Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33052 del 20/12/2018

Cassazione civile sez. II, 20/12/2018, (ud. 11/09/2018, dep. 20/12/2018), n.33052

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 32/2015 R.G. proposto da:

C.C., C.M., in proprio e nella qualità di

eredi di CA.Ol., rappresentati e difesi, in forza di

procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. Domenico Bizzarro,

con studio eletto in Roma, via Tazio Nuvolari 173, presso lo studio

del difensore;

– ricorrenti –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale in calce al controricorso, dagli avv.ti Armando Bonghi e

Rossella Albamonte, con domicilio eletto in Roma, via Mario Musco

63, presso lo studio dei difensori;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Corte d’Appello di Roma n. 4864, depositata

il 18 luglio 2014.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13 luglio 2018 dal Consigliere Dott. Giuseppe Tedesco.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Il Condominio di via Poggio Ameno 32 di Roma chiamava in giudizio C.C., C.M. e Ca.Ol., proprietari dei locali adibiti a palestra ubicati al piano interrato, denunciando che i convenuti avevano annesso alla loro proprietà esclusiva un’intercapedine destinata a dare area e luce alla parte interrata del fabbricato, oltre che a fornire protezione contro l’umidità.

Chiedeva la rimessione in pristino, con la restituzione della porzione all’uso comune, in conformità alla sua destinazione.

I convenuti si costituivano e deducevano che l’intercapedine non c’era mai stata; che essi avevano acquistato il bene in forza di successione ereditaria nella situazione attuale; che risultava provato con documenti che erano decorsi oltre venti anni dalla supposta modificazione, essendo quindi maturata l’usucapione.

Il Tribunale di Roma accoglieva la domanda, con sentenza confermata dalla Corte d’appello di Roma.

La corte distrettuale, dopo avere identificato il presupposto della domanda nella natura condominiale dell’intercapedine, faceva proprie le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio, evidenziando che il consulente aveva accertato a) l’originaria esistenza della intercapedine; b) l’intervenuta modificazione delle funzioni originarie della stessa intercapedine; c) la data di tale modificazione, fatta risalire a prima del mese di ottobre del 1983.

La corte aggiungeva che la determinazione della data, nei termini suddetti, non era tuttavia rilevante, essendo tardiva l’eccezione di usucapione proposta dagli appellanti.

Per la cassazione della sentenza C.C. e C.M., in proprio e nella qualità di eredi di Ca.Ol., hanno proposto ricorso, affidato a due motivi.

Il Condominio di (OMISSIS) ha resistito con controricorso.

Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il primo motivo denuncia nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3,) per difetto di motivazione.

I ricorrenti avevano censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui il tribunale aveva riconosciuto l’originaria esistenza della intercapedine.

Essi avevano denunciato inoltre l’arbitraria valutazione delle risultanze probatorie da parte del primo giudice.

Su questo punti la corte la motivazione della sentenza è carente e contraddittoria.

Il motivo è infondato.

La motivazione della sentenza consente di identificare con precisione le ragioni che hanno indotto la corte a confermare la decisione del primo giudice, di accoglimento della domanda del Condominio (Cass., S.U., n. 8053/2014).

Invero, nel fare propria la ricostruzione del consulente tecnico, la corte ha accertato l’esistenza originaria della intercapedine, la funzione da questa assolta in ambito condominiale, la successiva modificazione di tale funzione mediante annessione ai locali palestra.

Pertanto è chiaro che, sotto la veste della mancanza di motivazione, i ricorrenti censurano in realtà la valutazione degli elementi istruttori da parte del giudice di merito, pretendendone una diversa.

Ciò in cassazione non è consentito.

Già nel vigore del testo previgente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), si precisava che la norma “non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione data dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, senza che lo stesso giudice del merito incontri alcun limite al riguardo, salvo che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, non essendo peraltro tenuto a vagliare ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, risultino logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. n. 9234/2006).

Il secondo motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

La corte non avrebbe considerato la situazione di fatto (in particolare la presenza di un muro maestro realizzato dal lato confinante con il terrapieno, “ben rinforzato e dunque tale da confermare la pressione della terra sulla parete, nonchè ben isolato tale dunque da impedire all’umidità del terreno di intaccarlo”).

Si sostiene che la situazione dei luoghi, ove valutata in rapporto ai documenti prodotti, lasciava emergere che l’intercapedine, da quel lato, non era mai esistita.

D’altronde, seppure la intercapedine fosse esistita, essa era stata inglobata da oltre venti anni ai locali interrati degli attuali ricorrenti, posto che il medesimo consulente tecnico ha collocato la data della modificazione in epoca anteriore all’ottobre 1983.

Conseguentemente i ricorrenti, subentrati per titolo ereditario in un momento successivo, hanno acquistato il bene nelle condizioni attuali, con l’area in questione accorpata alla proprietà individuale in guisa da formare un tutto indistinguibile.

Nondimeno la corte di merito ha dichiarato tardiva l’eccezione di usucapione, senza considerare che l’acquisto a titolo originario del diritto, se proposta al limitato fine di paralizzare la pretesa altrui, è opponibile anche in grado d’appello.

Il motivo è inammissibile.

In esso, infatti, sono frammiste censure riguardanti la ricostruzione del fatto, violazione di legge e errores in procedendo, che andavano proposte separatamente in ossequio al principio di specificità dei motivi di ricorso.

In ogni caso, per quanto attiene alla ricostruzione del fatto, i ricorrenti, sotto la veste del vizio di omesso esame, propongono una diversa lettura del materiale probatorio, non consentita in cassazione (supra).

Quanto al rilievo che i ricorrenti hanno acquistato il bene nella situazione attuale, la relativa deduzione non chiarisce in che cosa sia consistito l’errore, in ipotesi di diritto, commesso dalla corte d’appello (Cass. n. 1108/2007; n. 16038/2013; n. 25419/2014).

Si può aggiungere che gli stessi ricorrenti indicano, quale titolo di acquisto, la successione mortis causa: essi, pertanto, hanno acquistato il diritto se ed in quanto questo esisteva nel patrimonio del dante causa.

La corte non ha trascurato di considerare l’epoca della modificazione indicata dal consulente, ma ha ritenuto la questione irrilevante, essendo tardiva l’eccezione di usucapione, che è eccezione in senso stretto, soggetta a preclusione (Cass. n. 21484/2007).

La pronuncia citata dai ricorrenti (Cass. n. 2805/1981) si riferisca a controversia anteriore alla riforma introdotta con la L. 26 novembre 1990, n. 353.

In conclusione il ricorso è rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo del versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettaria nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

dichiara ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 11 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2018

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