Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33095 del 20/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 20/12/2018, (ud. 20/11/2018, dep. 20/12/2018), n.33095

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11034-2018 proposto da:

I.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 38,

presso lo studio dell’avvocato ROBERTO MAIORANA, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

e contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE DI FIRENZE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 18/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 18/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/11/2018 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO

TERRUSI.

Fatto

RILEVATO

che:

I.P. ricorre per cassazione, con tre motivi, avverso la sentenza della corte d’appello di Perugia che, in data 18-1-2018, ha rigettato il gravame finalizzato a ottenere la protezione – internazionale o umanitaria – negata dal tribunale;

col primo mezzo deduce la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sulla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria; col secondo mezzo denunzia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, stante la mancata concessione della protezione sussidiaria correlabile alle condizioni socio-politiche del paese di provenienza (la Nigeria); col terzo mezzo lamenta la mancata applicazione, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, della protezione umanitaria, atteso che le suddette condizioni del paese di origine non sarebbero state confacenti a un livello di vita adeguato e accettabile;

il Ministero ha replicato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il primo motivo è manifestamente infondato, giacchè la corte d’appello non ha omesso la pronuncia sulla domanda di protezione sussidiaria; in verità essa ha rigettato tale domanda affermando che in sede di audizione dinanzi alla commissione territoriale il richiedente non aveva specificato l’esistenza di una situazione di pericolo rientrante nell’ambito del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, avendo ammesso di aver lasciato il proprio paese solo per motivi economici;

il secondo mezzo è inammissibile perchè incentrato su un (peraltro generico) riferimento alla situazione asseritamente legittimante la protezione sussidiaria – la minaccia grave e individuale alla vita derivante da violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato – che in base alla sentenza non risulta posta a fondamento della domanda; nè il contrario traspare dal ricorso, volta che in esso non sono riportati i tratti salienti dei ricorsi avanzati dinanzi ai giudici di merito (in primo grado e in appello);

il terzo motivo è inammissibile per genericità;

questa Corte ha già affermato che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, riguarda lo straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, e dunque deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza (v. Cass. n. 4455-18);

in disparte ogni rilievo in ordine al sopravvenuto D.L. n. 113 del 2018, è decisivo che nel caso concreto la corte d’appello ha escluso – per quanto in modo sintetico – che sussistessero gravi motivi giustificanti l’adozione di una tal misura, e la decisione, involgente un apprezzamento di merito, non è sindacata sul versante della motivazione; nè d’altronde in questa sede il ricorrente ha specificato, in termini rispettosi del principio di autosufficienza, in qual senso e sotto quale profilo fosse stata dedotta dinanzi al giudice del merito l’esistenza di una condizione effettiva di integrazione nel tessuto sociale tale da costituire possibile fondamento, unitamente alla situazione del paese di origine, della protezione umanitaria;

le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 2.100,00, oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2018

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