Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33100 del 16/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 16/12/2019, (ud. 10/07/2019, dep. 16/12/2019), n.33100

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino L – Presidente –

Dott. TRISCARI G. – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

Dott. NOCELLA Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20716 del ruolo generale dell’anno 2012

proposto da:

All Projects s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del

ricorso, dall’Avv. Gianpietro Contarin, elettivamente domiciliata in

Roma, via Lima, n. 41, presso lo studio dell’Avv. Francesco Amerigo

Cirri Sepe Quarta;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore generale pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, sono domiciliati;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Veneto, n. 14/24/2012, depositata in data 3 febbraio

2012;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 10 luglio

2019 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

Fatto

RILEVATO

che:

dalla esposizione in fatto della pronuncia censurata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a All Projects s.r.l. un atto di recupero del credito Iva utilizzato in compensazione nell’anno 2004 nonostante il fatto che non era stata presentata la dichiarazione Iva per il precedente anno 2003; avverso il suddetto atto impositivo la società aveva proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Vicenza che lo aveva accolto; avverso la pronuncia del giudice di primo grado l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale del Veneto ha accolto l’appello dell’Agenzia delle entrate, in particolare ha ritenuto che: l’omessa computazione del credito Iva nella dichiarazione annuale comportava la perdita del diritto alla detrazione, potendo la stessa unicamente richiedere il rimborso di quanto versato in eccedenza; avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso All Projects s.r.l. affidato a quattro motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso;

il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. U. De Augustinis, ha depositato in data 18 giugno 2019 le proprie conclusioni con le quali ha chiesto il rinvio alla pubblica udienza.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112, c.p.c., per non avere pronunciato su tutte le eccezioni contenute nel ricorso di primo grado e riproposte dalla contribuente con appello incidentale;

il motivo è inammissibile;

la censura muove dalla considerazione che il giudice del gravame non avrebbe pronunciato sulle diverse questioni prospettate dalla parte contribuente in sede di appello incidentale, ma la stessa difetta della necessaria specificità del motivo, in quanto la contribuente si limita ad affermare di avere prospettato diverse eccezioni nel ricorso di primo grado e di averle riproposte in sede di appello incidentale, senza, tuttavia, allegare e riprodurre, in questa sede, l’atto di appello incidentale contenente i diversi profili di contestazione di cui la stessa, ora, lamenta l’omessa pronuncia;

il giudice di appello, in sede di svolgimento del processo, dà atto unicamente del fatto che la società contribuente, nel costituirsi, aveva dedotto in ordine alla interpretazione a sè favorevole della risoluzione ministeriale 74/2007, senza evidenziare, quindi, che erano state proposte, dalla contribuente, ulteriori ragioni di doglianza in sede di appello incidentale;

nel presente ricorso, la contribuente si limita a riferire (pag. 5), di avere riproposto integralmente le eccezioni contenute nel ricorso introduttivo non esaminate dalla Commissione tributaria provinciale, senza, tuttavia, osservare, neppure in sede di articolazione del presente motivo di censura, il principio di specificità, secondo quanto sopra evidenziato;

con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per contraddittorietà della motivazione, avendo affermato che, da un lato, la società non aveva diritto alla detrazione e, dall’altro, che era comunque riconosciuto il diritto della stessa di ottenere il rimborso;

il motivo è infondato;

va precisato, in primo luogo, che il vizio di contraddittoria motivazione va censurato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5), nel testo ratione temporis vigente, e presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, cioè l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione adottata;

il giudice del gravame ha ritenuto che la circostanza che parte ricorrente aveva omesso di presentare la dichiarazione Iva per l’anno 2003 era preclusiva del diritto a porre in compensazione il credito, potendo la società solo chiedere il rimborso di quanto versato in eccedenza;

la sentenza censurata, quindi, ha tenuto conto della insussistenza del presupposto per potere ottenere la compensazione del credito Iva, profilo autonomo rispetto a quello, pur contemplato, in via alternativa, dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2, sicchè ha ritenuto che la mancanza delle condizioni per la detrazione Iva non impediva, comunque, alla società, di potere richiedere il rimborso;

