Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3309 del 10/02/2021

Cassazione civile sez. III, 10/02/2021, (ud. 22/07/2020, dep. 10/02/2021), n.3309

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25770-2018 proposto da:

C.R., rappresentata e difesa dall’avvocato LUIGI ALDO

CUCINELLA;

– ricorrenti –

contro

TANGENZIALE NAPOLI SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, MELOZZO DA

FORLI 9, presso lo studio dell’avvocato GIAMPIERO LAURINO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTO VITAMORE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4722/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 16/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/07/2020 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione dell’11 giugno 2004, C.R. ed altri proprietari di alcune unità immobiliari site nel complesso di fabbricati in (OMISSIS), confinante con il viadotto destinato a servizio del raccordo della (OMISSIS), evocavano in giudizio la Tangenziale di Napoli S.p.A., chiedendone la condanna all’adozione delle misure idonee ad eliminare le immissioni sonore e le esalazioni di gas di scarico derivanti dall’intenso traffico veicolare, che superavano la normale tollerabilità, nonchè per la condanna al pagamento di un indennizzo, commisurato al deprezzamento dei singoli immobili, oltre al risarcimento dei danni alla salute;

si costituiva la Tangenziale di Napoli S.p.A. chiedendo il rigetto della domanda, eccependo, in via preliminare, l’intervenuta transazione tra essa e la cooperativa Nova Parva Domus Mea, che aveva realizzato il complesso di fabbricati, aggiungendo che gli attori avrebbero acquistato gli appartamenti dopo la realizzazione del progetto della tangenziale, che risaliva al 1968 e, molti di essi, dopo l’apertura al traffico del viadotto, avvenuta nel 1972. Deduceva che le immissioni non superavano i limiti di normale tollerabilità. In via subordinata, chiedeva la chiamata in causa della cooperativa, per essere manlevata;

si costituiva la cooperativa eccependo che l’atto di transazione riguardava la composizione di un contenzioso tra la Tangenziale di Napoli e la cooperativa, avente ad oggetto il risarcimento per esproprio; chiedeva, pertanto, l’estromissione dal giudizio;

disposta la separazione della causa principale, da quella di garanzia, il Tribunale di Napoli, con sentenza del 6 ottobre 2005, rigettava la domanda di manleva proposta dalla Tangenziale di Napoli. Nelle more del giudizio intervenivano altri proprietari di unità immobiliari dello stesso complesso di fabbricati;

Tribunale di Napoli, con sentenza del 7 gennaio 2013, accoglieva quasi tutte le domande condannando la Tangenziale di Napoli al pagamento di somme a titolo di perdita di valore venale degli immobili, evidenziando la necessità di applicare il metodo comparativo per valutare la tollerabilità delle immissioni acustiche che risultavano, pertanto, superiori ai limiti di legge. Rigettava, invece, la domanda proposta da coloro che avevano acquistato gli appartamenti successivamente alla data di apertura al traffico del viadotto. Rigettava la domanda di risarcimento del danno alla salute per assenza di allegazione e di prova del pregiudizio subito;

avverso tale sentenza proponeva appello la Tangenziale di Napoli con atto di citazione del 24 giugno 2013. Si costituivano gli appellati eccependo l’inammissibilità del gravame ai sensi dell’art. 342 c.p.c. e, nel merito, l’infondatezza. Con atto di citazione del 13 settembre 2013 C.R. e altri proprietari proponevano autonomi atti di impugnazione avverso i quali si costituiva la Tangenziale di Napoli. I due procedimenti erano riuniti. Per quello che rileva in questa sede, tra i motivi di impugnazione di Tangenziale di Napoli vi era la richiesta di rigetto della domanda anche nei confronti di C.R. in quanto la stessa, unitamente ad altri proprietari, era divenuta proprietaria dell’immobile danneggiato molti anni dopo l’apertura al traffico del tracciato;

