Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3308 del 08/02/2017


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Cassazione civile, sez. I, 08/02/2017, (ud. 22/06/2016, dep.08/02/2017),  n. 3308

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

T.G., elettivamente domiciliato in Roma, viale Mazzini,

n. 11, nello studio dell’avv. Paolo Stella Richter, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avv.ti Vladimiro Pegoraro e

Michele Greggio, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PONSO, elettivamente domiciliato in Roma, via Confalonieri,

n. 5, nello studio dell’avv. Luigi Manzi, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avv. Mario Testa, giusta procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

nonchè sul ricorso proposto in via incidentale da:

COMUNE DI PONSO, come sopra rappresentato;

– ricorrente in via incidentale –

contro

T.G., come sopra rappresentato;

– controricorrente a ricorso incidentale –

avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia, n. 526,

depositata in data 14 marzo 2011;

sentita la relazione svolta all’udienza pubblica del 22 giugno 2016

dal Consigliere Dott. Pietro Campanile;

sentito per il ricorrente principale l’avv. Pegoraro;

sentito per il Comune di Ponso l’avv. Emanuele Coglitore, munito di

delega;

udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott.ssa Anna Maria Soldi, la quale ha concluso per l’accoglimento

di entrambi i ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Venezia, pronunciando sulle domande – avanzate all’esito del deposito della relazione di stima del collegio di periti nominato ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 21 – di determinazione dell’indennità di espropriazione richiesta dal Comune di Ponzo nei confronti del signor T.G. in relazione al procedimento ablativo per la realizzazione di una scuola, concernente un terreno esteso per mq 5.241, ha determinato in Euro 39.988,00 detta indennità, ordinandone il deposito.

1.1. La Corte distrettuale, dopo aver affermato la natura edificatoria dell’area, principalmente perchè, era inserita in zona destinata alla costruzione, anche ad opera di privati, di strutture scolastiche, ha precisato che nella specie doveva tenersi conto, ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 7, del valore dichiarato dal proprietario ai fini dell’ICI, pari ad Euro 7,63 al mq.

1.2. Per la cassazione di tale decisione il sig. T. propone ricorso, affidato a tre motivi, cui si oppone il Comune con controricorso e con ricorso incidentale condizionato, sorretto da unica censura, resistita da controricorso.

Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. Con il primo motivo del ricorso principale, denunciando violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 7, in relazione all’art. 42 Cost. e all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale Cedu, il sig. T. si duole, prospettando anche vizio motivazionale, della decurtazione dell’indennità sulla base del valore dichiarato ai fini dell’imposta comunale sugli immobili (ici).

2.1. Viene altresì proposta la questione di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 7, in relazione alle norme sopra indicate.

2.2. Con il secondo mezzo si deduce violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., in relazione al rilievo ufficioso dell’eccezione inerente al valore dichiarato ai fini dell’ici.

2.3. La terza doglianza attiene alla violazione del citato art. 37, comma 7 del T.U. sulle espropriazioni e dell’art. 2967 c.c., nonchè vizio di motivazione, in merito alle valutazioni concernenti le dichiarazioni del ricorrenti in relazione all’ici.

3. Le esposte censure possono essere congiuntamente esaminate, in quanto intimamente correlate.

3.1 – Deve in primo luogo rilevarsi l’infondatezza dell’eccezione sollevata dal Comune in relazione al cumulo in un unico motivo delle censure di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, dovendosi ritenere che esso non comporti inammissibilità allorchè comunque si evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass., 23 aprile 2013, n. 9793; Cass. Sez., un., 31 marzo 2009, n. 7770). Nella specie, al di là dell’inammissibilità della sola deduzione del vizio motivazionale, se non altro perchè essenzialmente riferito – ad eccezione del contenuto del terzo mezzo, che, per quanto si dirà, rimane assorbito – a una questione di natura giuridica, la questione in merito alla legittimità dell’applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 7, è sorretta da una critica distinta e ben argomentata.

3.2 – Le esposte censure nel loro complesso sono pienamente fondate, a seguito dell’abrogazione della norma applicata nella decisione impugnata.

Infatti con sentenza del 22 dicembre 2011, n. 338, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 16, comma 1 (e, in via consequenziale, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37, comma 7), nella parte in cui, per il caso di omessa dichiarazione o denuncia ai fini dell’imposta comunale sugli immobili (ici) o di dichiarazione o denuncia di valori assolutamente irrisori, non stabilisce un limite alla riduzione dell’indennità di esproprio, idoneo ad impedire la totale elisione di qualsiasi ragionevole rapporto tra il valore venale del suolo espropriato e l’ammontare della indennità.

4 – L’accoglimento del ricorso principale impone l’esame della censura avanzata con il ricorso proposto, in via condizionata, dal Comune di Ponso, che ha contestato la ricognizione giuridica del terreno, sostenendone la natura agricola in quanto inserito da tempo in zona F, laddove il vincolo apposto per la realizzazione di una scuola (in base al quale la corte distrettuale, essendo la stessa realizzabile anche ad opera di privati, ha affermato l’edificabilità legale) avrebbe natura espropriativa.

