Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33041 del 16/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 16/12/2019, (ud. 24/10/2019, dep. 16/12/2019), n.33041

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1620/2013 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COSTRUZIONI TECNICHE COMMERCIALI S.R.L., in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura

speciale in atti, dall’Avv. Giorgio Concas, con domicilio eletto

presso lo studio dell’Avv. Caterina Caput in Roma, via Toscani, n.

49;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della

Sardegna, n. 37/01/12, depositata in data 04 settembre 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 ottobre

2019 dal Consigliere Dott. Michele Cataldi.

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle entrate, con avviso relativo all’anno d’imposta 2005, aveva accertato, nei confronti della Costruzioni Tecniche Commerciali s.r.l., l’erronea indicazione del valore delle rimanenze finali, dichiarate nella misura di Euro 203.500,00, in luogo di quella di Euro 57.710,97. La differenza era imputata all’erroneo inserimento, tra le giacenze finali, del valore delle opere ultimate relative ai cantieri di (OMISSIS) e (OMISSIS), che, secondo l’ufficio, avrebbero dovuto essere inserite tra i ricavi dello stesso anno d’imposta 2005, nel quale avrebbe quindi dovuto trovare fine la loro rilevanza economica.

2. Successivamente l’ufficio, nei confronti della medesima società, con avviso relativo all’anno d’imposta 2006, per effetto della riduzione del valore delle rimanenze finali di cui all’esercizio precedente, ha accertato il minor valore di quelle iniziali di cui all’esercizio successivo. Dalla conseguente contrazione della componente negativa rappresentata dalle rimanenze iniziali, l’Ufficio ha quindi fatto derivare l’incremento dell’imponibile relativo all’anno 2006, con conseguente determinazione delle maggiori imposte Ires ed Irap, oltre agli interessi ed alle sanzioni.

3. Avverso l’accertamento relativo all’anno d’imposta 2006, la società contribuente ha proposto ricorso innanzi la Commissione tributaria provinciale di Cagliari, sostenendo che, per effetto della rettifica operata con l’accertamento del 2005, il valore delle predette rimanenze finali era stato incluse tra i ricavi in tale anno d’imposta.

Tuttavia, i medesimi ricavi erano già stati inclusi dalla società tra quelli del successivo anno d’imposta 2006. Ma nell’accertamento relativo a quest’ultimo periodo, l’Ufficio non aveva considerato tale circostanza, che avrebbe giustificato la neutralizzazione, ai fini fiscali, della riduzione del valore delle rimanenze iniziali, al fine di evitare che il medesimo provento, vale a dire gli stessi ricavi, venissero sottoposti, sostanzialmente, ad imposizione sia nell’esercizio 2005 (per effetto della rettifica, frutto dell’accertamento “presupposto”, da rimanenze finali a ricavi), sia in quello 2006 (per effetto della loro inclusione, da parte della contribuente, tra i ricavi di tale periodo, non compensati dalle rimanenze iniziali, ridotte dall’accertamento sub iudice).

La CTP, con la sentenza di primo grado, ha rigettato il ricorso della contribuente.

4. Contro la sentenza di primo grado, la società contribuente ha proposto ricorso innanzi la Commissione tributaria provinciale di Cagliari, che lo ha accolto con la sentenza n. 37/01/12, depositata in data 04 settembre 2012.

5. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza della CTR.

6. La contribuente società si è costituita con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, formulato ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Ufficio ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 92, comma 7, art. 93, comma 4, e art. 163.

Assume infatti il ricorrente che la sentenza impugnata ha erroneamente ritenuto applicabile alla fattispecie il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 93, comma 4, norma che disciplina le rimanenze relative alle opere, forniture e servizi pattuiti come oggetto unitario e con tempo di esecuzione ultrannuale, ipotesi che, pacificamente, non ricorre nel caso di specie, che ha per oggetto opere infrannuali. Inoltre, aggiunge il ricorrente, il giudice a quo ha anche errato nell’interpretare ed applicare il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 92, comma 7, il quale prevede che “Le rimanenze finali di un esercizio nell’ammontare indicato dal contribuente costituiscono le esistenze iniziali dell’esercizio successivo.”.

