere conto della previsione di cui al medesimo D.Lgs., art. 6, comma 9-bis; avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso principale l’Agenzia delle dogane, affidato a un unico motivo, cui ha resistito S.L. depositando controricorso contenente ricorso incidentale.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

va, preliminarmente, disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 366, comma 1, nn. 3) e 6), c.p.c., considerato che il ricorso dell’Amministrazione finanziaria risulta conforme al principio di specificità, in quanto sviluppa una sintesi chiara dell’intera vicenda processuale e mette in luce i profili rilevanti ai fini della formulazione del motivo di ricorso, con espressa menzione degli atti processuali e dei documenti su cui si fonda;

con l’unico motivo di ricorso principale si censura la sentenza di appello ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 1, e del medesimo D.Lgs., art. 6, comma 9-bis, per avere ritenuto che, ai fini della determinazione della misura della sanzione da applicare nel caso di specie, relativo al mancato utilizzo del deposito fiscale, trova applicazione la previsione di cui all’art. 6, comma 9-bis, cit., piuttosto che quella di cui all’art. 13, comma 1, atteso che la contestazione ha riguardo all’omesso pagamento del tributo pur in presenza di formale autofatturazione emessa in carenza dei presupposti normativi di riferimento;

il motivo è fondato;

questa Corte (da ultimo, Cass. civ., 10 maggio 2019, n. 1250) ha precisato che in materia di depositi fiscali, “l’Amministrazione finanziaria non può pretendere il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione dal soggetto passivo che, non avendo materialmente immesso i beni nel deposito fiscale, si è illegittimamente avvalso del regime di sospensione di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 50-bis, comma 4, lett. b), conv., con modif., dalla L. n. 427 del 1993, qualora costui abbia già provveduto all’adempimento, sebbene tardivo, dell’obbligazione tributaria nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile mediante un’autofatturazione ed una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite, atteso che la violazione del sistema del versamento dell’IVA, realizzata dall’importatore per effetto dell’immissione solo virtuale della merce nel deposito, ha natura formale e non può mettere, pertanto, in discussione il suo diritto alla detrazione, come chiarito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 17 luglio 2014, in C-272/13, a tenore della quale detta violazione può essere punita, in relazione allo scarto temporale tra la dichiarazione e l’auto fatturazione, con una specifica sanzione per il ritardo – non fissa e che può consistere anche nel computo degli interessi di mora, purchè sia rispettato il principio di proporzionalità – la cui adeguata determinazione, implicando un accertamento di fatto, compete al giudice di merito” (cfr., ex multis, Cass. n. 1327 del 2018; n. 12231 del 2017; v. anche Cass. n. 15988 e n. 17814 del 2015);

in particolare, questa Corte ha già chiarito che “la sanzione applicabile all’importatore che si avvale del sistema di sospensione dell’IVA all’importazione senza immettere nel deposito IVA la merce extra UE va individuata alla stregua del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13, a nulla rilevando il contenuto precettivo del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70. Da un lato, infatti deve ritenersi che l’IVA all’importazione costituisca un tributo interno. E’ sufficiente sul punto evidenziare che proprio la sentenza Equoland ha ritenuto che la differenza fra IVA all’importazione e IVA interna potesse impedire l’assolvimento della,prima, inscrivendosi tale indirizzo nell’ordine di idee, già espresso dalla giurisprudenza comunitaria (Corte Giust., 25 febbraio 1988, C-299/86, Drexl), secondo il quale l’IVA all’importazione, richiesta dallo Stato italiano, ha natura di tributo interno. Indirizzo, quest’ultimo confermato di recente da Cass.n. 19749/2014. Pertanto legittimamente l’Amministrazione ha fatto riferimento, rispetto alla sanzione applicata, al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13. Per altro verso, detta disposizione, inserita all’intero della legge organica di settore concernente le sanzioni amministrative in materia tributaria – art. 1 – è applicabile, salvo diversa espressa previsione, ai procedimenti di irrogazione di tutte le sanzioni tributarie non penali – D.Lgs. n. ult. cit., art. 26, comma 3. Va ancora aggiunto che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, rinvia effettivamente alla disciplina sanzionatoria in tema di leggi doganali. Orbene, non rinvenendosi all’intero del testo unico leggi doganali di cui al D.P.R. n. 43 del 1973 o del Reg. CEE n. 2913/1992 (C. D. C.) una disposizione sanzionatoria speciale per le condotte di omesso o ritardato versamento dell’IVA all’importazione, appare corretta la sussunzione della condotta contestata alla parte contribuente nello stigma del ricordato art. 13, in questa direzione orientando in conclusione tanto il riconoscimento dell’IVA all’importazione quale tributo interno che, per altro verso, la portata generale della sanzione prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 e la sua applicabilità all’omesso o ritardato versamento di qualunque tributo – Cass. n. 174361 del 2010; 18171 del 2015;