4.1 – Non può condividersi l’eccezione di inammissibilità sollevata in relazione al ricorso incidentale in esame, in quanto condizionato. La tesi del ricorrente principale, secondo cui, essendo il Comune soccombente in relazione alla dedotta natura agricola dell’area, non avrebbe potuto proporre ricorso incidentale condizionato, di tal che si sarebbe formato il giudicato interno in ordine a tale questione, non appare condivisibile. In realtà, proprio la soccombenza parziale su una questione di merito costituisce il presupposto, per così dire, “ordinario”, per il condizionamento dell’impugnazione proposta in via incidentale; altra questione, che nella specie non rileva, è la più complessa fattispecie concernente il ricorso della parte totalmente vittoriosa nel merito, ma soccombente rispetto a una questione preliminare, sulla quale sono state prospettate diverse soluzioni in dottrina e in giurisprudenza.

Non è agevole poi comprendere come possano conciliarsi la specifica impugnazione di una statuizione, come quella proposta dall’ente territoriale, con l’acquiescenza alla medesima.

4.2. La corte distrettuale ha rilevato che secondo le previsioni del P.R.G. del Comune di Ponso il terreno espropriato era inserito in zona Z.T.O. F: escluso che nella specie fosse ravvisabile un vincolo di natura espropriativa, ne ha affermato l’edificabilità legale in considerazione della possibilità della realizzazione degli edifici ad uso scolastico anche da parte dei privati, mediante convenzione per il Comune. Ha poi rilevato che, anche volendo ritenere che la localizzazione avesse natura “lenticolare”, si sarebbe dovuto considerare il valore delle aree edificate cui il suolo era urbanisticamente asservito.

4.3. Il ricorso incidentale, con cui si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 37, 40 e 41, si fonda sulla natura dell’opera da realizzare e sulla destinazione pubblicistica dell’area in cui il terreno era inserito, tale da escludere, anche considerando la natura espropriativa del vincolo, la legale edificabilità, è fondato.

4.4. Deve invero ribadirsi il principio, del tutto consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 15389 del 2007; n. 15616 del 2007; 12862 del 2010; n. 8231 del 2012; n. 14347 del 2012), secondo cui la destinazione di aree ad edilizia scolastica configura un tipico vincolo conformativo – in quanto trascende la necessità di zone circoscritte, ed è concepibile solo nella complessiva sistemazione del territorio, nel quadro della ripartizione zonale in base a criteri generali ed astratti -, ma, diversamente da quanto sostenuto dalla corte distrettuale, determina il carattere di non edificabilità delle relative aree, neppure sotto il profilo di una realizzabilità della destinazione ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, giacchè l’edilizia scolastica è riconducibile ad un servizio strettamente pubblicistico, connesso al perseguimento di un fine proprio ed istituzionale dello Stato, su cui non interferisce la parità assicurata all’insegnamento privato.

4.5. Sotto altro profilo, la soluzione dell’altro corno del dilemma alternativamente esaminato nell’impugnata decisione, concernente l’ipotizzata natura lenticolare della localizzazione, è del pari errata, in quanto, essendo l’area già inserita in zona F, “area per l’istruzione”, si tratta di una destinazione inquadrabile in linea di principio nella zonizzazione del territorio e dunque determina il carattere non edificabile dei suoli stessi, con esclusione del criterio dell’edificabilità di fatto, al quale sembra riferirsi la Corte di appello di Venezia (Cass., 24 marzo 2011, n. 6873).

4.6. L’affermazione della Corte territoriale secondo cui la natura edificatoria deriverebbe dal fatto che gli interventi previsti in sede di pianificazione territoriale avrebbero potuto esser realizzati anche da privati non può essere condivisa. Questa Corte ha in più occasioni rilevato che in tal modo la privatizzabilità dell’intervento finirebbe per diventare l’unico requisito necessario e sufficiente a conferire il carattere di edificabilità al terreno che resta, invece, oggettivamente inserito in una zona non edificatoria (rientrante nell’ambito di quelle che il D.M. 2 aprile 1968, art. 2, include, appunto, fra “le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale”.

4.7. Questa Corte ha di recente ribadito (cfr., Cass., 24 febbraio 2016, n. 3620, alla quale si rinvia per i richiami giurisprudenziali e per il complesso iter argomentativo, fondato anche sull’analisi dei principi enunciati dalla Corte Costituzionale, soprattutto con la sentenza n. 179 del 1999), l’esigenza di verificare la natura edificatoria o meno di un terreno prescindendo dalle “confusioni concettuali” ingenerate dalla non sempre corretta interpretazione delle pronunce del Giudice delle leggi in merito alla distinzione fra vincoli conformativi ed espropriativi, che attiene, nella prospettiva delle suddette pronunce, al tema della loro temporaneità e dell’indennizzo in caso di reiterazione.

