Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33113 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 21/12/2018, (ud. 10/10/2018, dep. 21/12/2018), n.33113

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18727-2017 proposto da:

P.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POMPEO MAGNO

94, presso lo studio dell’avvocato MAURO LONGO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

Contro

UFFICIO RECUPERO CREDITI DEL GIUDICE DI PACE DI ROMA (OMISSIS),

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (OMISSIS), elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – SERVIZI DI RISCOSSIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 277/13/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di ROMA, depositata il 30/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/10/2018 dal Consigliere Dott. NAPOLITANO LUCIO.

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte,

costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016;

osserva quanto segue:

Con sentenza n. 277/13/2017, depositata il 30 gennaio 2017, non notificata, la CTR del Lazio accolse l’appello proposto dall’Ufficio del Giudice di Pace di Roma – Ufficio Recupero Crediti settore civile – nei confronti del sig. P.B., in contraddittorio anche con Equitalia Sud S.p.A., avverso la sentenza della CTP di Roma, che aveva invece accolto il ricorso del contribuente avverso la cartella di pagamento notificatagli per omesso versamento del contributo unificato in relazione all’iscrizione a ruolo di giudizio proposto dinanzi al Giudice di Pace di Roma dal P. avente ad oggetto opposizione ad intimazione di pagamento, ex art. 615 c.p.c., comma 1, in controversia derivante da opposizione a sanzione amministrativa.

Avverso la pronuncia della CTR il P. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, ulteriormente illustrato da memoria.

Il Ministero della Giustizia e l’Ufficio Recupero Crediti del Giudice di Pace di Roma resistono con controricorso.

L’intimata Agenzia delle Entrate – Riscossione, subentrata ex lege ad Equitalia Servizi di Riscossione S.p.A., già quest’ultima incorporante Equitalia Sud S.p.A., non ha svolto difese.

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia “Erronea declaratoria di debenza del contributo unificato di iscrizione a ruolo per i giudizi di opposizione a sanzione amministrativa”, introdotti prima del 1^ gennaio 2010.

Assume il ricorrente di avere nella sostanza incardinato, nel corso dell’anno 2009, dinanzi al Giudice di Pace di Roma, un giudizio da intendersi proposto ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 23, sebbene introdotto nella forma dell’atto di citazione e non del ricorso, la qualcosa non può, secondo il ricorrente, considerarsi impeditiva della fruizione dell’esenzione dal contributo unificato per l’iscrizione a ruolo di detti giudizi, secondo la normativa vigente ratione temporis.

In subordine formula eccezione d’illegittimità costituzionale della L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 10 e del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, comma 1, nella formulazione antecedente all’entrata in vigore della L. n. 191 del 2009, art. 2, comma 212 (finanziaria 2010), per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 92 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la decisione impugnata ha omesso di compensare le spese di lite, ciò che avrebbe trovato giustificazione in orientamento favorevole per il contribuente espresso dalla stessa CTR, senza motivare sul punto.

3. Il primo motivo è in primo luogo carente di autosufficienza, non riproducendo il contenuto del ricorso del 2009 proposto dinanzi al Giudice di Pace, onde porre la Corte in condizione di verificare quali fossero effettivamente petitum e causa petendi della controversia allora proposta, se avente ad oggetto effettivamente un ricorso avverso ordinanza – ingiunzione amministrativa di cui alla L. n. 681 del 1989 o verbale di contravvenzione al Codice della strada, ovvero, come indica la sentenza impugnata, nel riportare il contenuto dell’appello dell’Ufficio avverso la sentenza di primo grado, un’opposizione ad intimazione ad adempiere correttamente proposta, ex art. 615 c.p.c., comma 1, nella forma dell’atto di citazione avverso cartella di pagamento.

3.1. Nè supplisce a tale carenza il generico riferimento, tra gli allegati prodotti, al “fascicolo delle fasi di merito”, non essendo da tale mera dizione evincibile, se non attraverso un’esplicita ricerca, il suddetto ricorso.

Ciò determina l’inammissibilità del primo motivo di ricorso.

3.2. Questa Corte (cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 13 novembre 2017, n. 26717) ha peraltro chiarito che l’esenzione dal contributo unificato per le cause di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 23, prima della modifica del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, con decorrenza dal primo gennaio 2010, con l’introduzione del comma 6 bis ad opera del succitato L. n. 191 del 2009, art. 2, comma 212, lett. b), n. 2, deve intendersi riferita alle cause propriamente concernenti le opposizioni di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 23, in conformità all’indirizzo costante secondo cui le norme tributarie che dispongono agevolazioni o esenzioni sono norme di stretta interpretazione.

3.3. L’inammissibilità del motivo preclude l’esame della non manifesta infondatezza e rilevanza della questione di legittimità costituzionale in subordine proposta dal ricorrente nei termini sopra indicati.

4. Del pari è inammissibile il secondo motivo.

Questa Corte (cfr. Cass. sez. 1, ord. 4 agosto 2017, n. 19163; Cass. sez. 3, 11 gennaio 2008, n. 406), ha più volte affermato il principio secondo cui in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse”, con la conseguenza che esula dal sindacato della Corte riguardo al regolamento delle spese processuali quanto richiesto dal ricorrente, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, avendo il giudice di merito fatto corretta applicazione del principio della soccombenza. Detto indirizzo va in questa sede ulteriormente ribadito.

Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.

5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza nel rapporto tra il ricorrente e l’Amministrazione controricorrente.

Nulla va statuito quanto alle spese nel rapporto processuale tra il ricorrente e l’intimata Agenzia delle Entrate – Riscossione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Amministrazione controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 510,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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