Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33051 del 16/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 16/12/2019, (ud. 24/10/2019, dep. 16/12/2019), n.33051

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22686/2017 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

presso i cui uffici è domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n.

12;

– ricorrente –

contro

ITT Cannon Veam Italia s.r.l., in persona del legale rappresentante

pro tempore, incorporante della società Veam s.r.l., rappresentata

e difesa dall’Avv. Eliani Rizzi, con domicilio eletto in Roma, Viale

Mazzini, n. 11, presso lo studio dell’Avv. Livia Salvini, giusta

procura speciale in calce al controricorso.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, n. 2595/2017, depositata il 9 giugno 2017.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 ottobre

2019 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Veam s.r.l., poi incorporata nella ITT Cannon Veam Italia s.r.l., dopo aver presentato al Ministero dell’Industria il modulo per la richiesta di agevolazioni finanziarie, ai sensi del D.L. n. 415 del 1992, poi convertito in L. n. 488 del 1992, e dopo aver ricevuto “in via provvisoria” un contributo finalizzato alla realizzazione di un piano di investimenti per l’ammodernamento dello stabilimento industriale di (OMISSIS), attuato con l’esecuzione di opere edili sul fabbricato (tutte iscritte tra i costi di beni ammortizzabili in base al principio contabile Oic 16), oltre che con l’acquisto di macchinari e attrezzature, ha iscritto in bilancio le prime due rate (delle 3 complessive) ricevute pari ad Euro 129.140,05 ciascuna, rispettivamente nel 1999 e nel 2000, assoggettandole a tassazione, su un totale del contributo di Euro 387.420,14, con un indebito pagamento di imposte per Euro 105.249,00. Solo nel 2003 la società si era avveduta dell’errore, provvedendo ad una modifica in contabilità, con imputazione della somma complessiva di Euro 258.280,00, pari alla somma delle due rate di contributo ricevute nel 1999 e nel 2000, tra gli oneri straordinari e rilevando in contabilità in contropartita il debito nei confronti dell’ente concedente, in caso di revoca del contributo ed obbligo di restituzione delle somme già ricevute. Il contributo era stato, poi, ridotto ad Euro 262.974,64 nel 2005 e, poi, di nuovo ridotto in via definitiva, il 14-6-2006, ad Euro 192.848,00 avendo la società dismesso i beni, con restituzione da parte della stessa della somma di Euro 114.301,44 l’1-12-2006. Pertanto, l’intero contributo concesso in via definitiva aveva concorso alla determinazione del reddito imponibile nel 2006, che però evidenziava una perdita per Euro 5.416.911 ai fini Ires, perdita che confluiva nel reddito complessivo del bilancio consolidato di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 117, con un credito Irap di Euro 356.399,00. La società presentava istanza di rimborso il 25-62004 per la restituzione degli importi indebitamente pagati e il 18-5-2012 impugnava il silenzio rifiuto dell’Amministrazione finanziaria.

2. La Commissione tributaria provinciale di Milano rigettava il ricorso, in quanto correttamente la società aveva correttamente assoggettato a tassazione le prime due rate del contributo provvisorio negli anni 1999 e 2000, essendo peraltro decorsi più di dieci anni tra la data di versamento delle imposte (1999 e 2000) e la data di presentazione del ricorso.

3. La Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva l’appello proposto dalla società, evidenziava che, trattandosi di contributi in conto impianti, gli stessi erano assoggettabili a tassazione nel periodo di imposta in cui erano incassati in via definitiva, e non in via provvisoria, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, che si fonda sul principio di certezza ed oggettiva determinabilità dei componenti positivi e negativi di reddito, quindi nell’anno 2006. La domanda di rimborso era stata presentata tempestivamente. Doveva essere evitata, quindi, una doppia imposizione.

4. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

5. Resiste con controricorso la società, depositando memoria scritta.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce “violazione e falsa applicazione del TUIR, art. 55, comma 3, lett. b), e art. 75m comma 1, (nel testo vigente fino al 31-12-2003), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 55, comma 3, lett. b, all’epoca vigente, era corretta l’assoggettabilità a tassazione delle prime due rate, relative al contributo “provvisorio”, negli anni di ricezione delle somme, quindi nel 1999 e nel 2000, da considerarsi come “sopravvenienze attive”, non dovendosi attendere la determinazione “definitiva” del contributo, in quanto l’eventuale revoca del provvedimento sarebbe stata una semplice condizione risolutiva del contributo già concesso. Nè era possibile distinguere nell’ambito del contributo la parte destinata a ciascuna categoria di spesa, non dovendosi considerare sopravvenienze attive solo i contributi destinati all’acquisto di beni ammortizzabili.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, e dell’art. 2969 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, in quanto era decorso il termine di quattro anni di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, con riferimento ai versamenti dell’acconto Irpeg ed Iva relativo al primo versamento effettuati il 25-6-2000.