non sussiste, quindi, alcuna intrinseca contraddittorietà del passaggio motivazionale in esame, sicchè non è ravvisabile il vizio di motivazione prospettato dalla ricorrente;

con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, per avere comminato sanzioni non dovute, quale quella di costringere la società a chiedere il rimborso;

il motivo è inammissibile;

lo stesso risulta articolato su valutazioni consequenziali alla pronuncia del giudice che ha negato alla parte il diritto a portare in compensazione il credito Iva per non avere presentato la dichiarazione Iva per l’anno precedente;

lo stesso, invero, non censura espressamente il passaggio motivazionale della sentenza che ha escluso la sussistenza del diritto alla compensazione e che ha costituito il punto centrale della decisione, ma valuta la successiva considerazione del giudice del gravame, con la quale è stato riconosciuto il diritto al rimborso, come una applicazione di sanzione non dovuta;

si tratta di un profilo che, come detto, non coglie la ratio decidendi della pronuncia censurata, in quanto ha a riferimento solo il profilo del riconoscimento del diritto al rimborso, e non anche la ragione di fondo sulla cui base il giudice del gravame ha ritenuto che non poteva essere riconosciuto il diritto alla compensazione, basata sulla considerazione che la contribuente aveva omesso di presentare la dichiarazione Iva per l’anno 2003;

non sussiste, dunque, alcuna violazione di legge, in particolare del D.Lgs. n. 471 del 1997 in tema di disciplina delle sanzioni: la considerazione della facoltà della società di potere chiedere a rimborso il credito non è configurabile in termine di sanzione, ma la conseguenza della insussistenza del diritto della società, secondo la ricostruzione argomentativa fatta dal giudice del gravame, di potersi avvalere della compensazione del credito;

con il quarto motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), in quanto: la sanzione sarebbe inapplicabile per effetto della previsione di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, sussistendo nella specie un fatto di forza maggiore; la compensazione offre le medesime garanzie del rimborso; la compensazione ha natura equivalente alla dichiarazione; la società aveva esercitato il diritto alla compensazione prima dell’eventuale scadenza di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19; la compensazione configura, sotto il profilo sostanziale, domanda di rimborso; il giudice può riconoscere il diritto alla compensazione in considerazione della natura di impugnazione merito del processo tributario; l’annualità in esame era accertabile nel momento in cui l’ufficio aveva emesso l’atto impugnato e, comunque, nel momento in cui la società aveva proposto ricorso; l’ufficio aveva affermato che la violazione commessa dalla società aveva natura sostanziale, ciò in contrasto con il principio di buona fede; la normativa unionale non contempla alcuna connessione tra il diritto alla detrazione e la dichiarazione; sussiste la buona fede della contribuente, ed è in contrasto con tale principio l’affermazione dell’ufficio secondo cui un credito iva non dichiarato e trasferito nell’anno successivo va trattato in modo diverso da un credito iva non dichiarato e compensato nel successivo anno;

il motivo è inammissibile;

in primo luogo, lo stesso è prospettato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), relativo alla nullità della sentenza per error in procedendo, ma nessuna delle diverse considerazioni espresse sono riconducibili nell’ambito della previsione normativa sopra indicata;

in ogni caso, lo stesso è articolato in diverse considerazioni prive di connessione con la ratio decidendi della pronuncia censurata, come sopra evidenziata, incentrata sulla considerazione della necessità del computo delle detrazioni nella dichiarazione annuale;

in particolare parte ricorrente non indica espressamente quale passaggio motivazionale della pronuncia ritiene di dovere censurare con l’uno o con l’altro argomento di cui è composto il presente motivo, essenzialmente incentrati sulla considerazione che la compensazione ha la stessa valenza dichiarazione e quindi ha gli stessi effetti della domanda di rimborso;

inoltre, la circostanza del fatto di forza maggiore, di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, attiene alla disciplina delle sanzioni, dunque ad un profilo che non ha rilievo nella presente controversia e a nulla rilevano le affermazioni dell’ufficio, valorizzate nel presente motivo, ai fini della sussistenza della propria buona fede;

in conclusione, il primo, terzo e quarto motivo sono inammissibili, infondato il secondo, con conseguente rigetto del ricorso e condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite che si liquidano in complessive Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019

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