la Corte d’Appello di Napoli, con sentenza del 16 novembre 2017, disattendeva l’eccezione di inammissibilità dell’appello proposto da la Tangenziale per violazione dell’art. 342 c.p.c. e accoglieva, tra gli altri, l’impugnazione nei confronti di C.R. perchè la stessa aveva acquistato il bene successivamente al 1972 e ciò in quanto i precedenti assegnatari avevano subito il deprezzamento del bene, mentre la C., che lo aveva ricevuto per donazione dalla madre, non avrebbe subito alcun pregiudizio ulteriore, dovendosi escludere che la cessione di un diritto reale comporti anche il trasferimento del diritto al risarcimento del danno, come rilevato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza del 16 febbraio 2016, n. 2951). In applicazione di tale principio il danno si sarebbe consumato per intero nella sfera giuridica del donante e la beneficiaria, nel 1988, avrebbe acquistato un bene già svalutato. Per tale motivo in accoglimento dell’appello di Tangenziale di Napoli S.p.A. rigettava la domanda proposta, tra gli altri, da C.R.;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione C.R. affidandosi a quattro motivi, illustrati da memoria. Resiste con controricorso la Tangenziale di Napoli S.p.A. che deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 183 c.p.c., comma 6, artt. 115 e 345 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 Il giudice di appello avrebbe accolto l’impugnazione nonostante l’assenza di contestazioni, da parte della Tangenziale di Napoli, in ordine alla titolarità del diritto vantato da C.. In particolare, dal contenuto degli atti processuali di primo grado emergerebbe, da parte di la Tangenziale di Napoli, una difesa generalizzata per tutti gli attori senza specifiche eccezioni riferite alla posizione della odierna ricorrente. La Tangenziale avrebbe genericamente sostenuto l’infondatezza nel merito delle pretese per insussistenza di inquinamento acustico e atmosferico, senza differenziare la posizione di C., rispetto a quella degli altri autori. Sotto tale profilo opererebbe il principio di non contestazione, riguardante anche la posizione del convenuto. Infatti, la titolarità del diritto sostanziale attiene alla fondatezza della domanda e può essere provata anche attraverso il comportamento processuale del convenuto che non contesti tale titolarità;

con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 345 c.p.c. La Corte territoriale avrebbe accolto una domanda proposta dalla Tangenziale di Napoli, per la prima volta in appello e che non era stata preceduta, in primo grado da alcuna contestazione sulla titolarità del diritto di C.R.. Pertanto, si sarebbe formato un giudicato rispetto alla mancata contestazione dell’azione processuale dell’odierna ricorrente, con conseguente violazione dell’art. 345 c.p.c., trattandosi di questione proposta per la prima volta in appello;

i due motivi vanno trattati congiuntamente perchè strettamente connessi riguardando la medesima questione che viene prospettata come violazione di legge. I motivi sono inammissibili per due ordini di ragioni. In primo luogo, perchè dedotti in assoluta violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 poichè la tesi della ricorrente si fonda sul principio di non contestazione, che consentirebbe di ritenere provata la titolarità del diritto sostanziale vantato. A tal fine parte ricorrente avrebbe dovuto non solo trascrivere, allegare e sintetizzare l’oggetto specifico della domanda fatta valere in citazione, ma soprattutto trascrivere, allegare e localizzare all’interno del fascicolo di legittimità la parte della comparsa di costituzione della Tangenziale di Napoli relativa alla posizione specifica della odierna ricorrente sul punto. Sotto tale profilo il generico riferimento contenuto a pagina 12 del ricorso all’esistenza di una difesa generalizzata per tutti gli attori (“vedi comparsa di costituzione di primo grado, avvocato Vitamore, depositata il 5 aprile 2005)” è assolutamente insufficiente;

in secondo luogo le censure non sono specifiche poichè la questione affrontata dalla Corte territoriale non riguarda il problema se la Tangenziale Nord abbia o meno contestato la titolarità del diritto in capo alla odierna ricorrente, inteso quale titolo di proprietà derivato da un atto di donazione del 1988. La questione riguarda la sussistenza degli elementi costitutivi del risarcimento del danno, con la conseguenza che l’indagine va necessariamente espletata d’ufficio e rispetto a tale questione giuridica non opera il principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c. che riguarda soltanto i fatti principali della pretesa e non le tematiche giuridiche. Pertanto, la verifica doverosamente operata dalla Corte territoriale riguarda la sussistenza di tutti gli elementi del danno risarcibile che, nel caso di specie, difetterebbero poichè il pregiudizio lamentato riguarda il deprezzamento del bene immobile e tale specifica forma di danno – secondo il giudice di appello- si era interamente verificata in capo alla dante causa (madre della odierna ricorrente);