3. Il primo motivo è fondato.

3.1. Invero, il D.L. n. 415 del 1992, art. 1, (modifiche alla L. 1 marzo 1986, n. 64, in tema di disciplina organica dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno) ha autorizzato il finanziamento degli incentivi alle attività produttive di cui alla L. n. 64 del 1986, demandando al CIPE ed al CIPI la definizione delle disposizioni per la concessione delle agevolazioni.

Il Reg. 20 ottobre 1995, n. 527, art. 3, indica la tipologia di investimenti ammissibili (“le agevolazioni…possono essere concesse a fronte di programmi volti alla realizzazione di nuove unità produttive ovvero all’incremento della capacità produttiva e dell’occupazione…”).

Le spese ammissibili di cui al Reg., art. 4, sono “quelle relative all’acquisto, all’acquisizione mediante locazione finanziaria o alla costruzione di immobilizzazioni… Dette spese riguardano: a) progettazione e direzione lavori, studi di fattibilità economico-finanziaria… b) suolo aziendale, sue sistemazioni e indagini geognostiche; c) opere murarie e assimilate; d) infrastrutture specifiche aziendali; e) macchinari, impianti ed attrezzature varie, nuovi di fabbrica, ivi compresi quelli necessari all’attività amministrativa dell’impresa, ed esclusi quelli relativi all’attività di rappresentanza…”.

Il Reg., art. 6, prevede la concessione provvisoria delle agevolazioni, mentre l’art. 8, disciplinava la revoca delle agevolazioni.

Il Reg., art. 7, (modalità di erogazione) stabilisce che “l’importo dell’agevolazione concessa è impegnato dal ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato con il decreto di concessione provvisoria ed è reso disponibile, le condizioni di cui al comma 2, in tre quote annuali di pari ammontare…. Ciascuna delle due o tre quote e erogata dalla banca concessionaria subordinatamente all’effettiva realizzazione della corrispondente parte degli investimenti, eccezione fatta per la prima, che può anche essere erogata titolo di anticipazione…”.

Il Reg., art. 10, disciplina la concessione definitiva delle agevolazioni, all’esito della “documentazione definitiva” di spesa, inviata dall’impresa e trasmessa dalle banche concessionarie al Ministero competente a erogare i finanziamenti.

Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 55, comma 3, lett. d, all’epoca vigente (poi nuovo Tuir, art. 88), stabilisce che “sono inoltre sopravvenienze attive: ..lett. b) i proventi in denaro o in natura conseguiti a titolo di contributo o di liberalità, esclusi i contributi di cui all’art. 53, comma 1, lett. e) ed f), e quelli per l’acquisto di beni ammortizzabili indipendentemente dal tipo di finanziamento adottato. Tali proventi concorrono a formare il reddito nell’esercizio in cui sono stati incassati o in quote costanti nell’esercizio in cui sono stati incassati e nei successivi ma non oltre il quarto”.

3.2. Per questa Corte, però, le somme corrisposte per effetto del decreto di “concessione provvisoria” del contributo di cui al D.L. 22 ottobre 1992, n. 415, convertito nella L. 19 dicembre 1992, n. 488, costituiscono sopravvenienze attive, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 55, comma 3, lett. b), – per il quale sono considerati tali i proventi in denaro corrisposti a titolo di contributo, esclusi quelli per l’acquisto di beni ammortizzabili -, e non, invece, debito nei confronti dell’ente erogatore, in quanto il provvedimento indicato, determinando a norma del D.M. 20 ottobre 1995, n. 527, art. 7, l’impegno dell’importo dell’agevolazione da parte del Ministero competente, già costituisce la fonte del diritto di credito per il beneficiario, e non, più limitatamente, l’assenso all’erogazione di una parte del contributo anteriormente al sorgere del diritto di credito (Cass., 12 ottobre 2012, n. 17522; cass., 20 luglio 2018, n. 19430).