sicchè, non può ritenersi di essere in presenza di una violazione meramente formale per la quale l’esclusione della punibilità – D.Lgs. n. 472 del 1996, art. 6, comma 5-bis (v. Cass. n. 5897/2013) – è prevista per le violazioni che non arrecano pregiudizio all’esercizio dell’attività di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo. Ipotesi non ricorrente nel caso di specie. Ad escludere tale possibilità è la stessa Corte Europea, laddove afferma che “… un siffatto obbligo, nonostante il suo carattere formale, è atto a permettere di conseguire efficacemente gli obiettivi perseguiti, vale a dire garantire un’esatta riscossione dell’IVA nonchè ad evitare l’evasione di tale imposta” – p. 29 sent. Equoland -. – nella specie, la CTR non si è attenuta a tali principi, avendo ritenuto che le sanzioni fossero dovute nella misura del 3% dell’imposta ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 9-bis, in luogo di quella ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13; resta ancora da evidenziare che, come già ricordato, la sentenza Equoland ha espresso rilevanti principi anche in tema di proporzionalità della sanzione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, in relazione alla condotta di mancato versamento dell’IVA all’importazione per effetto dell’immissione virtuale dei beni in deposito IVA;

questa Corte, nel fare propri detti principi, ha affermato che, in particolare, “in tema d’IVA, la sanzione prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, applicabile all’importatore che si sia avvalso del sistema di sospensione del versamento dell’imposta all’importazione senza immettere materialmente la merce nel deposito fiscale, deve essere disapplicata per contrarietà al diritto comunitario, così come interpretato dalla Corte di Giustizia nella sentenza 17 luglio 2014, in C-272/13 Equoland, ove ecceda, in ragione della percentuale fissata per la maggiorazione e dell’impossibilità di graduarne la misura alle circostanze concrete, il limite necessario per assicurare l’esatta riscossione ed evitare l’evasione, atteso che, tenuto conto della natura formale della violazione, potrebbero costituire un’adeguata sanzione anche i soli interessi moratori” (Cass., n. 17814 del 08/09/2015);

pertanto, non correttamente il giudice del gravame ha ritenuto applicabile alla fattispecie la previsione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 9-bis, dovendo, invece, nella determinazione concreta della misura della sanzione da irrogare, applicare i principi indicati, valutando la proporzionalità della sanzione applicata in relazione alla contestazione esposta dall’Ufficio, considerando la rilevanza del pagamento effettuato all’atto di estrazione della merce con le forme della autofatturazione disciplinata dal D.L. n. 331 del 1993, art. 50-bis, comma 6, e tenendo conto del tempo intercorso fra l’omesso versamento dell’IVA all’importazione e l’eventuale assolvimento dell’IVA interna – con annotazione nei relativi registri- all’atto dell’estrazione della merce – v. pp. 39 e 42 sent. Equoland: ciò, anche al fine di vagliare l’applicazione alla fattispecie delle misure sanzionatorie ridotte previste dal medesimo art. 13 cit. in caso di ritardo nel versamento e della loro proporzionalità in relazione ai criteri indicati dalla Corte di Giustizia ai punti n. 42144 della sentenza Equoland;

con il primo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere pronunciato ultra petita, in quanto ha ritenuto applicabile la previsione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 9-bis, nonostante il fatto che l’atto di irrogazione della sanzione faceva riferimento alla previsione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13;

il motivo è assorbito dall’accoglimento dell’unico motivo di ricorso principale, in particolare dai limiti espressi dai principi in tema di proporzionalità della sanzione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, in relazione alla condotta di mancato versamento dell’IVA all’importazione per effetto dell’immissione virtuale dei beni in deposito IVA;

con il secondo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112, c.p.c., per non avere pronunciato sul motivo di appello relativo alla non applicabilità della sanzione tenuto conto del fatto che il contribuente aveva evidenziato che, nelle more del giudizio, gli atti impositivi sui quali si fondava la pretesa sanzionatoria erano stati annullati;

con il terzo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112, c.p.c., per non avere pronunciato sul motivo di appello relativo alla non applicabilità della sanzione atteso l’intervenuto assolvimento dell’imposta e l’illegittima duplicazione;

i motivi, che possono essere esaminati unitamente, in quanto riguardano la questione della mancata pronuncia del giudice del gravame su diversi motivi di appello proposti dal contribuente, sono infondati;

il giudice del gravame ha evidenziato, nel suo percorso motivazionale, che la questione relativa alla mancata introduzione fisica della merce importata nel deposito fiscale costituisce un mero requisito formale la cui inosservanza non legittima la pretesa dell’Agenzia delle dogane di chiedere un nuovo versamento dell’Iva ed ha, inoltre, precisato che la regolarizzazione dell’Iva all’importazione mediante inversione contabile, in una fattispecie, quale quella in esame, in cui è in contestazione la mancata introduzione di merci nel deposito Iva, comporta comunque l’applicazione della sanzione, da determinare secondo il principio di proporzionalità;