Tale disposizione, secondo l’Agenzia, imponeva la diminuzione del valore delle rimanenze iniziali del 2006 in conseguenza della riduzione, operata con il precedente accertamento, del valore di quelle finali del 2005, per evitare che la contribuente, avvalendosi di costi rimasti indebitamente sospesi nell’anno precedente, riducesse senza titolo il proprio reddito imponibile dell’anno successivo.

2. Con il secondo motivo, formulato ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Ufficio ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 163. Assume infatti il ricorrente che la sentenza impugnata, nell’affermare che l’Amministrazione “consapevole di aver anticipato i ricavi nell’esercizio 2005, avrebbe dovuto necessariamente detassarli nel successivo esercizio 2006”, ha erroneamente ritenuto che la ricostruzione proposta dall’Agenzia nell’accertamento controverso abbia provocato la violazione del divieto di doppia imposizione, peraltro senza che fosse accertato che la contribuente, nell’anno d’imposta 2006, avesse dichiarato quei medesimi ricavi riferibili all’anno d’imposta 2005 e coincidenti con la precedente rettifica del valore delle rimanenze finali di tale periodo.

3. I due motivi, strettamente connessi, devono essere trattati congiuntamente.

Tanto premesso, è opportuno sottolineare che la motivazione della sentenza impugnata evidenzia una duplice ed alternativa ratio decidendi.

La prima, fondata sull’applicazione alla fattispecie del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 93, comma 4, (norma che disciplina le rimanenze relative alle opere, forniture e servizi pattuiti come oggetto unitario e con tempo di esecuzione ultrannuale), non è neppure contestata dalla controricorrente ed è pacificamente erronea, atteso che nel caso di specie non risultano evidenziati nella stessa decisione, nè allegati dalle parti, i caratteri dell’ultrannualità delle opere. E’ quindi fondata la parte del primo motivo di ricorso che denuncia tale errore di giudizio e ribadisce piuttosto l’applicabilità alla controversia del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 92, comma 7, (“Le rimanenze finali di un esercizio nell’ammontare indicato dal contribuente costituiscono le esistenze iniziali dell’esercizio successivo.”), ma non della stessa fonte, art. 93, comma 4.

Tuttavia, tale conclusione, con la conseguente correzione della motivazione della pronuncia in diritto, non conduce di per sè sola all’accoglimento del ricorso, in quanto la motivazione della sentenza d’appello fonda l’accoglimento del gravame del contribuente sulla ratio alternativa (“Comunque, anche seguendo l’operato dell’ufficio…”: pag. 3 della sentenza) secondo la quale l’accertamento controverso realizzerebbe una doppia imposizione del medesimo provento e si porrebbe pertanto in contrasto con il divieto di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 163.

Ha infatti ritenuto la CTR che l’Ufficio, avendo proceduto alla rettifica dei redditi dell’anno 2005 in seguito alla rettifica di quelli dell’anno 2005, ed essendo quindi consapevole di aver trasformato le rimanenze finali dell’anno 2005 in ricavi dello stesso esercizio, avrebbe dovuto necessariamente detassarli nell’anno 2006. Viceversa, non escludendo tali ricavi dall’accertamento relativo all’anno 2006, e contemporaneamente riducendo il valore delle rimanenze iniziali per lo stesso periodo d’imposta, l’Ufficio, secondo la CTR, avrebbe violato il divieto di doppia imposizione di cui al ridetto D.P.R. n. 917 del 1986, art. 163.

Il ricorso è fondato anche nella parte in cui censura tale ulteriore ratio decidendi.

Infatti, questa Corte ha costantemente ribadito che, in tema di determinazione del reddito d’impresa, le regole sull’imputazione temporale dei componenti del reddito, dettate in via generale dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, sono tassative ed inderogabili, non essendo consentito al contribuente di ascrivere a proprio piacimento un componente positivo o negativo del reddito ad un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza (Cass., 18/12/2009, n. 26665. Nello stesso, ex plurimis, già Cass. 15/11/2000, n. 14774, in motivazione; Cass., 13/5/2009, n. 10981, in motivazione, citata nella stessa sentenza impugnata; Cass. 17/07/2014, n. 16349; Cass. 30/7/2018, n. 20095), poichè ciò finirebbe per rendere lo stesso contribuente arbitro della scelta del periodo più conveniente in cui dichiarare i componenti del proprio reddito, con innegabili riflessi sulla determinazione del relativo reddito imponibile.