Peraltro, per questa Corte a sezioni unite, in tema di sovvenzioni e finanziamenti erogati dalla P.A. a privati, il procedimento per la concessione e l’erogazione delle agevolazioni a favore delle attività produttive nelle aree depresse del Paese previste dal D.L. 22 ottobre 1992, n. 415, convertito in L. 19 dicembre 1992, n. 488, è regolato dal D.M. 20 ottobre 1995, n. 527, che, nel prevedere all’art. 6, comma 7, la “concessione provvisoria” del contributo – erogato con le modalità di cui all’art. 7 e revocabile ai sensi dell’art. 8 -, stabilisce che all’esito della “documentazione definitiva” di spesa inviata dall’impresa e trasmessa dalle banche concessionarie al Ministero dell’industria (oggi, delle attività produttive), l’amministrazione provveda alla cd. concessione definitiva, disciplinata dal successivo art. 10. L’atto di concessione qualificata come “provvisoria” dal detto regolamento, all’esito della graduatoria fra le imprese richiedenti, già crea un credito dell’impresa al contributo, che viene adempiuto, senza margini di discrezionalità, dall’amministrazione erogante, sussistendo già, per effetto di una siffatta concessione, un diritto dell’impresa al finanziamento, sul quale ha cognizione il solo giudice ordinario, ancorchè possa aversi revoca del finanziamento stesso, entro i limiti fissati dal regolamento, o riduzione (come nella specie), in rapporto a spese non ammissibili, revoca o riduzione che si esprimono, dunque, in atti nei quali la p.a. non esercita discrezionalità alcuna, dovendosi soltanto uniformare ai principi vincolanti della normativa vigente (Cass., sez. un., 10 luglio 2006, n. 15618).

Le somme erogate con la concessione provvisoria del contributo ai sensi del Reg. n. 527 del 1995, artt. 6 e 7, dopo l’effettiva realizzazione della corrispondente parte delle opere relative agli investimenti, entrano da subito a far parte del patrimonio dell’impresa, in quanto devono essere utilizzate per la realizzazione dell’intero investimento programmato, salvo l’obbligo di restituzione da parte dell’impresa beneficiaria, in caso di revoca del finanziamento nei casi previsti dal D.M., art. 8, o di rinuncia da parte della stessa beneficiaria.

3.3. Si è, poi, precisato (Cass., 17522/2012) che i contributi concessi dallo Stato o da enti pubblici ed utilizzati anche, ma non esclusivamente, per l’acquisito o la costruzione di beni strumentali, costituiscono sopravvenienze attive non solo per la parte non destinata a tale scopo, ma, in mancanza di una esplicita indicazione del beneficiario, per l’intero importo, giacchè la disciplina dei proventi per la realizzazione o l’acquisto di beni strumentali costituisce un’eccezione alla regola generale di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 55, comma 3, lett. b), ed i relativi presupposti di fatto devono essere dedotti e provati da chi riceve l’erogazione.

Infatti, benchè la società avesse destinato i contributi anche all’acquisto o costruzione di beni ammortizzabili, il suo progetto di investimento era di natura complessa, comprendendo necessariamente anche spese non finalizzate alla realizzazione o all’acquisto di beni strumentali (come per esempio spese per studi di fattibilità o di progettazione), senza che la società beneficiaria abbia specificamente evidenziato la parte di somma erogata che andava riferita a beni strumentali.

3.4. La Commissione regionale non si è attenuta ai principi suindicati, in quanto ha erroneamente ritenuto che, in base al principio di competenza di cui al Tuir, art. 109, poichè il contributo provvisorio diveniva definitivo solo successivamente, le somme ricevute a titolo di contributi dalla società assumevano “rilevanza reddituale soltanto nel periodo d’imposta in cui sono assegnati a titolo definitivo (anno 2006) e quindi quando sia certo il diritto a ottenerli, nonchè il relativo ammontare”.

3.5. Nè si è verificata una doppia tassazione, avendo la società assoggettato a pagamento sia gli importi ricevuti a titolo provvisorio negli anni 1999 e 2000 e, poi, avendo considerato tali importi ai fini della determinazione del reddito di impresa anche nel 2006, quando ha ritenuto che i contributi dovessero essere tassati a seguito del decreto di concessione definitiva.