Sotto tale profilo è stato evidenziato come questa Corte abbia pienamente condiviso e recepito il quadro interpretativo offerto dalla Consulta e dal Consiglio di Stato (anche sulla distinzione tra le due categorie di vincoli: cfr. Cass., n. 11218 del 2015; Cass., n. 25513 del 2010), provvedendo altresì a completare la tutela del proprietario soprattutto nel caso assai ricorrente di perdurante inerzia dell’amministrazione comunale pur dopo la loro scadenza. Proprio in relazione al verificarsi di questa fattispecie, in conformità alle pronunce della Corte Edu (CEDU, 15 luglio 2004, Scordino; 17 ottobre 2002, Terrazzi; 7 luglio 2015, Odescalchi), la giurisprudenza di legittimità, in applicazione dell’art. 39 T.U., ha attribuito al proprietario, nel caso di reiterazione del vincolo, il diritto di chiedere al giudice ordinario lo speciale indennizzo introdotto dalla norma, autonomo e cumulabile con l’indennità successiva per l’eventuale espropriazione dell’immobile (Cass., n. 14774 del 2012; Cass., n. 22992 del 2014; Cass., Sez. un., n. 9302 del 2010), mentre nel caso di decadenza del vincolo (o di annullamento del provvedimento di reiterazione), ha statuito che il proprietario non resta senza tutela a fronte dell’inerzia dell’ente territoriale, ben potendo promuovere gli interventi sostitutivi della Regione oppure reagire alla stessa attraverso la procedura di messa in mora e tipizzazione giurisdizionale del silenzio davanti al giudice amministrativo; con conseguente diritto, in caso di inottemperanza della p.a. di richiedere allo stesso giudice l’integrale risarcimento del danno sofferto (Cass., n. 14333 del 2003; Cass., n. 1754/2007; Cass., n. 8384 del 2008; Cass., n.26546 del 2014).

4.8. Nell’ipotesi in cui venga proposta domanda di determinazione della giusta indennità spettante ai proprietari in presenza della situazione della perdita in radice del diritto dominicale sul bene in conseguenza della sua formale e sostanziale ablazione, nonchè del trasferimento di ogni pretesa (L. n. 2359 del 1865, art. 52 e art. 25 T.U.) sull’indennità di espropriazione sostitutiva, quale garantita dall’art. 42 Cost., comma 3 e L. n. 2359 del 1865, art. 52, non può essere consentita la trasposizione della dicotomia “vincoli conformativi/vincoli espropriativi”, pur corrispondente a quella enunciata dalla Corte Costituzionale, neppure in via analogica, mancandone entrambi i presupposti richiesti dall’art. 12 preleggi, della assenza di norme specifiche sulla fattispecie concreta e della presenza di elementi di identità tra di essa e quella legislativamente regolata (Cass., n. 2656 del 2015; Cass., n. 8278 del 2014; Cass., n. 9852 del 2002). In tale ipotesi, infatti, sussiste “una normativa specifica dettata proprio e soltanto (“Ai soli fini dell’applicabilità delle disposizioni della presente sezione….”) per la “determinazione del valore venale del bene” nelle espropriazioni per p.u., nonchè per la “determinazione dell’indennità di espropriazione” per le aree edificabilì e non edificabili, introdotta (all’epoca del decreto dí esproprio) dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, ed oggi recepita (nonchè resa irreversibile) dagli artt. 32 e 37 T.U. cit. (i quali, come si legge nel parere dell’Ad. gen. Cons. St. 4/2001 che li ha predisposti, si sono limitati ad una ricognizione e specificazione delle disposizioni precedenti: cfr. Ad. plen. 7/2007)”.

4.9. La determinazione dell’indennità, pertanto, deve avvenire sulla base “dell’accertamento non già della contrapposizione vincoli conformativi/espropriativi, ma della ricorrenza (o per converso della mancanza) delle “possibilità legali di edificazione” al momento del decreto di espropriazione (L. n. 359, art. 5 bis, comma 3 e art. 32, comma 1, e art. 37, comma 3 T.U.): accertamento risolto in modo ínequivoco e troncante dal menzionato art. 37, comma 4 T.U. per il quale, premessa la ininfluenza dei vincoli espropriativi, “non sussistono le possibilità legali di edificazione quando l’area è sottoposta ad un vincolo di inedificabilità assoluta in base alla normativa statale o regionale o alle previsioni di qualsiasi atto di programmazione o di pianificazione del territorio, ivi compresi il piano regolatore generale,…ovvero in base ad un qualsiasi altro piano o provvedimento che abbia precluso il rilascio di atti, comunque denominati, abilitativi della realizzazione di edifici o manufatti di natura privata” (così la richiamata Cass. n. 3620 del 2016).

5. L’accoglimento di entrambi i ricorsi comporta la cassazione della decisione impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Venezia, che applicherà i principi sopra indicati e provvederà al regolamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, considerando, in caso di affermata natura non edificatoria del terreno, la necessità di determinare – per effetto della nota pronuncia n. 181 del 2011 della Corte costituzionale – il valore di mercato dello stesso, considerando anche che, all’interno della categoria suoli inedificabili, rivestono valore a fini indennitari le possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti ecc.), sempre che siano assentite dalla normativa vigente sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative.

PQM

La Corte accoglie il ricorso principale e l’incidentale. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 22 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2017

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