Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3307 del 08/02/2017


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Cassazione civile, sez. I, 08/02/2017, (ud. 22/06/2016, dep.08/02/2017),  n. 3307

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

B.G. – B.M.L. – B.U. – P.C. –

P.L., elettivamente domiciliati in Roma, via di Torre

Argentina, n. 47, nello studio dell’avv. Riccardo Mariotti, che li

rappresenta e difende, giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI ROVIGO, elettivamente domiciliato in Roma, via Tarvisio, n.

3, nello studio dell’avv. Enrico Vedova; rappresentato e difeso

dall’avv. Luca Azzano Cantarutti, giusta procura speciale a margine

del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia, n. 1126,

depositata in data 17 maggio 2010;

sentita la relazione svolta all’udienza pubblica del 22 giugno 2016

dal Consigliere Dott. Pietro Campanile;

sentito per i ricorrenti l’avv. Mariotti;

udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott.ssa Anna Maria Soldi, la quale ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con atto di citazione notificato il 28 settembre 2006 i signori B.G., M.L. e U., nonchè P.C. e L. convenivano davanti alla Corte di appello di Venezia il Comune di Rovigo, chiedendo, ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39, l’attribuzione dell’indennità relativa alla reiterazione, con Delib. Consiglio Comunale 19 dicembre 2003, dei vincoli espropriativi già imposti con la variante generale adottata il 21 marzo 1990 e approvata dal Presidente della Giunta regionale il 27 agosto 1994.

1.1. Nel contraddittorio dell’ente convenuto, che contestava la fondatezza della pretesa, veniva espletata consulenza tecnica d’ufficio, all’esito della quale la Corte distrettuale, con la decisione indicata in epigrafe, rigettava la domanda.

1.2. Veniva rilevato che l’area di proprietà dell’attrice era stata destinata, secondo le previsioni del piano regolatore stabilite da una variante approvata il 27 agosto 1994, in parte a zona agricola, in parte ad attrezzature di interesse comune, in parte a strada e in parte a zona di rispetto fluviale.

Tanto premesso, si osservava che la Delib. 19 dicembre 2003, con la quale era stata disposta la reiterazione dei vincoli, e sulla quale la domanda di indennizzo si fondava, non era mai stata approvata, ragion per cui, in assenza di una piena ed efficace reiterazione di detto vincolo, non ricorrevano i presupposti richiesti, ai fini del riconoscimento dell’indennità, del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39, a tal fine non assumendo rilievo la mera applicabilità delle norme di salvaguardia, ai sensi della L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 3.

1.3. Per la cassazione di tale decisione il B. e gli altri proprietari propongono ricorso, affidato a due motivi, cui l’amministrazione intimata resiste con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. Con il primo motivo del ricorso principale, denunciando violazione e falsa applicazione “delle norme di diritto” i ricorrenti lamentano: a) l’omesso esame dell’inerzia dell’amministrazione durante il periodo (dal 1959 al 2007) in cui il terreno era stato sottoposto a vincolo; b) erronea interpretazione della sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1999; c) erroneità della tesi secondo cui, in caso di mancata reiterazione del vincolo, i terreni siano sottoposti alle norme di salvaguardia.

2.1. Con il secondo mezzo si deduce omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione alla valutazione dei danni oggetto di stima peritale.

3. Le esposte censure possono essere congiuntamente esaminate, in quanto intimamente correlate.

3.1. Il ricorso è permeato da una sostanziale infondatezza, con particolare riferimento all’insussistenza, in apicibus, di vincoli che possano dar luogo ad indennizzo ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39 e, comunque, della sentenza n. 179 del 1999.

3.2. Nella sentenza impugnata si dà atto che con una variante adottata in data 21 marzo 1990, ed approvata il 27 agosto 1994, l’area era stata classificata in parte agricola di rispetto fluviale, in parte strada ed infine zona di rispetto fluviale.

