Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3307 del 03/02/2022

Cassazione civile sez. trib., 03/02/2022, (ud. 07/12/2021, dep. 03/02/2022), n.3307

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 18727/2015 R.G. proposto da:

Z.M., rappresentato e difeso dagli avvocati professori

Loris Tosi e Giuseppe Marini, con domicilio eletto presso lo studio

del secondo, in Roma, alla via di Villa Sacchetti, n. 9;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza resa dalla Commissione tributaria

regionale per il Veneto n. 258/26/15, pronunciata il 01 dicembre

2014, depositata il 26 gennaio 2015 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 07 dicembre 2021

dal Co: Marcello M. Fracanzani;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Basile Tommaso, che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il ricorrente era attinto da ripresa a tassazione in conseguenza dei maggiori utili accertati in capo alla soc. Z.M. s.p.a. per gli anni di imposta 2009 e 2010, di cui risultava amministratore unico e socio con partecipazione oltre il 78% nell’esercizio 2008.

Più in particolare, divenuti definitivi gli accertamenti nei confronti della società per mancata contestazione, l’Ufficio ricalcolava i redditi del sig. Z.M., in ragione della partecipazione posseduta in una società di capitali a ristretta base azionaria. Donde il contribuente impugnava con distinti ricorsi gli atti impositivi che lo riguardavano, senza trovare apprezzamento delle proprie ragioni presso il giudice di prossimità che riuniva i ricorsi e li riteneva infondati, richiamando l’orientamento di questa Suprema Corte in ordine all’effetto riflesso verso il socio degli avvisi di accertamento definitivi nei confronti della società.

Il collegio d’appello confermava la sentenza di primo grado, riprendendo le argomentazioni del primo giudice, segnatamente rilevando l’inammissibilità delle impugnazioni degli avvisi di accertamento a carico della società operata dal sig. Z., sia perché promossi tardivamente, sia perché promossi da soggetto non legittimato, atteso che dopo lo spossessamento aziendale, l’unico legittimato rimane il curatore.

Ricorre per cassazione il contribuente Z.M., affidandosi a quattro motivi di doglianza, mentre ha spiegato tempestivo controricorso l’Avvocatura generale dello Stato.

In prossimità dell’odierna udienza pubblica la parte privata ha depositato due memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Vengono proposti quattro motivi di ricorso.

1. Con il primo motivo si prospetta censura ex art. 360 c.p.c., n. 4, per motivazione apparente e violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 61, nonché dell’art. 132 codice di rito civile, comma 2, n. 4, dell’art. 118 relative disp. att., nella sostanza lamentando che la gravata sentenza siasi limitata a motivare sulla definitività degli accertamenti in capo alla società, impedendo così una sostanziale difesa del contribuente come persona fisica.

2. Con il secondo motivo si prospetta ancora censura ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione delle medesime disposizioni di cui sopra, cui si aggiungono gli artt. 122 e 123 codice di rito civile, protestando la nullità della sentenza per insufficiente motivazione sulle ragioni che hanno indotto a non disporre l’acquisizione degli elaborati peritali disposti in sede penale.

I due motivi, strettamente collegati, possono essere trattati congiuntamente e sono infondati.

2.1 La commissione di merito ha ben governato i principi regolatori di questa Corte di legittimità sia in ordine alla struttura della motivazione, sia circa il valore riflesso degli accertamenti definitivi a carico della società, sia in ordine all’autonomia fra processo penale e giudizio tributario.

Ed infatti, secondo le Sezioni Unite, la motivazione apparente deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez.Un. 7 aprile 2014 n. 8053).

E’ ormai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale (Cass. VI- 5, n. 9105/2017) ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. In tali casi la sentenza resta sprovvista in concreto del c.d. “minimo costituzionale” di cui alla già citata pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U, n. 8053/2014, seguita da Cass. VI – 5, n. 5209/2018). In termini si veda anche quanto stabilito in altro caso (Cass. Sez. L, Sentenza n. 161 del 08/01/2009) nel quale questa Corte ha ritenuto che la sentenza è nulla ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ove risulti del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (cfr., recentemente, Cass. V, n. 24313/2018).

2.2. Peraltro, l’autonomia del processo tributario rispetto a quello penale è stata ribadita da questa Corte con numerose sentenze in piena continuità a far data da Cass. V, n. 19786/2011, fino a n. 27814/2020, in ragione alla diversità dei mezzi di prova ed alle modalità di acquisizione.

