Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33064 del 20/12/2018

Cassazione civile sez. II, 20/12/2018, (ud. 23/10/2018, dep. 20/12/2018), n.33064

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22421/2017 proposto da:

P.P., rappresentato e difeso da se medesimo ex art. 86 c.p.c.

e PL.MA.RI. rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLO

PINTI;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositato il

24/02/2017, R.G.n. 806/2016, Cron. n. 51/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/10/2018 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1 La Corte d’appello di Perugia, con decreto 24.2.2017, ha respinto l’opposizione proposta da P.P. e Pl.Ma.Ri. contro il decreto del consigliere delegato con cui, per l’irragionevole durata di un giudizio civile contro un istituto di credito in materia di conto corrente, era stato liquidato in favore dei predetti la somma di Euro 661,18.

La Corte territoriale, richiamato il disposto della L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 3, ha rilevato che il suddetto importo di C. 661,18 corrispondeva all’entità della condanna pronunciata dal Tribunale di Perugia nel giudizio presupposto intentato dai P. – Pl. contro la banca.

2 Per la cassazione del decreto i soccombenti hanno proposto ricorso a cui il Ministero della Giustizia resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con l’unico motivo i due ricorrenti deducono ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 3, rimproverando alla Corte di merito di non avere considerato che il giudizio presupposto era di valore indeterminabile e non di valore pari alla somma oggetto della pronuncia di condanna. In ogni caso, ad avviso dei ricorrenti, occorreva invece considerare la differenza tra il saldo passivo del conto (circa 17.000,00 Euro) e il nuovo saldo a credito del correntista (Euro. 661,18). Di conseguenza, essi avevano diritto ad un indennizzo pari ad Euro 4.800,00 ciascuno.

Il ricorso è fondato.

Dispone della L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 3, che “La misura dell’indennizzo, anche in deroga al comma 1, non può in ogni caso essere superiore al valore della causa o, se inferiore, a quello del diritto accertato dal giudice”. Questa norma, garantendo una più stretta relazione tra il significato economico della domanda giudiziale e il patema d’animo che la parte subisce in attesa della definizione, persegue la “ratio” di evitare sovracompensazioni (Sez. 6-2, Sentenza n. 14047 del 08/07/2016 Rv. 640212).

Ciò significa che l’adozione del criterio del valore della domanda postula l’esatta individuazione, da parte del giudice dell’equa riparazione, del detto valore (così Sez. 6-2, Sentenza n. 25711 del 21/12/2015).

Nel caso di specie il decreto impugnato appare decisamente omissivo, avendo ritenuto in modo semplicistico, sulla scia della soluzione prescelta dal giudice della fase monitoria, che il valore del diritto accertato è pari alla somma di Euro 661,18, cioè alla mera differenza a credito del correntista, omettendo, invece, di procedere, come invece sarebbe stato necessario, all’esatta individuazione del valore stesso, che nel giudizio di dare e avere quale era quello presupposto, e nel quale si contestava la legittimità di un saldo negativo di Euro 17.758,95, era pari al valore di tutte le somme riaccreditate secondo l’accertamento compiuto dal consulente contabile nominato.

La frettolosa conclusione della Corte d’Appello ancorata al mero dispositivo della sentenza del Tribunale, è dunque il frutto di una errata interpretazione della disposizione normativa e pertanto determina inevitabilmente la cassazione del decreto con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia che, in diversa composizione, e previa una accurata lettura della decisione conclusiva del giudizio presupposto, rimedierà all’errore individuando correttamente il valore della domanda o, se inferiore, il valore del diritto accertato dal giudice e provvedendo quindi alla determinazione dell’indennizzo spettante ai ricorrenti nonchè, all’esito, alla regolamentazione delle spese anche di questo giudizio.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2018

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