3.3. Per costante giurisprudenza, l’indennizzo per i vincoli urbanistici, come alternativa non eludibile al termine di efficacia posto dalla L. 19 novembre 1968, n. 1187, art. 39, è dovuto allorchè la possibilità di reiterazione del vincolo scaduto, riconosciuta all’Amministrazione per giustificate ragioni di interesse pubblico, comporta che si superi la durata fissata dal legislatore come limite alla sopportabilità del sacrificio da parte del soggetto titolare del bene. Non tutti i vincoli urbanistici, tuttavia, sono soggetti a decadenza, e conseguentemente alla possibilità di indennizzo allorchè reiterati, ma soltanto quelli aventi carattere particolare, per i quali la mancata fruibilità del bene protratta nel tempo e non indennizzata determina violazione dell’art. 42 Cost., comma 3: in particolare non sono indennizzabili i vincoli posti a carico di intere categorie di beni, e tra questi i vincoli urbanistici di tipo conformativo, e i vincoli paesistici (Corte Cost., 20 maggio 1999, n. 179).

3.4. Quanto ai vincoli di natura conformativa, costituisce jus receptum in giurisprudenza il principio per cui il carattere conformativo dei vincoli non dipende dalla collocazione in una specifica categoria di strumenti urbanistici, ma soltanto dai requisiti oggettivi, per natura e struttura, dei vincoli stessi, ricorrendo in particolare tale carattere ove gli stessi vincoli siano inquadrabili nella zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche o del rapporto, per lo più spaziale, con un’opera pubblica.

3.5. Al contrario, il vincolo, se incide su beni determinati, in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata, deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione (cfr. Cons. Stato, sez. 4, 30 luglio 2012 n. 4321).

4. Le destinazioni in questione, come sopra indicate (zona agricola, sede stradale, F2 attrezzature di interesse comune e zona di rispetto fluviale), non possono di certo qualificarsi come vincoli preordinati all’esproprio.

Infatti l’individuazione di un’area come agricola o la sua destinazione a zona F (cfr. quanto a quest’ultima, Cass., 24 marzo 2011, n. 6873; Cass., 17 maggio 2005, n. 10343) costituiscono una schietta espressione del potere dell’amministrazione di procedere alla zonizzazione del territorio, che risulta effettuata in virtù di criteri generali e astratti, e non già in funzione della localizzazione di un’opera pubblica specifica su beni per essa individuati (cfr. Cass., 11 gennaio 2013, nn. 614 e 615); il vincolo fluviale è privo, di certo, di natura espropriativa, essendo inteso alla tutela ambientale e paesaggistica (Cass., Sez. un., 20 settembre 2006, n. 20319). La destinazione a strada, poi, assume di regola carattere conformativo nel caso in cui il piano regolatore abbia previsto la strada nell’ambito di una destinazione delle zone del territorio con limitazioni di ordine generale ricadenti su una pluralità indistinta di beni, ovvero di vincolo preordinato all’espropriazione, ove ricorra una localizzazione – nella specie neppure adombrata dai ricorrenti – lenticolare della strada incidente su specifici beni e con un rilievo all’interno e a servizio delle singole zone (19 maggio 2013, n. 11236).

6. La natura conformativa dei vincoli in esame esclude la fondatezza della domanda di indennizzo. Per mera completezza di esposizione si ribadisce, quanto alla denunciata inerzia dell’amministrazione, che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il fatto costitutivo del diritto all’indennizzo non è individuabile nell’imposizione originaria di un vincolo di inedificabilità, e neppure nella protrazione di fatto del medesimo dopo la sua decadenza – giacchè in tal caso ben può il proprietario sollecitare l’esercizio del potere pianificatorio attraverso la procedura di messa in mora, e far accertare, di risulta, l’illegittimità del silenzio -, bensì nell’atto che esplicitamente lo reitera (Cass., 26 gennaio 2007, n. 1754).

7. Vale bene ribadire, infine, che la sentenza impugnata si è correttamente conformata al principio, già affermato da questa Corte, secondo cui, ai fini del riconoscimento dell’indennità prevista dal D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 39, occorre una piena ed efficace reiterazione dei vincoli espropriativi già imposti, una volta superato il primo periodo di ordinaria durata temporanea del primo di essi, a tal fine non assumendo rilievo la mera applicabilità delle norme di salvaguardia, ai sensi della L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 3, trattandosi di regime urbanistico provvisorio.

8 – Al rigetto del ricorso, per le indicate ragioni, consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 22 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2017

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