in sostanza, il giudice del gravame ha fondato la decisione sulla ritenuta autonomia della pretesa sanzionatoria ove strettamente collegata alla circostanza della mancata introduzione della merce nel deposito fiscale, ritenendo che si trattasse, correttamente, di una condotta comunque sanzionabile;

va osservato, in primo luogo, con riferimento al secondo motivo di ricorso, che parte ricorrente si limita a evidenziare di avere prospettato, come motivo di ricorso in appello, la circostanza che gli atti presupposti erano stati oggetto di, annullamento in diversi giudizi, ma non consente a questa Corte, in difetto del principio di specificità, di verificare quale fosse il contenuto specifico degli atti cui lo stesso fa riferimento;

in ogni caso, va tenuto conto del fatto che, secondo quanto riportato nel presente motivo di ricorso, l’annullamento sarebbe stato pronunciato sulla base della inesistenza, a mente di tale disposizione, di un obbligo giuridico di introduzione fisica delle merci in deposito;

tale ultime precisazione conferma la circostanza che la fattispecie in esame aveva a presupposto la mancata introduzione della merce nel deposito fiscale ed è su tale condotta che è stato emesso l’atto sanzionatorio, in ordine al quale, appunto, si è orientata la decisione del giudice del gravame, laddove ha ritenuto di dovere considerarsi l’autonoma valenza dell’atto sanzionatorio notificato al contribuente;

analoga considerazione deve essere compiuta con riferimento al terzo motivo di ricorso, in quanto sulla questione della duplicazione di imposta il giudice si è implicitamente pronunciato laddove ha ritenuto che se, da un lato, non sussistevano i presupposti per richiedere il pagamento dell’iva sull’importazione, attesa la regolarizzazione con il reverse charge, d’altro lato, sussisteva l’autonoma valenza sanzionatoria della irregolarità formale posta in essere;

con il quarto motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non avere pronunciato sul motivo di appello con il quale era stata censurata la pronuncia del giudice di primo grado che aveva ritenuto sussistente la responsabilità solidale del contribuente, sia in quanto non sussisteva alcuna prova della riferibilità della condotta illecita al medesimo, sia in quanto la solidarietà non poteva essere estesa alle sanzioni, sia infine, in quanto la responsabilità della società non si estende al legale rappresentante; con il quinto motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112, c.p.c., per non avere pronunciato sul motivo di appello con il quale era stata censurata la sentenza del giudice di primo grado che aveva rigettato il motivo di ricorso per omessa comunicazione dell’avvio del procedimento con l’indicazione del responsabile, del termine previsto per la sua definizione e dell’ufficio ove sono custoditi i documenti relativi al procedimento di cui al .Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, alla L. n. 241 del 1990, art. 7 e 9, nonchè per non avere consentito alla Duelle s.a.s. di intervenire nel procedimento, di esercitare il diritto di accesso e di depositare memorie fino alla notifica del verbale di accesso;

con il sesto motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., per non avere pronunciato sul motivo di appello con il quale era stata censurata la sentenza del giudice di primo grado che aveva rigettato il motivo di ricorso relativo alla questione della mancata assegnazione del termine per presentare osservazioni, ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16,;

con il settimo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., non avendo il giudice del gravame pronunciato sugli ulteriori motivi di appello proposti, in particolare relativi a: difetto di motivazione degli atti di contestazione, non riportando le ragioni di fatto e di diritto che avevano indotto l’amministrazione a non accogliere le osservazioni scritte proposte; difetto del requisito soggettivo di non punibilità; erroneo computo della sanzione;

i motivi, che possono essere esaminati unitamente, sono fondati;

le questioni prospettate con i motivi di appello avevano una propria specifica valenza nell’ambito della questione della applicabilità della sanzione, in quanto riguardavano la applicabilità della stessa a soggetto diverso dal gestore del deposito fiscale, alla sussistenza del vincolo di solidarietà anche relativamente all’atto sanzionatorio, alla violazione delle regole procedimentali, al difetto di motivazione degli atti di contestazione, al difetto del requisito soggettivo di non punibilità ed all’erroneo computo della sanzione;

su tali diversi profili di impugnazione il giudice del gravame non si è pronunciato, neppure implicitamente, con conseguente vizio della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c.;

in conclusione, è fondato il motivo di ricorso principale, è assorbito il primo motivo di ricorso incidentale, sono infondati il secondo e il terzo motivo di ricorso incidentale, sono fondati il quarto, quinto, sesto e settimo motivo di ricorso incidentale, con conseguente cassazione della sentenza per i motivi accolti e rinvio alla Commissione tributaria regionale, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

PQM

La Corte:

accoglie il motivo di ricorso principale, assorbito il primo motivo di ricorso incidentale, infondati il secondo e il terzo motivo di ricorso incidentale, accoglie il quarto, quinto, sesto e settimo motivo di ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata per i motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019

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