Ne’ può essere sindacato come vizio di motivazione l’apprezzamento che il giudice di merito svolga nel bilanciamento del compendio probatorio offerto dalle parti. Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357).

Ne’ il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).

2.3. Infine, la definitività degli accertamenti societari svolge effetto di atto presupposto nei confronti della ripresa a tassazione verso il socio. E’ stato infatti ritenuto che l’avviso di accertamento nei confronti del socio per redditi da utili non dichiarati di società di capitali a ristretta base partecipativa è legittimamente emesso e adeguatamente motivato anche quando il socio non abbia partecipato all’accertamento nei confronti della società e l’atto contenga un mero rinvio “per relationem” ai redditi della società, non essendo i due accertamenti autonomi e indipendenti, in virtù dei poteri concessi ai soci, ai sensi dell’art. 2261 c.c., di consultare la documentazione contabile e di partecipare perciò agli accertamenti che riguardano la società, sicché essi non possono dolersi della definitività dell’accertamento, né riproporre doglianze ad esso riferibili (Cass. VI – 5, n. 3980/2020). Ne’ tale principio è scalfito dalla circostanza del fallimento della società che, se per un verso porta alla perdita delle guida dell’impresa, dall’altro non fa venir meno i diritti e doveri di socio.

Per l’effetto, l’accertamento in capo alla società costituisce elemento presupposto che può essere superato dal socio destinatario di consequenziale accertamento- nei limiti individuati da questa Corte con consolidata giurisprudenza (da ultimo, Cass. V, n. 2224/2021, specialmente pag. 33 e ss.).

Il puntuale richiamo in motivazione della gravata sentenza è buon governo di questi principi, per cui i due motivi sono infondati e debbono essere rigettati.

3. Con il terzo motivo si propone censura ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione dell’art. 2697 c.c., nella sostanza negando che l’accertamento di un maggior reddito comporti percentualmente maggior reddito in capo al socio.

Il motivo non può essere accolto.

3.1. Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha affermato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà per il contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati invece accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non essendo tuttavia a tal fine sufficiente la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili (cfr. Cass. V n. 5076/2011; n. 17928/2012; n. 27778/2017; n. 30069/2018; n. 27049/2019, nonché Cass. VI – 5 n. 24820/2021). In particolare, si è precisato, che la presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati non viola il divieto di presunzione di secondo grado poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale (Cass. 22 aprile 2009, n. 9519).

3.2. E’ consolidato l’orientamento per cui in tema di imposte sui redditi di capitale, per escludere l’operatività della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili, conseguiti e non dichiarati da una società a ristretta base partecipativa, non è sufficiente che il socio si limiti ad allegare genericamente la mancanza di prova di un valido e definitivo accertamento nei confronti della società, ma deve contestare lo stesso effettivo conseguimento, da parte della società, di tali utili, ove non sia in grado di dimostrare la mancata distribuzione degli stessi, stante l’autonomia dei giudizi nei confronti della società e del socio e il rapporto di pregiudizialità dell’accertamento nei confronti del primo rispetto a quello verso il secondo (Cfr. Cass. V, n. 33976/2019).

Anche il terzo motivo non può quindi essere accolto.

4. Con il quarto motivo si propone censura ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 47, 84 e 163, nonché del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, nella sostanza lamentando che nel riferire al socio proporzionalmente i maggiori utili accertati in capo alla società a ristretta base azionaria non siano state considerate le tasse corrisposte dalla società e depurato il relativo importo.

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria, in caso di accertamento di utili non contabilizzati, opera la presunzione di attribuzione “pro quota” ai soci degli utili stessi, salva la prova contraria e la dimostrazione che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti. Nel caso che la presunzione di distribuzione degli utili occulti non sia superata, la quota attribuita al socio non può essere considerata al netto delle imposte che la società è tenuta a pagare in quanto, trattandosi di ricavi extracontabili, nessun pagamento di imposte è ipotizzabile in tal caso (cfr. Cass. V, n. 16885/2003).

A questi principi si è conformata l’impugnata sentenza, sicché il motivo è infondato e non può essere accolto.

In definitiva il ricorso è infondato e dev’essere rigettato. Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese in favore dell’Agenzia delle entrate che liquida in Euro settemila/00, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 -quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2022

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