Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33094 del 20/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 20/12/2018, (ud. 20/11/2018, dep. 20/12/2018), n.33094

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10333-2018 proposto da:

J.M.R., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA

CAVOUR presso la CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato VITTORIO D’ANGELO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE DI ROMA 2 SEZIONE ANCONA, in persona del Presidente

pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1457/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 29/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/11/2018 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO

TERRUSI.

Fatto

RILEVATO

che:

il tribunale di Ancona, accogliendo il ricorso di J.M.R. contro il provvedimento della competente commissione territoriale, riconosceva al predetto lo status di rifugiato;

la corte d’appello di Ancona riformava la decisione in base all’essenziale rilievo che il racconto del richiedente, posto al fondo della domanda, non era credibile, attesa la contraddittorietà rispetto alle dichiarazioni rese all’ufficio immigrazione al momento dell’arrivo in Italia, facenti riferimento a semplici necessità economiche derivanti dalla perdita del posto di lavoro nel paese di origine (il Gambia);

J.M.R. ha proposto ricorso per cassazione, dolendosi, con unico motivo, della suddetta valutazione di non credibilità soggettiva;

il Ministero dell’Interno ha replicato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il ricorso è inammissibile per due concorrenti ragioni;

innanzi tutto perchè il ricorrente ha violato l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, essendo stata omessa l’esposizione seppur sommaria dei fatti di causa: invero il ricorso, dopo aver indicato le parti e la sentenza impugnata, risulta direttamente e unicamente caratterizzato dall’esposizione del motivo per il quale è chiesta la cassazione della sentenza medesima;

in secondo luogo perchè la critica svolta nel ripetuto unico motivo si risolve in un tentativo di rivisitazione della valutazione di merito in ordine alla credibilità soggettiva del richiedente, e dunque si infrange coi noti limiti del giudizio di legittimità;

in tema di protezione internazionale, la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente deve essere svolta alla stregua dei criteri stabiliti nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5;

tanto suppone che la valutazione vada fatta tenendo conto del ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e della deduzione di un’idonea motivazione sull’assenza di riscontri oggettivi;

in egual misura, deve peraltro essere valutata la non contraddittorietà delle dichiarazioni rispetto alla situazione soggettiva dedotta, e l’attendibilità intrinseca di quelle dichiarazioni (v. già Cass. n. 16602-12); e in tale prospettiva la valutazione di “credibilità” dei fatti allegati implica che codesti fatti abbiano infine carattere di precisione, gravità e concordanza (Cass. n. 14157-16, Cass. n. 16925-18);

nella situazione concreta la corte d’appello ha escluso la credibilità soggettiva nel pieno esercizio della potestà di valutazione dei fatti, con motivazione plausibile e logica, praticamente incentrata sulla contraddittorietà e sulla genericità delle dichiarazioni del soggetto interessato, facenti riferimento a un presunto tentativo di rapina sfociato in un rapimento ai suoi danni ordito dalla stessa polizia locale, rispetto a quanto affermato al momento dell’ingresso nel territorio nazionale circa le ragioni in verità solo economiche della migrazione;

tale valutazione, congruamente motivata, si sottrae al sindacato di questa Corte;

le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 2.100,00, oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2018

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