con il terzo motivo si lamenta la violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 poichè nell’atto di appello di la Tangenziale non vi sarebbe alcuna richiesta di rigetto della domanda nei confronti di C.R.. Per tale motivo il giudice di appello sarebbe incorso nel vizio di ultra petizione ai sensi dell’art. 112 c.p.c. Sotto altro profilo la decisione sarebbe sbagliata nella parte in cui la Corte territoriale ha rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 342 c.p.c. e ciò in quanto il primo motivo di appello della Tangenziale conterrebbe una copiosa serie di argomentazioni, per ben 13 pagine “di tal che non è dato capire quali sono i motivi dell’accoglimento specifico riferito alla posizione C.R.”;

il motivo è inammissibile. In primo luogo, perchè avendo ad oggetto un vizio di ultra petizione avrebbe dovuto essere correttamente dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e art. 112 c.p.c. e non quale violazione di legge. In secondo luogo perchè, già dal contenuto del motivo (pagina 16) emerge con evidenza che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, l’atto di appello conteneva richieste inerenti anche il rigetto della domanda nei confronti di C.R., atteso che le conclusioni trascritte dalla stessa ricorrente hanno il seguente tenore letterale: “respingere la domanda degli attori tutti, perchè infondata in forza di quanto esposto nel primo motivo di appello”. In terzo luogo perchè la censura relativa all’art. 342 c.p.c. è assolutamente generica consistendo nelle ultime tre righe di pagina 17, delle quali il nucleo centrale è costituito dalla circostanza che “il primo motivo contiene una serie di deduzioni, argomentazioni e motivazioni, le più svariate e consta di ben 13 pagine, di talchè non è dato capire quali sono i motivi dell’accoglimento specifico riferito alla posizione C.”. Pertanto, il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 poichè la deduzione non consente di apprezzare quali specifici motivi di impugnazione siano stati obliterati dalla Corte territoriale. La ricorrente avrebbe dovuto allegare o trascrivere il testo dei motivi di appello e i relativi passaggi della sentenza del Tribunale (Cass. 7 aprile 2017, n. 9122);

infine, quando si censuri, come nel caso di specie, la statuizione di ammissibilità e conseguente rigetto dell’eccezione di inammissibilità ex art. 342 c.p.c. dell’appello, la ricorrente ha l’onere di individuare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e non sufficientemente specifico, invece, il gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (Cass. n. 22880 del 29/09/2017, Rv. 645637 – 01);

analogo onere riguarda l’allegazione, trascrizione o l’indicazione della sede processuale nella quale è stata prodotta la sentenza di primo grado, in quanto il requisito della specificità dei motivi dettato dall’art. 342 c.p.c. esige che, alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata (decisione del Tribunale), vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinarne il fondamento logico giuridico, ciò risolvendosi in una valutazione del fatto processuale che impone una verifica in concreto, ispirata ad un principio di simmetria e condotta alla luce del raffronto tra la motivazione del provvedimento appellato e la formulazione dell’atto di gravame. Tali profili sono ignorati dalla ricorrente;

con l’ultimo motivo si lamenta la violazione di artt. 1263 e 1260 c.c. in quanto la ricorrente, quale acquirente del bene oggetto del giudizio, sarebbe legittimata a richiedere il risarcimento del danno. Il giudice di primo grado non avrebbe tenuto conto dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui (Cassazione Sezioni Unite 16 febbraio 2016 n. 2951) il danno risarcibile riguarda il proprietario attuale del bene pregiudicato dal terzo e non i successivi aventi causa;

motivo è inammissibile perchè non è chiaro e non individua il passaggio della motivazione che si intende impugnare e quali sarebbero le norme violate dal giudice di appello. Sotto altro profilo è oltremodo generico, si riferisce alla statuizione del giudice di primo grado e non di appello e richiama, a proprio favore, il principio affermato dalle Sezioni Unite che, al contrario, esprimono un criterio contrario alla posizione della ricorrente, affermando che il diritto al risarcimento del danno non si trasferisce con l’atto di donazione e che il pregiudizio matura in capo al dante causa e non si estende ai soggetti che, come la C., abbiano acquisito in un tempo successivo la titolarità del bene;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 3.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 22 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2021

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