Invero, non è consentito al contribuente scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza, neppure al dichiarato fine di bilanciare componenti attivi e passivi del reddito e pur in assenza della configurabilità di un danno per l’erario, atteso che le regole sull’imputazione temporale dei componenti negativi, dettate in via generale dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, sono vincolanti sia per il contribuente che per l’erario e, per la loro inderogabilità, non richiedono nè legittimano un qualche giudizio sull’esistenza o meno di un danno erariale, per modo che appare decisamente irrilevante l’eventuale (anche effettiva) insussistenza dello stesso nel caso concreto (Cass.,n. 1648/2013; Cass. n. 20805/2017).

3.6. Nè si può accogliere la tesi della società per cui, trattandosi di contributi in conto impianto, tali spese, anche se talora non relative a beni ammortizzabili (spese di progetto ed altro) vanno inserite nell’attivo patrimoniale, per essere poi anch’esse oggetto di ammortamento nel conto economico, sì da divenire “beni ammortizzabili”. Per la società l’espressione “spese per acquisto di beni ammortizzabili”, escluse per tale ragione dalle sopravveniente attive, e quindi non tassabili nel 1999 e nel 2000, ma solo nel 2006, doveva essere letta in senso ampio, quindi non solo con riferimento alle spese sostenute per l’acquisto di beni ammortizzabili, ma anche come contributo per sostenere spese accessorie, collaterali all’acquisto dei beni stessi. Ciò a condizione che dette spese siano iscritte in bilancio unitamente al costo vero e proprio del bene ammortizzabile, sì da costituire un unico complessivo costo.

Invero, l’art. 2424 c.c., dello stato patrimoniale prevede alla lettera BI1 dell’attivo proprio i costi di impianto e di ampliamento, ma ciò solo previo consenso del collegio sindacale. L’art. 2426 c.c., comma 1, n. 5, prevede, poi, che “i costi di impianto e di ampliamento e i costi di sviluppo aventi utilità pluriennale possono essere iscritti nell’attivo con il consenso, ove esistente, del collegio sindacale. I costi di impianto e ampliamento devono essere ammortizzati entro un periodo non superiore a cinque anni”.

Vengono poi, in rilievo, i principi contabili nazionali (OIC 24), riferiti proprio ai costi di impianto e di ampliamento, consentendo la capitalizzazione degli stessi all’attivo patrimoniale e la deduzione delle quote di ammortamento in più anni. Tuttavia, come detto, nella specie, non risulta che tali spese siano state indicate in bilancio nell’attivo patrimoniale, tra le immobilizzazioni materiali, nè v’è stato il consenso del collegio sindacale (Cass., 6 novembre 2013, n. 24939).

Inoltre, il principio internazionale di cui allo IAS 38, invece, esclude in ogni caso la possibilità di capitalizzazione delle spese per costi di impianto, in quanto si intende privilegiare la trasparenza della gestione societaria, con la plastica visione dei risultati di ogni esercizio, con la comparazione tra ricavi e costi (cfr. “lo Ias 38, che regola la contabilizzazione delle immobilizzazioni immateriali, definisce queste ultime in guisa da escludere dal loro novero i costi di impianto e di ampliamento i quali, pertanto,…non sono capitalizzabili…ma restano assorbiti negli ordinari costi di esercizio”).

Nè v’è stata non contestazione da parte della Agenzia delle entrate in ordine alla appostazione delle spese sostenute dalla contribuente nello stato patrimoniale, in quanto dall’inizio l’Agenzia delle entrate ha contestato che il contributo provvisorio doveva essere assoggettato a tassazione nel periodo di imposta in cui sono state ricevute le somme dalla società, negli anni 1999 e 2000, in tal modo contestando anche l’apposizione dei costi nei bilanci di esercizio.

4. Il secondo motivo di ricorso deve essere dichiarato assorbito, in conseguenza dell’accoglimento del primo motivo, che consente la definizione della controversia.

5. La sentenza deve, quindi, essere cassata ma, non essendo necessari ulteriori accertamento di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con il rigetto del ricorso originario della contribuente.

6. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della società, per il principio della soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.

Le spese dei giudizi dei gradi di merito devono essere compensate per intero tra le parti, in ragione delle alterne vicende delle relative definizioni.

PQM

Accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente.

Condanna la società a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 5.300,00, oltre spese prenotate a debito.

Compensa interamente tra le parti le spese dei giudizi dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019

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