Premessa quindi l’inderogabilità del criterio di competenza dettato dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, occorre precisare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la violazione dei criteri d’imputazione cronologica dei componenti positivi e negativi del reddito non costituisce una violazione meramente formale, sia perchè l’imputazione ad un determinato periodo di imposta di componenti ad esso estranei (in quanto riferibili ad altro periodo) incide sulla determinazione del reddito d’impresa di quella specifica annualità (cfr. Cass. 03/10/2018, n. 24006); sia perchè, comunque, “in nessun caso (…) il contribuente può scegliere liberamente, secondo le proprie convenienze, l’esercizio in cui registrare i costi, dovendo l’eventuale spostamento dall’anno di riferimento essere ancorato a fatti obbiettivi e verificabili.” (Cass., 30/12/2009, n. 28070. Nello stesso senso, Cass. 30/7/2018, n. 20095).

Inoltre, questa Corte ha costantemente affermato che la deroga del criterio di competenza non può essere legittimata neppure dalla paventata conseguenza dell’eventuale doppia imposizione, a sua volta vietata dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 127, trattandosi di un effetto che deriva direttamente dall’applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, e che, in base ai principi generali, è evitabile dal contribuente mediante l’esercizio, con la richiesta di rimborso (e conseguente impugnazione, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, del silenzio rifiuto su di essa eventualmente formatosi) della maggior imposta in ipotesi versata per la mancata esposizione di componenti del reddito nell’annualità di effettiva competenza, che è proponibile, nei limiti ordinari della prescrizione ex art. 2935 c.c., a far data dal formarsi del giudicato sulla legittimità del recupero dei costi in relazione all’annualità non di competenza (ex plurimis, Cass., 13/5/2009, n. 10981, in motivazione; Cass., 06/09/2017, n. 20805; Cass.30/7/2018, n. 20095; Cass., n. 7121/2019).

Infine, la rettifica, secondo la corretta imputazione temporale all’esercizio di competenza, dei componenti del reddito, può incidere, come avvenuto nel caso di specie, sulla conseguente determinazione delle rimanenze dell’esercizio sottoposto ad accertamento, poichè il principio della cd. continuità di bilancio, sancito dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 92, (per effetto del quale le rimanenze finali di un esercizio costituiscono esistenze iniziali di quello successivo) non esclude il potere dell’Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento, di rideterminare il valore delle rimanenze medesime (Cass., 26/09/2018, n. 22932).

Tanto premesso, nel caso di specie, non si è adeguata a tali principi la sentenza impugnata che, pur rilevando (a pag. 4) che l’incontestata inerzia della contribuente – che non ha nè impugnato l’accertamento relativo all’anno d’imposta 2005; nè presentato comunque una dichiarazione integrativa, in ordine alle rimanenze ed ai ricavi, per l’esercizio 2006, prima di ricevere l’accertamento controverso – ha determinato la necessità della rettifica operata dall’accertamento controverso, e la conseguente pretesa doppia imposizione, ha tuttavia omesso del tutto di considerare tale circostanza ai fini dell’applicazione delle norme di diritto utilizzate per decidere la fattispecie controversa.

Inoltre la sentenza impugnata, sempre al fine di ipotizzare la ritenuta doppia imposizione come pretesa conseguenza della rettifica delle rimanenze finali dell’anno d’imposta precedente a quello controverso, non ha governato in modo corretto l’applicazione del principio della cd. continuità di bilancio, non avendo chiarito se, ed in che limiti, vi sia stata coincidenza oggettiva (con riferimento ai relativi titoli, e non meramente al dato quantitativo) tra i ricavi della contribuente imputati all’anno d’imposta 2005 per effetto della precedente rettifica del valore delle rimanenze finali di tale periodo, ed i ricavi dichiarati dalla stessa società dichiarati per l’anno d’imposta successivo.

La sentenza impugnata va quindi cassata, con rinvio al giudice a quo affinchè, effettuati gli accertamenti in fatto necessari, proceda a nuova decisione, in applicazione dei principi che precedono.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributarla regionale della Sardegna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittitmià.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019

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